Ottobre sui generis

Consigli alla visione sui film di genere: DRAMMATICO

Lungi da noi voler auto-citare o riciclare noi stessi, ma 3 dei migliori film drammatici degli ultimi tempi li avevamo già citati da tempo qua su Civico20News.

Il primo è "Animali notturni", da noi consigliato nell'articolo Primavera da donne, film che ha diviso il pubblico tra chi l'ha adorato e chi lo considera un polpettone "autocelebrativo" più votato all'apparenza che alla sostanza.

Avendolo come detto consigliato, siamo dell'avviso ovviamente di avere a che fare con un ottimo film, che divide ottimamente il mondo reale, dove domina l'interpretazione della bella e brava Amy Adams, separato dalla finzione teatro dove avviene il racconto e dove ammiriamo tutta la bravura del solito Jake Gyllenhaal come "vittima" e uno strepitoso Michael Shannon, qui nel ruolo di uno sceriffo in fin di vita che vuole giustizia a tutti i costi.

Altrettanto drammatico (in senso buono) è il ritorno europeo di Paul Verhoeven, ex-talento volato in America a produrre blockbuster di grido come "Basic instinct", "Robocop" o "Atto di forza".

Dopo il poco riuscito "Black book", epopea di spionaggio anti-nazista in tinte rosa, il buon Verhoeven torna a fare centro con il suo "Elle", dramma umano sul tema dello stupro intepretato da una splendida Isabelle Huppert.

Una donna che non si lascia schiacciare e sconvolgere da ciò che le è accaduto, anzi vivendo l'esperienza come rilancio emotivo e professionale per la sua vita, oltre che naturalmente indagando privatamente cercando di scoprire il suo misterioso aggressore.

Un dramma borghese la cui storia è composta più dal "non detto" e il "non visto" che dalle sequenze e i dialoghi veri e propri, per un regista che dopo la lunga esperienza a stelle e striscie dimostra di non aver perso un grammo del suo talento ed estro tutto europeo nel fare e pensare cinema.

Altro film di cui avevamo già parlato è infine "Julieta", diretto da un maestro indiscusso come Pedro Almodóvar,
genietto spagnolo che alla soglia dei 70 anni non manca mai di stupire i suoi affezionati mescolando dramma, ironia e sesso nella sua solita (eppur diversa ogni volta) minestra di amori, tradimenti e tensioni/incomprensioni familiari.

Un perfetto ritratto della società che non passa mai di moda, come le donne di questo suo film che si amano e si odiano col passare degli anni, di madre in figlio e poi ancora la piccola nipote; portandosi dietro quel rancore che nasce dalle piccole e stupide bugie capaci di creare come al solito i peggiori problemi della vita.

Uomini che in questo film sono sullo sfondo, lontani e distanti come oggetti di scena, seppur il loro amore e la loro morte sono il motore che smuove tutta la vicenda, passando la fiaccola dell'infelicità tra le donne della famiglia di generazione in generazione.

Su tutte bravissima la bellezza solare di Emma Suárez, moglie e madre e amante senza difficoltà di transito tra i ruoli per tutto il film, nel suo rapporto familiare che non avrà mai una chiusa di felicità come aspira ad avere.

Ma dopo essere stati per una volta "auto-referenziali" consigliando i nostri stessi consigli, ecco per voi tre titoli nuovi di zecca per chi è in vena e in cerca di film drammatici.


IL SEGRETO (2016 - Jim Sheridan)
Già regista di autentici cult come "Il mio piede sinistro" e "Nel nome del padre", entrambi con protagonista l'immarcescibile Daniel Day-Lewis; Sheridan ritorna al cinema dopo 5 anni con questo film di amore e psichiatria sullo sfondo di matricidio e flashback di guerra.

Film che ha diviso pubblico e critica tra entusiasti e delusi, esattamente come il suo precedente "Dream House" del 2011, intrigante thriller "familiare" sullo sfondo di una casa teatro di vecchi omicidi che però era nato fin troppo problematico già in fase durante le riprese, senza considerare poi i tagli e le modifiche fatte in post-produzione.

Decisamente più quadrato e riuscito questo suo film dell'anno scorso, tutto incentrato sul personaggio della giovane e bella Rooney Mara, nella sua versione più anziana e rinchiusa in un manicomio intepretata da Vanessa Redgrave.

