Ugo Pavia, grande regista segreto dell’incredibile vicenda dello “Smemorato di Collegno”

Il prestigioso e autorevole cronista del giornale torinese “La Stampa” muore a Torino il 19 ottobre 1959

Ugo Pavia, nato a Modena nel 1881, è entrato a “La Stampa” ancor prima della guerra del 1915. Vi rimane per circa mezzo secolo. Quando muore a 78 anni, nella mattina di lunedì 19 ottobre 1959, dopo un difficile intervento chirurgico alla clinica Pinna-Pintor di Torino, è ancora in attività con la carica di capo-cronista.

Per rievocare questo personaggio, leggiamo quanto scritto da Pietro Martinotti nel libro “Le ore povere e ricche del Piemonte”, edito nel 1982 a Torino dal Lions Club Torino Castello. Martinotti si presenta come un giovane “allievo” di Ugo Pavia nell’attività di cronista e questo rende il suo scritto particolarmente apprezzabile pur con qualche inesattezza nella ricostruzione del caso dello “Smemorato di Collegno”.

Scrive Martinotti: «Per circa mezzo secolo fu cronista a “La Stampa” ed interprete sagace della vita di Torino nei suoi risvolti più nascosti, nei suoi momenti più emozionanti. Lo ricordiamo con la sua eterna pipa, arguto e paterno dietro la sua scrivania di capo cronista che ci guidava alla scoperta della città, ci suggeriva il distacco caritatevole anche dai fatti più truci, l’indulgenza per la gente straziata, infelice o colpevole.

Nella sua lunga carriera aveva seguito crisi sociali, complesse vicende giudiziarie, orribili fatti di sangue: dall’occupazione delle fabbriche al delitto Balocco (un povero prete, don Guglielmo Gnavi, fu attirato in un tranello e ammazzato da Pietro Balocco che gli era debitore di trentamila lire), dal delitto Cogo (la signora Carolina Cogo ed una sua nipote ventenne furono trovate uccise in un alloggio di via Nizza) al giallo dei due delitti collegati, l’uccisione della “bella Rinin” e del commerciante Fleishmann che trafficava in stupefacenti; avvenimenti che tennero desto l’interesse dei lettori per lungo tempo, con pagine intere di cronaca.

Pavia seguiva le indagini con discrezione e finezza secondando, ed anche talvolta orientando, gl’inquirenti con osservazioni sottili e rivelatrici.

Fu Ugo Pavia a sollevare il caso Bruneri-Canella che ancora oggi interessa scrittori illustri come Leonardo Sciascia che, nel suo nuovo libro “Il teatro della memoria” (Ed. Einaudi [1981]), ricostruisce l’incredibile vicenda dello “Smemorato di Collegno”.

Era il 6 febbraio 1927 e la cronaca de La Stampa languiva; dai mattinali della questura, dal giro degli ospedali non era venuta alcuna notizia di rilievo e Pavia sfogliava giornali e riviste alla ricerca di qualche spunto.

Sulla Domenica del Corriere, sotto il titolo “Chi lo conosce?” vide la foto e la notizia di uno sconosciuto, fermato dalla polizia, privo di documenti e ricoverato all’ospedale psichiatrico di Collegno perché “non ricordava” il suo nome.

Pavia si affrettò a raggiungere l’ospedale e poté avvicinare lo sconosciuto.

Il caso gli scoppiò tra le mani: da Verona giunse, il giorno dopo, Renzo Canella, fratello dello scomparso professore Giulio, caduto (ma senza testimoni oculari) il 25 dicembre 1916 nella battaglia di Nitzopole.

Renzo Canella incontra lo sconosciuto e rimane con molti dubbi che finiscono per alimentare il tormento della famiglia, specie della signora Giulia, moglie del professore scomparso. Anche lei arriva a Collegno e Pavia puntuale assiste a tutti questi incontri e li descrive minuziosamente, ma è tale il suo garbo e l’onesta vivacità dei suoi resoconti che diventa ben presto il confidente della famiglia. Può così vivere la vicenda dal di dentro e seguirla in tutti i suoi più imbrogliati sviluppi.

La storia si complicò con lunghi processi giudiziari quando la famiglia Bruneri si fece avanti per reclamare lo sconosciuto. Anche la signora Rosa Negro aveva visto la fotografia dell’uomo di Collegno e l’aveva subito riconosciuto per suo marito Mario Bruneri, tipografo, talvolta senza lavoro, con qualche piccola pendenza con la giustizia. Non si fece viva perché non desiderava riavere in casa il marito senza quattrini e poco fedele, ma quando seppe che la ricca signora Canella aveva creduto di riconoscere il professore nello sconosciuto, Rosa Negro si fece avanti a dire la sua verità.

Ed in questo gioco delle parti Pavia fu davvero il grande regista segreto.

Scriveva pagine e pagine di cronaca senza mai prendere posizione per l’una o per l’altra tesi, fornendo invece di volta in volta elementi che potevano favorire ora l’una ora l’altra delle fazioni dei “canelliani” e dei “bruneriani” che s’erano formate nel vasto pubblico.

Non si tradì mai e a distanza di anni, quando gli chiedevamo di dirci finalmente la verità, si schermiva con un sorriso malizioso, “e chi lo sa?” diceva e si metteva ad armeggiare con la pipa».

Questo il vissuto ricordo di Pietro Martinotti.

Per completare le informazioni su Ugo Pavia resta da aggiungere che questo cronista di “nera” molto apprezzato dai lettori era un appassionato dilettante di pittura. Anche uno dei suoi figli, Ferdinando detto Nando, diviene cronista de “La Stampa”, iniziando giovanissimo la sua attività nel dopoguerra per raggiungere incarichi di alto livello nei due giornali, “La Stampa” e “Stampa Sera”. È corrispondente per giornali inglesi e statunitensi e svolge anche attività sindacale. Nando muore all’età di 83 anni nel novembre del 2002.

Concludo con l’augurio che queste brevi note possano contribuire a far riemergere, almeno per un attimo, questi personaggi dal canton dla dësmentia, dal dimenticatoio. 

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Articolo pubblicato il 22/10/2017