Torino. Il concerto del Maghini Consort al Tempio Valdese

Prosegue la rassegna del Back to Bach, con l’esaltazione della straordinaria espressiva del Barocco internazionale

La musica è il frutto di secoli di esperienze di migliaia di musicisti noti e meno noti, che hanno basato la loro creatività sulle solide fondamenta costruite dai loro predecessori.

In altre parole, il Romanticismo non potrebbe esistere senza il Classicismo e il Barocco non sarebbe stato lo stesso senza gli autori del Rinascimento. Allo stesso modo nemmeno un genio smisurato come Johann Sebastian Bach avrebbe potuto concepire i suoi inarrivabili capolavori se prima non si fosse impadronito dello stile dei maestri italiani e francesi della generazione precedente alla sua e non ne avesse realizzato una felicissima sintesi alla luce della sua grande personalità artistica.

Questa verità è stata messa in evidenza da Chiara Bertoglio nell’“invenzione a due voci” che ha introdotto il secondo concerto della rassegna Back to Bach organizzata dal Coro Maghini.

In quell’occasione la pianista e musicologa torinese ha presentato la genesi e le caratteristiche principali della cantata Tilge, Höchster, meine Sünden BWV 1083, opera che potrebbe essere considerata – senza tema di apparire sacrileghi – una sorta di cover (in termini strettamente musicologici si direbbe parodia) dello Stabat Mater di Giovanni Battista Pergolesi, compositore originario di Jesi scomparso nel 1736 a soli 26 anni di età.


Per realizzare questa cantata, Bach – fervente fedele luterano – dovette fare i conti con i dogmi di fede cattolici e protestanti, trasformando la straziante rappresentazione del dolore della Vergine ai piedi della Croce basata sull’antico testo latino di Jacopone da Todi nella commovente richiesta di perdono del re Davide espressa nel Salmo 51, un processo che è stato spiegato con grande lucidità e chiarezza dal teologo Don Ermis Segatti.

Il programma del concerto si è poi aperto con questo brano tuttora poco noto di Bach, che rispetto al lavoro del compositore jesino presenta un’austerità più composta e lontana dal lessico operistico, con una serie di arie e di duetti per soprano e contralto – le intensissime Chiara Albanese e Maria Russo – sostenute dalla formazione di archi a parte reali del Maghini Consort.

La lettura di Claudio Chiavazza ha messo in grande evidenza il profondo senso del peccato dell’antico re di Israele – che nella visione di Bach è connaturato alla natura di ogni uomo – con evocativi chiaroscuri e una scelta di tempi calibrata con grande attenzione, che dimostrano la straordinaria modernità dell’espressione bachiana, in grado di comunicare con gli uomini e le donne dei giorni nostri con la stessa intensità e immediatezza che aveva sui fedeli della Thomaskirche di Lipsia di quasi tre secoli fa.

Da questi abissi introspettivi la cantata si libra alla fine nella assoluta certezza della misericordia divina, che viene espressa con fede adamantina nell’Amen conclusivo, eseguito dalle luminose voci del coro femminile.

Da uno dei massimi protagonisti della storia della musica si è poi passati a un compositore che gode di una fama nettamente inferiore rispetto ai suoi meriti, Francesco Durante, unico esponente della Scuola Napoletana a dedicarsi in maniera pressoché esclusiva al repertorio sacro, ma che godette della massima considerazione da parte di un intenditore come Bach, che ne trascrisse la Missa brevis in do minore nel 1727, quando occupava da quattro anni il posto di Thomaskantor e director musices a Lipsia.


Non si può che rimanere colpiti dall’altissimo magistero del compositore di Frattamaggiore, che con mezzi tutto sommato molto modesti – tre solisti (il soprano Arianna Stornello, il contralto Svetlana Skvortzova e il tenore Michele Concato), il coro a quatto voci e una formazione strumentale comprendente appena due violini, il violoncello e il basso continuo – ha saputo creare una gemma di somma eleganza ma dai toni mossi e vivaci, nei quali è possibile percepire qualche elemento di quella tradizione napoletana, che in quegli anni stava conquistando i pubblici di tutta l’Europa e 25 anni più tardi avrebbe raggiunto a Parigi l’apice del successo grazie alla clamorosa Querelle des bouffons.

Rispetto all’opera originale di Durante, Bach scrisse un duetto del tutto nuovo per il Christe eleison, utilizzò il tema iniziale del Gloria per il Kyrie II e rimaneggiò in maniera più che sostanziale il Gloria, per tornare a Durante all’Et in terra pax.

La spettacolare fuga dell’Amen conclusivo è stata salutata dal pubblico presente in sala con una vera ovazione, che è stata equamente suddivisa tra il divo Bach e il più modesto Durante, dimostrando la straordinaria espressiva del Barocco internazionale.

Giovanni Tasso

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 25/11/2017