CULT PER L'ESTATE - "The Elephant Man"

La triste vicenda di un uomo reso mostruosamente deforme da una rara malattia, in un film che lanciò la carriera del grande David Lynch

La vicenda di Joseph Carey Merrick (nel film di oggi erroneamente chiamato "John") meglio conosciuto come "l'Uomo Elefante", è una triste fiaba di sfortuna e malattia avvenuta nella Londra del diciannovesimo secolo.

Colpito da una rara malattia congenita (si teorizza la "sindrome di Proteo") e diversi incidenti infantili che lo avevano reso deforme fin dalla più tenera età, l'uomo era ridotto a sbarcare il lunario come "spettacolo vivente" nelle fiere, finchè non riuscì a stringere amicizia con un giovane medico che prese a cuore il suo caso trovandogli ricovero nel suo ospedale.


Con vicende alterne di fortuna e sfortuna, l'uomo riuscì ad acquisire una certa fama presso l'Alta Società di quel tempo, trovando quindi quel poco di serenità che la vita gli aveva sempre negato, per poi morire soffocato diversi anni dopo durante il sonno, probabilmente sempre per colpa dei problemi di postura della sua testa deforme che lo costringevano solitamente a dormire su una sedia col capo ritto per respirare correttamente.

Una storia che era praticamente un copione Hollywoodiano già pronto e impacchettato, con l'allora cinquantenne Mel Brooks alla produzione in cerca solo di un regista capace di portarla in scena.


Incassato il rifiuto di Terrence Mallick, il quale reduce dal insuccesso commerciale di "I giorni del cielo" stava per prendersi una vacanza di vent'anni prima di tornare con lo strepitoso "La sottile linea rossa"; Mel Brooks ripiegò allora sull'allora esordiente David Lynch.

Il regista aveva all'attivo soltanto il film "Eraserhead - La mente che cancella", ma pare che Brooks fu talmente colpito dal talento visivo e lo strepitoso uso del bianco e nero da volerlo ripetere anche per il suo progetto.

Una scelta che si rivelò vincente, per un film osannato da pubblico e critica che diede lo slancio ad uno degli autori più visionari della sua generazione, autore poi di altri film meravigliosi come "Velluto blu" o "Strade Perdute" e della grande serie tv "Twin Peaks".


Un film che tra l'altro conclamò a livello planetario la bravura del protagonista John Hurt, attore che ci ha tristemente lasciato nel Gennaio di quest'anno, già malato di cancro da diversi anni; oltre che essere un altro trampolino per la carriera di un allora poco conosciuto Anthony Hopkins, consacrato poi 10 anni più tardi dal magnifico "Il silenzio degli innocenti".

Ma analizziamo più nel dettaglio le ragioni del fascino e del successo di questo cult di cui parliamo oggi, "The Elephant Man".


L'ALBA DI DAVID LYNCH
Autore e regista come detto unico e inimitabile, dalla filmografia numericamente limitata (parliamo di 10 film in 40 anni di carriera) ma riconsciuto universalmente per il suo estro visivo e il suo modo unico di raccontare le sue storie, presentarci i suoi personaggi e condurci (senza tenerci per mano) nei suoi mondi onirici di cattiva e lucidissima follia.


Bisogna però riconoscere che lo stile di Lynch è estremamente contenuto in questo film, nonostante ad oggi rimanga probabilmente il suo film più di successo e più conosciuto in assoluto.

Una regia e un montaggio molto quadrati, senza virtuosismi o svolazzi della telecamera nè salti sconnessi nella narrazione della vicenda o audaci voltafaccia nella sceneggiatura che spiazzano (piacevolmente) lo spettatore come sarà in altri film come i suddetti "Velluto blu" e "Strade Perdute" o anche i più recenti "Mulholland Drive" e "Inland Empire".


