27 gennaio. Il giorno della memoria “incompleta”

100 milioni di nativi americani sterminati. L’ olocausto indiano che nessuno vuole ricordare.

27 gennaio 2018, nel giorno dedicato alla memoria dell’Olocausto consumato nei campi di sterminio nazisti, il pensiero va alla crudeltà dell’essere umano quando impersona il volto del male e della brutalità. Un giorno che dovrebbe essere dedicato a un contesto più vasto, affinché ognuno di noi cerchi dentro a se stesso il proprio lato oscuro, poiché la storia dell’uomo è una storia di genocidio che si rinnova.

Il buon senso indugia nel ricordare quel che è successo ad Auschwitz, la mente si interroga chiedendosi: come è potuto capitare? E mentre ci poniamo la domanda, nell’Africa nera, mai sazia di altri “Ruanda”, altri genocidi si compiono al suono dei Kalashnikov, moderna arma di distruzione di massa che continua un’abitudine più vecchia di Gengis Kan. Massacri in ogni luogo e ogni tempo sulla insanguinata pelle del nostro “Pianeta vivente”. Massacri remoti, massacri recenti, massacri nel nome di un dio o di una razza da sterminare, massacri nel Kosovo, a pochi km e pochi anni da noi, freschi massacri a Kabul e nel Kurdistan, in una terra di nessuno eppure, in qualche modo importante.

Giusto perciò, ricordare a noi stessi gli orrori di Auschwitz, la Shoah, la crudeltà della nostra colpa, anche italiana, ma in questo giorno della memoria unidirezionale, giusto sarebbe implorare perdono per ogni olocausto, anche quello taciuto o quello volutamente dimenticato. I nativi d’America popolavano l’intero continente americano, dalle gelide terre dell’Alaska fino alla punta dell’America del sud, alla Patagonia. Il sistematico sterminio compiuto dagli europei nei confronti di questi popoli, non fu solo l’eccidio di altri esseri umani, fu anche qualcosa di più assoluto e irreparabile, fu l’arrogante distruzione delle loro usanze e delle loro culture, totalmente diverse, distaccate dal concetto di possesso e legate al rispetto, all’adorazione, alla conoscenza e al contatto con la natura.

Un’etica di cui oggi ci sarebbe un gran bisogno, momento in cui l’uomo bianco e civile si sta preparando alla resa dei conti con il suo mondo malato, pattumiera a cielo aperto alle prese con le specie in via di estinzione, con il riscaldamento globale, con l’inquinamento elettromagnetico, con il terrorismo, con la paura della guerra nucleare.


Quando avrai bruciato anche l’ultima foresta e ucciso l’ultimo animale, cosa mangerai uomo bianco, i tuoi dollari? (Toro seduto, capo sioux Dakota)

Il massacro delle etnie native del continente americano, iniziò  quasi subito dopo la scoperta delle "nuove Indie" e fu praticato con ogni genere di raccapricciante modalità, con ogni nefandezza, dalle armi alle malattie, alla distruzione delle piante e degli animali con cui si nutrivano. Cristoforo Colombo, l’eroe il navigatore, fu il primo a cominciare la pulizia etnica senza pensarci troppo su, l’inizio di uno sterminio che ancora oggi pretende di essere riconosciuto e che, nel Nord America, si concluse alla soglia della Prima Guerra Mondiale. Una strage made in USA che grida anch’essa la propria reminiscenza.


l’Olocausto dei nativi americani, non solo dovrebbe entrare di diritto nel giorno della memoria, ma instaurarne un altro, quello della impunità e della vergogna, poiché rimane a tutt’oggi il più immane esempio di sistematica, spietata, continua e disonorevole pulizia etnica della storia.

Furono oltre 100 milioni gli esseri umani cancellati dalle loro terre a partire da quel 1492, anno in cui l'America divenne terreno di conquista per i “migranti” europei in cerca di terra promessa da colonizzare e fortuna da costruire con metodi spicci senza dover trattare più di tanto. Pratiche adottate anche in altri ambiti coloniali, l’Australia e i suoi nativi sono un altro esempio tra tutti.


Alla metà del secolo XIX°, nel Nord America la conquista del West stava concludendo il suo corso e buona parte dei nativi erano stati sterminati con ogni genere di crudeltà. Le tribù rimaste erano state trasferite dai loro territori con umilianti trattati e devastanti marce forzate per essere disperse in ''riserve'' sparpagliate negli Stati Uniti. Gli ultimi nativi ancora liberi, circa 300.000, abitavano le praterie tra il fiume Mississippi e le Montagne Rocciose. Le tribù più forti e combattive, guidate da leggendari capi, iniziarono con molto ritardo un trentennio d’improvvisata guerriglia che si concluse con la decimazione degli indiani, vinti non solo dalla superiorità delle armi, ma anche dalla infame strage pianificata dei bisonti (3.700.000 capi solo dal 1872 al 1874), prima disgregazione delle basi culturali e di sostentamento sulle quali si reggeva la società indiana.


Oggi i nativi americani contano 30.000 unità, sono ancora discriminati e confinati in aree marginali ed è solo da una cinquantina d’anni che la vera storia dello sterminio dei pellerossa sta lentamente trovando dignità, ma c'è ancora molto da fare. È solo una fetta di quanto le orde di europei applicarono ai popoli americani nel nome della civiltà.


L’America è lunga e una prolungata fetta di territorio aspetta il suo momento di celata verità su altri genocidi sepolti tra le foreste della dimenticanza. Onore a loro in queste poche righe, immaginando fossero probabilmente migliori di noi, sebbene frutto del medesimo impasto. 

È un momento di rapido pensiero a ritroso nel nostro calendario datato non a caso: D.C. e disseminato di sangue. È un impulso a cercare fuori e dentro di noi quale misteriosa eredità genetica pilota la mano più tremenda e più assassina dell'uomo, per immaginare poi quello che sarà in futuro questo mondo dalla coscienza sporca e sepolta in fosse comuni di umane bestialità impunite. Da ognuna di esse escono orrori e grida che chiedono anch’esse di non essere dimenticate, di rimanere vive in qualche memoria.

 

 

 

 

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Articolo pubblicato il 28/01/2018