Incontro con Claudio Astronio

L’organista e direttore bolzanino ci parla dei suoi ultimi dischi pubblicati dalla Brilliant Classics e ci svela i suoi prossimi progetti... assolutamente elettrizzanti!

Clavicembalista, organista e direttore di grande talento, Claudio Astronio ha dimostrato nel corso degli anni di possedere una versatilità che solo pochi suoi colleghi possono vantarsi di avere.

Questo fatto trova conferma soprattutto nelle sue eclettiche scelte repertoriali, che lo hanno visto confrontarsi con grande successo con opere e compositori noti e meno noti.

Sotto questo aspetto l’esempio più eclatante è costituito dall’integrale in sette dischi delle obras de musica para tecla, arpa y vihuela di Antonio de Cabezón, un monumentale progetto iniziato con la Stradivarius e portato a termine con la Brilliant Classics che avrebbe potuto rivelarsi una serie enciclopedica di scarso interesse per i non specialisti, ma che – grazie a una scelta molto oculata degli strumenti e a una costante attenzione alla resa espressiva dei contenuti più profondi di ogni brano – ha saputo rendere piena giustizia all’arte raffinata di questo compositore spagnolo, ottenendo un successo di pubblico e di critica che, come ha ammesso con sincerità lo stesso Astronio, non era affatto pronosticabile.

In seguito l’organista bolzanino ha compiuto – da solista o come direttore del suo ensemble di strumenti originali Harmonices Mundi – un vero e proprio Grand Tour dell’Europa del XVIII secolo, registrando le opere dell’inglese William Babell (Vo’ far guerra, Stradivarius), degli italiani Tomaso Albinoni (Cantate op. 4, Brilliant) e Alessandro Stradella, per arrivare fino alla Germania di Wilhelm Friedemann Bach (concerti per clavicembalo, Brilliant) e di suo padre Johann Sebastian, di cui ha pubblicato per la Stradivarius i diciotto Leipziger Choräle e una bellissima versione del Dritter Theil der Klavierübung.

L’ultima scoperta che Astronio ha offerto agli appassionati di rarità barocche è costituita dalle 12 cantate sacre giunte fino ai giorni nostri di Nicolaus Bruhns, un autore fino a questo momento quasi ignorato dall’industria discografica, nonostante il suo sorprendente livello artistico.

«Purtroppo della breve vita di Bruhns non conosciamo molto», dice Astronio. «Le pazienti ricerche di alcuni studiosi sono riuscite a stabilire che questo compositore nacque in una famiglia di musicisti e che ricevette le prime lezioni di organo da suo padre. Il suo precocissimo talento convinse la famiglia a inviarlo a Lubecca, dove ebbe la possibilità di perfezionarsi con Dietrich Buxtehude, che in quegli anni era tra i compositori più importanti della Germania settentrionale. I buoni uffici di Buxtehude spalancarono al giovane Bruhns le porte della corte reale di Copenaghen, dove però – forse a causa del suo carattere particolare – non rimase molto, visto che nel 1689 fece ritorno in Germania, trovando un posto da organista nella Stadtkirche di Husum.

Le autorità cittadine lo apprezzarono molto fin dall’inizio, visto che pochi mesi dopo il suo arrivo si affrettarono ad aumentargli considerevolmente lo stipendio, per evitare che si trasferisse a Kiel. Purtroppo la sua brillante carriera venne stroncata dalla morte il 29 marzo del 1697, poco prima che il compositore compisse il suo trentaduesimo anno di età».

I memorialisti dell’epoca ci hanno tramandato meraviglie di Bruhns, parlando con toni sinceramente ammirati della sua capacità di cantare suonando il violino ed eseguendo il basso continuo con la pedaliera dell’organo.

Un incredibile one man show. Al di là di questo fenomenale exploit esecutivo, Bruhns era apprezzato soprattutto per il suo talento di compositore.