Lynch punta moltissimo su una fotografia in bianco e nero anni '30 di Frankesteiniana memoria, vedi l'esibizione del deforme Merrick dietro una tenda a un nugolo di medici, dove basta l'ombra della sagoma deforme dell'uomo ad alimentare il disagio dello spettatore, unito alla fredda e cinica descrizione medica dei difetti congeniti della sua anatomia.

Disagio che rimane e permane anche nelle scene più umane e compassionevoli, dall'affetto del dottore che lo invita nella sua casa dove scoppia in lacrime per la sua vita normale, fino alle scene più delicate con la dolce Anne Bancroft che interpreta l'attrice con cui Merrick troverà un briciolo di amore oltre che la comune passione per l'arte e la recitazione.


Un classico di pura semplicità e umanità, contrapposto ai disumani e spregevoli figuri che vorrebbero approfittarsi della deformità mostruosa di Merrick.

Persone come il suo ex-padrone circense (Freddie Jones) che prima lo vuole far curare ma poi ne rivendica la proprietà come un oggetto; oppure anche il crudele guardiano dell'ospedale interpretato da Michael Elphick, che fa entrare spettatori paganti nella sua stanza per lo sfizio di divertirli con l'orrore della sua condizione.


ANTHONY HOPKINS VS JOHN HURT
Naturalmente tra i vari legami umani della vicenda quello più profondo e complesso sta nel rapporto tra il Dottor Treves e il povero Merrick.


Nonostante le intenzioni del medico siano indubbiamente generose e il suo comportamento sia sempre estremamente gentile e corretto, non da meno un'infermiera gli fa notare di essere una specie di "sostituto" del vecchio matrone circense che sfruttava il mostro mercificandolo.

Infatti, pur essendo spinto dall'intenzione di "aprire" Merrick al mondo e farlo uscire dal suo guscio, il medico guadagna una grande fama e popolarità nell'ambiente proprio grazie alle sue sfortune, in fondo quindi non molto diversamente dai tanti aguzzini che hanno tormentato l'uomo nel corso della sua sfortunata vita.


Un personaggio ambiguo quindi, sicuramente più positivo che negativo nell'economia della via e del benessere di Merrick; interpretato con la dovuta compostezza ma anche slancio umano dal bravissimo Anthony Hopkins.

Un medico che vediamo a volte soffrire per le ingiustizie cui è sottoposto il suo paziente/amico, interpretato in maniera ineguagliabile da un irriconoscibile John Hurt.


L'attore riesce infatti a trasmettere un senso di vulnerabilità e solitudine pur avendo il volto quasi interamente coperto e gran parte dei movimenti impediti dal make-up e il costume da Merrick; regalandoci un "freak" da antologia difficilmente ripetibile per movenze, delicatezza e gentilezza nella intera storia del cinema.

Un attore di cui non finiremo mai di sentire la mancanza, uno dei protagonisti tra l'altro anche de "I cancelli del cielo", altro cult da noi consigliato la settimana scorsa.



CI AUGURIAMO VIVAMENTE CHE LE NUOVE GENERAZIONI RISCOPRANO QUESTO VECCHIO CULT CHE DIEDE IL VIA ALLA CARRIERA DI DAVID LYNCH, CHISSA' MAGARI INCURIOSITI DALLA FILMOGRAFIA DEL REGISTA E DAL SUO RECENTE "RITORNO IN AUGE" CON LA NUOVA SERIE TV DI "TWIN PEAKS". UN FILM COME NON MAI DALLA PARTE DEL DIVERSO, L'ESTRANEO, L'ESTETICAMENTE ABERRANTE. UN FILM QUINDI COME NON MAI ADATTO ALLA PSICHEDELICA E PSICOTICA CARRIERA DEL GENIALE REGISTA CHE SPERIAMO COME NON MAI, SOPRATTUTTO, DI VEDER TORNARE PIU' A DIRIGERE FILM CHE SERIE TELEVISIVE.

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Articolo pubblicato il 16/07/2017