The Childhood of a Leader – L’infanzia di un capo

Lungometraggio ambizioso e impegnativo ispirato a un racconto di Sartre

Anno: 2015 

Titolo originale: The Childhood of a Leader

Paese: Regno Unito, Francia, Ungheria 

Durata: 115 minuti

Genere: Drammatico

Regia: Brady Corbet

Soggetto: Jean-Paul Sartre (racconto), John Fowles (romanzo)

Sceneggiatura: Brady Corbet, Mona Fastvold

Cast: Tom Sweet, Bérénice Bejo, Liam Cunningham, Robert Pattinson, Stacy Martin, Yolande Moreau

Prodotto nel 2015, presentato ai festival di Cannes e Venezia nello stesso anno, arriva solo ora nelle nostre sale The Childhood of a Leader – L’infanzia di un capo, scritto, diretto e prodotto dall’attore americano Brady Corbet, al suo esordio dietro la macchina da presa.

Parzialmente ispirato al racconto omonimo di Jean-Paul Sartre e al romanzo Il mago dello scrittore inglese John Fowles, il film racconta l’infanzia di Prescott, bambino americano problematico che alla fine della prima guerra mondiale vive fuori Parigi con la madre gelida e il padre assente, consigliere del presidente Wilson, e di come da adulto diventerà un leader tirannico.

Scandito a capitoli, che segnano le tappe della crescente aggressività del protagonista (in inglese tantrum, la parola con cui vengono denominati i vari capitoli, significa sia “capriccio” che “scatto d’ira”), The Childhood of a Leader è sostanzialmente la cronaca di come un bambino sia arrivato ad essere un mostro, in un’indagine psicologica minuziosa e a tratti morbosa, che risente pesantemente delle teorie psicanalitiche freudiane.

L’accrescimento esponenziale dell’ego va di pari passo, anzi può essere spiegato (se non giustificato) da un’infanzia anaffettiva e infelice, sembra dirci il regista, che per sua stessa ammissione ha voluto proporre un parallelo con gli esiti del Trattato di Versailles, alla stesura del quale il padre di Prescott collabora, che sancì sì la fine della prima guerra mondiale, ma in cui molti storici hanno visto il germe dei nazionalismi che scatenarono la seconda.

Il bambino dal bellissimo viso angelico, che viene spesso preso per una bambina, inizia a dare segni di un’aggressività patologica fin dalla prima sequenza, dove lo vediamo alla recita di Natale, di bianco vestito, interpretare la sua parte alla perfezione, salvo poi uscire e prendere a sassate i parrocchiani. Gli episodi si susseguono senza fretta, con dovizia di particolari, sino allo sconvolgente climax dell’ultimo capitolo infantile, precedente la breve sequenza che ce lo mostra adulto; evidenti i richiami al nazifascismo nonostante il personaggio sia inventato.

La costruzione di questo lungo racconto di formazione al contrario, che si può senza problemi definire fantapolitico in quanto narrazione di un regime distopico e fittizio, versione alternativa della storia novecentesca, richiama, soprattutto nei tempi, una pièce teatrale. Girato prevalentemente negli interni dell’oscura abitazione di campagna, il film è immerso in un’atmosfera cupa e greve a cui al contempo si aggiunge una sensazione di urgenza e di terrore che non lasciano mai spazio alla serenità.

Realizzato in 35 millimetri, con l’inserimento di alcuni filmati di repertorio relativi alla fine della guerra e alla firma del trattato, l’esordio registico di Corbet è fotografato dall’inglese Lol Crawley con filtri perennemente grigi e freddi, che accrescono l’effetto di angoscia. Addirittura, il primo momento di luce arriva dopo 25 minuti dall’inizio del film, prima dei quali le sequenze sono girate in un buio claustrofobico.

La visione di The Childhood of a Leader è, per lo spettatore, un’esperienza interiore di vera sofferenza, non perché il film sia mal realizzato ma proprio per la sua intrinseca capacità di turbare e coinvolgere.

La musica di Scott Walker, drammatica al limite dell’horror, debitrice dell’espressionismo di Schönberg, sottolinea ogni passaggio fondamentale,  aumentando la portata del senso di panico e rendendo palpabile la rabbia inespressa che aleggia intorno al protagonista.

Il film riesce a rapire lo sguardo soprattutto grazie all’ottima recitazione di tutto il cast. Sublime e agghiacciante il piccolo Tom Sweet nei panni di Prescott, la cui bellezza angelica è proporzionale alla sua perfidia; basterebbe lui a tenere su il racconto. Molto bravi anche Bérénice Bejo e Liam Cunnigham, che interpretano la madre fredda e bigotta e il padre burbero. Robert Pattinson, misurato e pensieroso, appare brevemente come amico di famiglia e in un altro ruolo che non si può svelare. Yolande Moreau e Stacy Martin, rispettivamente nei ruoli della domestica e dell’insegnante di francese di Prescott, riescono molto bene a ritrarre due personaggi chiave nel dramma infantile del piccolo protagonista.

Un’opera cinematografica impegnativa e non semplice da vedere, che riempie d’angoscia e riesce a turbare, consigliata solo ai cinefili più navigati e impegnati.

 

           

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Articolo pubblicato il 08/07/2017