Una donna che tutti credono colpevole di infanticidio del suo stesso figlio, il cui passato è riesumato da Eric Bana nel ruolo di un dottore che trova il diario contenente l'inconfessata e sconosciuta verità della sventurata ragazza.

Un film che riesce a mettere i piccoli drammi di paese, insicurezze, invidie e stupidi rancori persino davanti al dramma più grande e universale della guerra stessa, tutto incarnato nella figura del giovane aviatore a cui la donna da asilo dopo un incidente di battaglia.

Inutile parlare di messa in scena e regia per un pluri-candidato all'Oscar come Sheridan, per un film che forse soffre di qualche "lungaggine" e soluzione semplicistica di troppo ma resta comunque toccante e appassionante fino alla fine, restando senz'altro consigliato quindi come tutti gli altri film di questo grande regista.


WEST OF SUNSHINE (2017 - Jason Raftopoulos)
Esordio alla regia per questo misconosciuto cineasta australiano, è stata una delle piacevoli soprese di quest'anno alla Biennale di Venezia.

Il film segue la giornata senza fiato di un uomo messo alle strette da uno strozzino, causa problemi di gioco d'azzardo creditore di una somma che il protagonista non è in grado di restituire.

Un perdente che non ne imbrocca una, oppresso ulteriormente dalla presenza ingombrante di un figlio conteso con la madre e di cui ovviamente ha la responsabilità proprio in questo giorno senza pace.

A suo dire fortemente ispirato dal neorealismo italiano, Raftopoulos cura anche la sceneggiatura in cui sono facili i parallelismi (con le debite distanze) con il vecchio "Ladri di biciclette" di De Sica.

Ma oltre le somiglianze della giornata allo sbando nella disperazione e nel fallimento imminente delle classi più poveri ed abbiette, si distingue nel finale dove lascia e apre a un pò di luce e di speranza per il protagonista, un bravo Damian Hill affiancato da un giovanissimo Ty Perham.

Buoni sentimenti e buone intenzioni schiacciate e oppresse dalla cattiveria del mondo moderno, dove tempo e soldi sono interlacciati in modo indissolubile; un perenne conto alla rovescia per un film che parte con un finale già scritto, ma non per questo meno piacevole.


UN SACCHETTO DI BIGLIE (2017 - Christian Duguay)
Regista di lungo corso, di solito autore di piccoli film di genere come "I dinamitardi", variante action sul genere bombarolo interpretato da Pierce Brosnan, oppure ancora l'ottimo "Screamers - Urla dallo spazio", fantascientifico dalla penna di  Philip K. Dick interpretato da un ottimo Peter Weller.

In questo caso di un genere diverso, questo film è ispirato a un romanzo dalla storia vera di due fratelli abbandonati a sè stessi dopo essere stati separati dalla famiglia nei periodi cupi della Francia invasa dai nazisti.

Un tipo di storia nella quale è facile lasciarsi scivolare nel "lacrima movie", ma che Duguay invece dirige con sufficiente saggezza da tenere sempre viva la spinta all'interesse verso i due piccoli protagonisti, sballotati dagli eventi di rifugio in rifugio sotto falsi nomi pur di salvare la ghirba.

Molto bravi e ben diretti i piccoli Batyste Fleurial e Dorian Le Clech, aiutati da sconosciuti a sfangarla alla giornata e capaci ancora di ingenui momenti di infantile felicità; nonostante tutto, nonostante la stella di David cucita sul petto e l'inspiegabile improvviso nuovo odio di ex-amici e compagni di scuola.

Una normale storia di bambini ricacciati e poi cacciati dai mostri, mostri coi visi impassibili degli ufficiali tedeschi e mostri più gravi e più vergognosi fatti dall'indifferenza e il placido consenso dei tanti, troppi che hanno reso possibili mostruose dittature di ignoranza e paura come furono gli anni della Svastica.

Un film più leggero su un argomento già trattato e bistrattato in tutte le guise e salse possibili e inimmaginabili, ben diretto da un solido regista di mestiere e ben interpretato dai 2 visi vispi e allegri dei giovani protagonisti.

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 15/10/2017