Luigi Settembrini e Silvio Spaventa compagni di cella (1851-1859)

Loreto Giovannone ripercorre la storia dei personaggi risorgimentali negli scritti di Settembrini come condannati “Cospiratori in sette clandestine con simboli e rituali”

Sottopongo ai Lettori di “Civico20news” questa nuova lettura di un episodio del Risorgimento, riguardante Luigi Settembrini e Silvio Spaventa, fatta da Loreto Giovannone (m.j.).


I cospiratori contro l'ordine costituito condannati per reati politici, gli “esuli”, dopo l'Unità d'Italia furono celebrati come patrioti, padri fondatori della patria e alcuni inseriti nel parlamento del Regno d'Italia, o in posti di governo.  

Giacomo Leopardi, ne trasse poi spunto per i suoi Paralipomeni della Batracomiomachia, una favola satirica in versi che continua l’antica narrazione e che ai cospiratori, sotterranei, della setta assegnò il ruolo di topi.

De Sanctis si vendicò assegnando al poeta l’abito letterario del pessimista. L’adesione alla monarchia sabauda fruttò agli esuli la carriera in politica. Con le dovute distinzioni e cautele del giudizio storico, i cospiratori che tramavano in segreto per sovvertire l’ordine costituito, un secolo dopo furono chiamati “terroristi”. Perché alcuni cospiratori del Risorgimento trovarono impiego in parlamento al cambio della monarchia?


Settembrini incontra Musolino e la “giovane Italia”.

Quanto io andavo a la scuola di legge vi conobbi un giovane calabrese del Pizzo a nome Benedetto Musolino [Liberale organizzò il gruppo clandestino “I Figliuoli della Giovine Italia”. Iniziato in Massoneria tra il 1862 e il 1865 nella Loggia “Dante Alighieri” di Torino e alla Costituente massonica di Genova del 29 maggio 1865 rappresentò la Loggia “Speranza Prima” di Montevideo, Deputato e Senatore], di molto ingegno, ma pieno di strani disegni arditi. Ei non vedeva passare per via un reggimento o una compagnia di soldati, che imbaldanzito come un galletto, ei non mi dicesse: “Se io avessi centomila di quelle punte (e indicava le baionette) sarei liberatore del mondo”. Io aveva udito a parlare tanto della massoneria e della carboneria, e non aveva mai potuto saperne o leggerne qualcosa: desideravo però di conoscere almeno questa giovane Italia di cui si faceva allora un gran dire nei giornali; ed ero sempre intorno all’amico, e gli dimandavo se avesse avuto il catechismo. Egli fattomi aspettare un pezzo, infine mi diede un libro scritto di sua mano, dicendomi che lo aveva copiato da una stampa: ed io lo lessi con avidità grande.

Lo scopo era niente meno che cacciare d’Italia non pure tutti i principi, e gli austriaci, e il papa, ma i francesi di Corsica e gl’inglesi di Malta, e formare una gran repubblica militare. Capo supremo un dittatore sedente in Roma: dieci consoli governare le dieci regioni in cui si divideva l’Italia: ogni provincia comandata da un colonnello, ogni municipio da un capitano. Ciascuno di questi uffiziali aveva un questore o tesoriere, uffiziale anche egli. V’erano poi gli apostoli, commessari dittatoriali o consolari, che avevano speciale incarico di stabilire, ordinare, regolare la setta. Non adunanze, non colloqui fra più di due, il convertito comunicava col suo convertitore, e riceveva gli ordini, e li comunicava ad un altro, e si doveva ciecamente ubbidire. Il giuramento era di fiere parole, e doveva darsi sopra un teschio ed un pugnale. La bandiera un drappo nero su cui era un teschio bianco, e la scritta unità, libertà, indipendenza. Nero il vestimento, simile a quello dei contadini calabresi: le armi una carabina con la baionetta, e un pugnale lungo un palmo. Dovere di tutti gli affiliati esercitarsi nelle armi, e correre tosto quando i capi li chiamavano, ed era giunto il fatal giorno dell’insurrezione, e il dittatore dava il primo tocco del vespro... Lo abbracciai, e gli promisi di mettermi seco all’impresa. Ma in tutte le cose del mondo un poco d’impostura ci vuole, ed è come il sale che da sapore se è poco, e rende amaro se è molto. L’è una cosa difficile, ma il più difficile e più bello. Non siamo uomini anche noi? C’è più onore quando si comincia soli una grande impresa”. (Luigi Settembrini. Rimembranze vol.1, pag. 29/30)

 

Settembrini cospiratore e sette segrete.