«Oltre alle 12 cantate presentate in questo cofanetto, di Bruhns ci sono pervenute cinque opere per organo concepite nel più puro Stylus Phantasticus ma già aperte al futuro, che – come scrisse molti anni più tardi Carl Philipp Emanuel Bach – ebbero una profonda influenza sul giovane Johann Sebastian. In particolare, l’assoluta padronanza della tecnica violinistica di Bruhns appare del tutto evidente nella cantata Mein Herz ist bereit, la cui parte del violino prevede posizioni molto acute, frequenti arpeggi ribattuti e passaggi a corde doppie, una scrittura che si pone in linea con quelle di Heinrich Ignaz Franz von Biber e Johann Paul von Westhoff, due dei virtuosi più importanti dell’epoca, e che presenta difficoltà non inferiori rispetto a quelle delle sonate più impegnative del contemporaneo Arcangelo Corelli».

Nonostante questi aspetti molto apprezzabili, le cantate di Bruhns non hanno davvero goduto di una grande fortuna.

«In effetti è vero», conferma Astronio. «Dopo un oblio durato oltre due secoli e mezzo, il nome di Bruhns tornò nuovamente alla ribalta nel 1939, grazie a un’eccellente edizione critica, che avrebbe potuto riportarne le opere sotto la luce dei riflettori. Purtroppo, pochi mesi dopo scoppiò la seconda guerra mondiale, che lo fece cadere una seconda volta nel dimenticatoio. Negli anni Novanta il Ricercar Consort e l’ensemble Cantus Cölln realizzarono due pregevoli edizioni discografiche delle cantate di Bruhns, un po’ poco, però, per un compositore che aveva avuto l’onore di essere stimato da Bach».

Ascoltando i due dischi di questo cofanetto, sono rimasto colpito dalla ricchezza espressiva e dalla padronanza stilistica con cui Bruhns scrisse le sue cantate. Sotto certi aspetti le sue opere mi sono sembrate una sorta di anello di congiunzione tra le opere sacre di Heinrich Schütz e quelle di Bach.

«Onestamente non saprei dire se Bruhns possa essere considerato in questo modo. In ogni caso, nelle sue opere sono presenti sia elementi che guardano al passato di Schütz e di Frescobaldi sia spunti già rivolti verso il futuro e la sua ispirazione sacra appare animata da una sincera spiritualità, ben lontana dall’austerità stereotipata di parecchi suoi contemporanei».

La grande congenialità che l’ensemble Harmonices Mundi ha dimostrato di avere con il brillante stile di Bruhns potrebbe consentirgli di continuare l’esplorazione di un repertorio tanto vasto quanto ancora troppo poco esplorato e che potrebbe riservare un’infinità di sorprese.

«Sarebbe un bellissimo progetto, anche se per il momento non c’è nulla di definito. Tra tutti gli autori in cui mi è capitato di imbattermi nel corso della mia carriera, penso che la mia scelta cadrebbe su Buxtehude, un compositore di grandissimo talento, che continua a essere conosciuto soprattutto per le sue meravigliose opere organistiche, mentre la sua produzione sacra non è ancora stata inserita in un progetto discografico organico. Chissà che non succeda, sarei davvero felice di registrare le sue opere sacre!».

Dalle suggestive atmosfere sacre di Bruhns il secondo disco ci conduce nell’Italia di Alessandro Stradella, un compositore che Astronio conosce molto bene, per averne già registrato due oratori (Susanna e San Giovanni Battista), un disco di duetti e uno di arie. Un’attenzione decisamente focalizzata per un direttore come Astronio, che ama spaziare in un repertorio molto vasto, al punto che mi sono chiesto se non ci fosse un progetto di integrale.

«No, non ho intenzione di portare avanti un progetto di questo genere. Nel caso di Stradella mi sono limitato a scegliere le opere che mi piacevano di più. Nella mia decisione di incidere il San Giovanni Crisostomo hanno comunque contato molto le numerose recensioni positive e i riconoscimenti con cui le riviste specializzate hanno premiato i dischi precedenti».

