Go With Me – pseudo-thriller di vendetta tra i boschi
immagine da comingsoon.it

Diretto dal regista svedese Daniel Alfredson, il film risulta lento e senza sorprese

Anno: 2015 

Titolo originale: Blackway

Paese: USA, Canada, Svezia 

Durata: 90 minuti

Genere: Thriller

Regia: Daniel Alfredson

Soggetto: Castle Freeman Jr. (romanzo)

Sceneggiatura: Joseph Gangemi, Gregory Jacobs

Cast: Anthony Hopkins, Julia Stiles, Alexander Ludwig, Ray Liotta, Hal Holbrook

Presentato fuori concorso al Festival di Venezia dell’anno scorso, esce nelle sale italiane Go With Me, thriller tratto dal premiato romanzo dello scrittore americano Castle Freeman Jr. e diretto dallo svedese Daniel Alfredson, regista di due capitoli della seguitissima saga Millenium.

Lilian (Julia Stiles) è una giovane donna da poco tornata nel paese tra America e Canada dov’è nata, tormentata da un teppista locale di nome Blackway (Ray Liotta) che la segue e la minaccia, finché la ragazza non decide di denunciarlo allo sceriffo; questi però si rifiuta di agire e le suggerisce di rivolgersi alla segheria della città. Qui nessuno accetta di aiutarla tranne Lester (Anthony Hopkins), un anziano taglialegna e Nate (Alexander Ludwig), ragazzone ritardato ma buono. I tre partono insieme alla ricerca di Blackway, decisi ad avere vendetta.

Alcuni elementi del film, in primis l’aura di mistero e paura che avvolge l’antagonista Blackway, il terrore di tutti, sceriffo compreso, al sentirlo nominare e nessuna spiegazione del perché, sarebbero potuti essere uno spunto molto interessante su cui costruire un buon thriller. Nonostante i pochi chiarimenti sul passato dell’uomo non capiamo mai fino in fondo perché venga dipinto come il lupo cattivo, anche se intuiamo che ci siano radici profonde; intuiamo qualcosa anche dai vaghi riferimenti degli anziani della segheria alle loro (defunte?) figlie e possiamo solo fare ipotesi sulla motivazione di Lester per aiutare Lilian.

Peccato davvero che fin dalle prime sequenze il film sia di una lentezza disarmante. Non succede nulla per minuti interi, e il paesaggio innevato, freddo e grigio dei boschi e delle infinite strade di montagna, di per sé ottimo tappeto visivo, si risolve poi in innumerevoli, identiche riprese dell’auto in moto dove i protagonisti sono invariabilmente i pali della luce. Estenuanti sequenze (Lester che monta le sue girandole, Lilian che pittura un muro, gli anziani che chiacchierano di tutt’altro) assolutamente superflue alla narrazione, tediose e senza nemmeno una qualche bellezza artistica a giustificarle, fanno rimpiangere dall’inizio il buon thriller che sarebbe potuto essere.

In certi momenti l’immobilità della narrazione è surreale e quasi comica, e viene in mente Fargo dei fratelli Coen, di cui Go With Me sembra la versione noiosa e inutile.

Anche il cast arranca per dare un senso al film: Julia Stiles, ex reginetta di commedie romantiche americane e protagonista della serie Bourne, fatica nel non avere la medesima, acidissima espressione per tutto il film; il canadese Alexander Ludwig (noto per la serie tv Vikings) ha un ruolo piuttosto secondario che sarebbe stato interessante sviluppare; Ray Liotta grugnisce o urla di continuo e si fatica ad aver paura di un antagonista con la sua faccia.

Detto in altre parole, Anthony Hopkins è l’unico che recita, e non ci fosse lui a tenerlo per le orecchie, il film sarebbe un fallimento completo.

 

Un buon thriller dovrebbe tenere col fiato sospeso e alimentare la tensione nello spettatore, stupendo, eccitando e, perché no, spaventando. Go With Me è invece una pellicola senza nerbo, senza sorprese e senza senso, sonnolento e arido nonostante duri poco. Un’occasione più che mancata, distrutta.

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Articolo pubblicato il 28/10/2016