Al signor Presidente, Procuratore Generale, e giudici della Gran Corte criminale di Napoli Luigi Settembrini prega la gran corte criminale di leggere questo scritto, prima di decidere alcuna cosa su di lui. Fu arrestato nel 23 giugno 1849, perché un tristo l’accusava di far parte della setta “dell’Unità italiana”, e di aver scritto, fatto stampare, e pubblicato un proclama rivoluzionarlo. Ma vedendosi che l’accusa era una semplice assertiva, che poteva essere smentita con un’altra assertiva, lo avvolgevano nel processo del 16 settembre; e facevano dire da alcuni accusati di avere inteso dire che egli era uno dei capi e direttori della setta; che nelle prigioni di Santa Maria Apparente si era formato un comitato; che egli, Agresti e Pironti approvavano il luglio 1849 il disegno di uccidere il ministro Longobardi, il prefetto Peccheneda, ed il presidente Navarra. Infine il procuratore generale lo accusa di detenzione di stampe vietate. Onde egli è accusato, 1. come capo settario, 2. come autore di un proclama, 3. come detentore di stampe vietate. E l’accusa si poggia su di un’assertiva, e su di un avere inteso dire.

(Luigi Settembrini. Rimembranze vol.1, pag. 92)


Spaventa e Settembrini all’ergastolo in Santo Stefano di Ventotene

Settembrini, ...energico oppositore della dinastia borbonica, che era tra questi assieme a Silvio Spaventa, scriveva che nel 1851 vi avevano fatto ingresso una ventina di detenuti politici: “per aver sparso il malcontento contro il Governo”. Settembrini e Spaventa ebbero riservata la medesima cella n.25 del terzo piano... lo scritto, “Nelle galere” fornisce anche i nomi di: Salvatore Faucitano da Napoli, Filippo Agresti da Napoli, Giovanni Pollaro da Palermo, Gennaro Placcoda Civita di Cosenza, Felice Barilla da Moiano, Emilio Mazza da Napoli, Michele Aletta da San Giacomo di Salerno, Innocenzo Veneziano da Bagnara, Filippo Falconi da Leonessa (Aquila), Francesco Notaro da Settignano di Catanzaro, Francesco Bellantonio da Reggio Calabria, Ignazio Marrei da Tropea, tutti graziati dalla pena di morte ed accusati di cospirazione perché appartenenti alla setta per l’unità d’Italia. Altri undici cospiratori condannati ai ferri con pene variabili da 8 a 30 anni. Tutti furono carcerati a Santo Stefano nel febbraio 1851. Nel 1859 furono imbarcati per ordine del Re per essere esiliati in America.

(http://www.rassegnapenitenziaria.it/cop/128.pdf)


Raffaele Settembrini nome in codice John

“Stasera parleremo: state di buon animo, e mangiate bene, a tavola avrete un buon cameriere. Non parlate”. Sopravvenne Silvio Spaventa, che vedendomi turbato, mi chiese che avevo; ed io che a lui amicissimo non sapevo nasconder nulla gli dissi ogni cosa, ed entrambi conchiudemmo: “Bisogna parlargli stasera per sapere quali sono i suoi disegni”. L'americano, egli e tutta la sua ciurma non parlava né intendeva nulla d'italiano né di francese: onde per farci servire prese per camerieri alcuni italiani che a caso si trovavano in Cadice: ma questi erano poco atti a servire, sofferivano mal di mare, e non sapevano che farsi; onde tutti i miei compagni con gesti, e parole mezzo francesi e mezzo spagnuole cercavano di farsi intendere da John, che era Raffaele, il quale non parlava altro che l'inglese, e un po' lo spagnuolo. Tutti comandavano John, ed egli faceva le viste di non intendere, e roteava sempre intorno a me. (Luigi Settembrini. Rimembranze, vol.1)

(Fine della prima parte - continua)

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Articolo pubblicato il 14/10/2017