A questo punto mi è venuto spontaneo chiedermi quali siano gli elementi del Crisostomo che hanno colpito così tanto il mio interlocutore.

«La prima cosa che mi ha colpito di questo oratorio è la presenza di una formazione strumentale limitata al solo basso continuo, un fatto piuttosto singolare per gli oratori che venivano eseguiti nella Roma papale di questo periodo, ma che sotto l’aspetto puramente musicale funziona molto bene, focalizzando tutta l’attenzione dell’ascoltatore sulle voci. In questo il Crisostomo si pone in netto contrasto con il Battista, che poteva contare sul concerto grosso delle viole da gamba. Oltre a questo – chiamiamolo così – formato tascabile, ho apprezzato anche la teatralità con cui Stradella sa esaltare la vicenda di san Giovanni Crisostomo e di Eudosia, i due protagonisti, che vengono delineati in maniera davvero efficace. D’altra parte, nell’epoca in cui venne composto questo oratorio il libretto rivestiva ancora un’importanza preponderante rispetto alla musica e sotto questo aspetto bisogna riconoscere che il compositore di Nepi ha saputo enfatizzare il testo di tutte le arie e di tutti i recitativi».

Questa teatralità applicata alla musica, pervasa da una intensità che ricorda le opere migliori di Claudio Monteverdi e di Girolamo Frescobaldi, richiede interpreti dotati non solo di una assoluta padronanza stilistica, ma anche di una spiccata capacità di esprimere gli affetti della musica.

«Sì, in effetti ho compiuto la scelta dei cantanti pensando alle caratteristiche dei personaggi. Renato Dolcini e Carlo Vistoli possiedono le qualità ideali per interpretare le parti di san Giovanni Crisostomo e dell’Inviato romano, mentre il tono tagliente e autoritario sfoggiato da Francesca Cassinari delinea alla perfezione il carattere di Eudosia. Come le ho detto, in questo oratorio le voci rivestono un ruolo determinante, per cui non bisogna trascurare il benché minimo dettaglio».

Vista e considerata l’ampiezza degli interessi repertoriali di Astronio, dalla rituale domanda sui progetti futuri mi aspettavo qualche succosa novità e devo ammettere di non essere rimasto affatto deluso.

«Per quanto riguarda la mia attività, nei prossimi mesi mi attendono diversi concerti che mi vedranno protagonista sia come solista sia come direttore. In ambito discografico posso anticiparle alcune novità, che verranno pubblicate nel prossimo futuro. Si tratta di progetti molto diversi l’uno dagli altri, ma voglio precisare che tengo nella stessa maniera a tutti, sia che si tratti di musica barocca sia che siano opere di autori contemporanei.

Prima di tutto, però, va detto che la Brilliant Classics ha appena pubblicato un cofanetto di sei CD dedicato ai concerti per clavicembalo, archi e basso continuo di Wilhelm Friedemann Bach, il primogenito di Johann Sebastian, un compositore dotato di un grandissimo talento che ci ha lasciato una produzione numericamente molto più ridotta rispetto al padre e al fratello Carl Philipp Emanuel, ma dalla scrittura ardita, molto innovativa per l’epoca in cui venne concepita e non di rado decisamente bizzarra [forse anche per la “vita spericolata” che condusse, ndr]. Venendo più vicini ai nostri tempi, sono in procinto di registrare un disco incentrato su alcuni lavori per organo di Philip Glass, tra cui Satyagraha e Koyaanisqatsi, che sarà pubblicato dalla Orange Mountain Records, la casa discografica di Glass, un fatto di cui sono estremamente orgoglioso. Per finire, sto elaborando un programma con Michel Godard, ma di questo – se me lo permette – ne parleremo la prossima volta».

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Articolo pubblicato il 09/01/2018