Captain Fantastic – elogio dell’assurdità

Lodato a diversi festival, il film di Matt Ross con Viggo Mortensen lascia perplessi e fatica a convincere

Anno: 2016

Titolo originale: Id.

Paese: USA

Durata: 118 minuti

Genere: Drammatico

Regia: Matt Ross

Sceneggiatura: Matt Ross

Cast: Viggo Mortensen, George MacKay, Samantha Isler, Annalise Basso, Nicholas Hamilton, Frank Langella

Presentato al Sundance Film Festival, vincitore per la miglior regia alla sezione Un certain regard a Cannes 2016 e di altri numerosi premi dedicati a film indipendenti, Captain Fantastic va aggiungersi alle innumerevoli storie di ribellione alla società ed elogio dell’alternativa.

Viggo Mortensen è Ben Cash, padre di sei figli cresciuti nei boschi del nord America in modo decisamente non convenzionale; i ragazzi cacciano animali per nutrirsi, ogni giorno si sottopongono a durissimi allenamenti fisici, non vanno a scuola ma vengono istruiti approfonditamente dal padre e rifiutano la società civilizzata. Quando la madre muore, i sette saranno costretti a uscire dalla loro isolata esistenza per scongiurare un funerale religioso, voluto dai genitori della donna ma assolutamente incompatibile con il loro stile di vita.

I racconti di diversità, di rifiuto del sistema, di vite diverse da quelle convenzionalmente considerate “normali” hanno sempre trovato in cinema e letteratura ampi spazi, spesso con risultati intelligenti e toccanti. Ma se una delle fondamenta imprescindibili della visione cinematografica è la sospensione dell’incredulità, ovvero il meccanismo per cui siamo portati a credere che quanto vediamo sia plausibile anche se apertamente artificioso, in Captain Fantastic questa dinamica fatica sin dalle prime sequenze a scattare nella testa dello spettatore.  

Diretto dall’attore americano Matt Ross, alla prima importante regia, nel film numerose volte si arriva al limite dell’inverosimiglianza; bambini dagli otto anni in su con nomi assurdi che parlano esperanto, recitano a memoria gli emendamenti, disquisiscono di marxismo e festeggiano il compleanno del filosofo e anarchico Noam Chomsky come fosse Natale non solo sono poco credibili, ma anche piuttosto irritanti. Quando viene a galla che la madre, sofferente da tempo di disturbi mentali, si è tolta la vita, non si può davvero resistere a compatirla e comprendere le ragioni che l’hanno spinta al gesto estremo, con sei figli da incubo e un marito classicamente “orso”, convinto di essere l’unico depositario della verità e che, sostanzialmente, pur animato da buone intenzioni, ha cresciuto i figli come disadattati, per niente in grado di affrontare la vita vera.

E’ sicuramente realistica e condivisibile la condanna della non genuinità della vita contemporanea, del consumismo e della deleteria onnipresenza della tecnologia (disturba vedere i cugini dei ragazzi appiccicati ai videogiochi come zombie, soprattutto perché è per molti realtà quotidiana), ma, oltre ad essere tristemente poco originale, è qui sviluppata così estremamente da risultare ridicola. Anzi, non si può non pensare che il pazzo non è il nonno Frank Langella, che vorrebbe crescere i ragazzi e mandarli a scuola, ma il padre, che li porta a rubare in un supermercato fingendo un malore.

L’apice del cattivo gusto si raggiunge nel “funerale” della madre, le cui ceneri vengono gettate nello scarico di un gabinetto pubblico, secondo le volontà della donna, buddhista (e da quando i buddhisti anelano alle fogne come ultima dimora?). Se il tutto fosse filtrato da un minimo di ironia (o almeno humour nero) il film potrebbe essere più tollerabile, ma è soffocato da un’atmosfera greve che lo rende piuttosto tedioso nonostante i colori sgargianti della fotografia che promettono ma non danno, e non bastano di certo le meravigliose immagini dei boschi americani per farcelo dimenticare.

Le prove attoriali sono tutte apprezzabili; quella di Viggo Mortensen, pur essendo ottima, non sorprende più di tanto, poiché Ben non è di certo il primo ruolo da burbero dal cuore tenero che gli viene affidato. Molto bravi i giovani attori che interpretano i ragazzi, quasi tutti sconosciuti eccetto l’inglese George MacKay, che ha il ruolo del figlio maggiore Bodevan (tacciato dal padre di essere un ipocrita per aver fatto domanda di ammissione in diverse università!).

 

Assurdo e poco credibile, ma anche poco gradevole, il film può piacere se si è in vena di stramberie di dubbio gusto, e fa quasi ritrovare con piacere il gusto della vita di tutti i giorni, pur con le sue corruzioni e instabilità.


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Articolo pubblicato il 14/12/2016