Torino. Da Piffetti a Ladatte

Dieci anni di acquisizioni alla Fondazione Accorsi-Ometto

Prossimo ormai a traguardare il ventennio di onorata, sontuosa e preziosa attività, al momento dell’inaugurazione (correva l’anno 1999) l’allora Museo Accorsi era stato malignamente e inopinatamente definito da qualche livido detrattore “il Museo della polvere”…

Forse in virtù della luculliana quantità di arredi, dipinti, sculture e suppellettili che già ospitava, frutto della paziente e doviziosa ricerca operata dal fondatore, Pietro Accorsi (1891-1982). Quel noto e rispettato torinese, “principe degli antiquari”, che nel tempo seppe avvalersi di collaboratori autorevoli e competenti, fra i quali spicca il Cav. Giulio Ometto. A lui, suo delfino ed erede spirituale, Accorsi assegnò la Presidenza a vita dell’omonima Fondazione (divenuta nel 2010 Fondazione Accorsi-Ometto) nonché “il compito di predisporre un museo che potesse ospitare le sue collezioni d’arte”.

Negli ultimi anni tali collezioni sono state ulteriormente arricchite, anche grazie a una gestione patrimoniale attenta e oculata, capace di preservare l’assoluta autonomia finanziaria e progettuale dell’ente. E giustappunto alla presentazione della crème de la crème, circa un centinaio di opere fra le oltre duecentocinquanta introitate durante l’ultimo decennio,  è dedicata la regale mostra Da Piffetti a Ladatte. Dieci anni di acquisizioni alla Fondazione Accorsi-Ometto, visitabile presso il Museo di Arti Decorative Accorsi-Ometto sino al prossimo 3 Giugno 2018.

La curatela dell’evento è affidata al Presidente Ometto, coadiuvato dal Conservatore del Museo, Luca Mana.

Dunque, dopo una serie di esposizioni incentrate su protagonisti dirimenti della Pittura italiana - e piemontese in particolare (all’uopo si ricordino i due salotti dipinti con scene venatorie da Vittorio Amedeo Cignaroli), il Museo Accorsi-Ometto torna finalmente alla primigenia vocazione per le arti decorative tout court. L’intento è quello di proporre al pubblico un itinerario armoniosamente assortito, in grado di accordare il fasto degli arredamenti settecenteschi con la delicata raffinatezza dell’oggettistica e delle opere pittoriche: sempre nel solco di quel precipuo gusto Accorsi che ha saputo ricondurre a Torino produzioni di primaria rilevanza artistica. Storicamente fra di esse – donde la scelta del lessico musicale – troneggia un mirabile fortepiano proveniente dall’ambasciata russa di Parigi, ancor oggi utilizzato per eseguire magistralmente i repertori concertistici classici, fra i quali spiccano alcune recenti e soavi esibizioni dedicate a Mozart e Schubert.

Tornando alle nuove acquisizioni, un’importanza preminente rivestono ovviamente le opere dei torinesi Pietro Piffetti (1701-1777) e Francesco Ladatte (1706-1787).

Pietro Piffetti, nominato minusiere ed ebanista di Casa Savoia nel 1731, intese trasferire nel proprio mobilio un gusto e uno stile del tutto inusitati, in qualche maniera reminiscenti dell’opulento fraseggio architettonico e scultoreo berniniano (costituito dall’armonico alternarsi di superfici concave e convesse) che l’artista aveva avuto modo di sperimentare nel corso di un suo precedente soggiorno a Roma.

Visitando la mostra sarà dunque possibile ammirare, tra le altre produzioni del celebre ebanista, il nobile e leggiadro cofano-forte. Esso, realizzato in legno di palissandro e pruno, presenta altresì preziosi intarsi in avorio colorato che, peraltro, ne resero burocraticamente ostico il trasporto in Europa. Nel 2013 Maria Beatrice di Savoia lo cedette infatti a una casa d’aste, dopo averlo lungamente custodito presso la sua dimora messicana.

Le decorazioni in avorio smaltato rappresentano un elemento distintivo dello stile Piffetti: si ritrovano giustappunto in quasi tutte le sue opere, a cominciare dal raffinato ed estroflesso tavolino da centro (o buffetto), frutto di una recente riacquisizione. Narrano infatti le cronache come Pietro Accorsi, all’inizio degli anni ’40, avesse venduto l’elegante arredo a una enigmatica signora, solita approvvigionarsi di opere d’arte (sempre pagate in contanti) per il suo appartamento di Corso Peschiera. L’unica sua richiesta sarebbe consistita nell’impegno, da parte dell’antiquario, a ricomprare tutti gli oggetti, qualora la dama ne avesse fatto domanda. Cosa che avvenne circa un lustro più tardi, nel 1945: si vocifera dopo la morte di un influente industriale. Il buffetto passò ancora di mano, prima di essere recentemente ricondotto fra i tesori della Fondazione.

L’avorio dai riflessi adamantini rifulge altresì nei corpi lignei di due armadi pensili, caratterizzati anche da preziose addizioni in tartaruga. Uno dei due esemplari (che i vecchi proprietari avevano con nonchalance modificato per inserirvi degli elettrodomestici…) risulta temporaneamente conservato presso la Reggia di Venaria Reale dove, in primavera, avrà giustappunto luogo un’esposizione dedicata ai capolavori dell’ebanisteria barocca. Sul modello del viennese Museo del Barocco (ospitato al Belvedere), detta mostra venariese raccoglierà le produzioni più significative degli artisti di stanza presso la locale corte sabauda. Dunque, oltre a svariati mobili di Piffetti (plasticamente sospesi fra la ricerca del bello e il perseguimento del funzionale), vi figureranno altresì un maestoso coro ligneo di Luigi Prinotto (1685-1780) nonché un paliotto realizzato dallo “scultore regio” Giuseppe Maria Bonzanigo (1745-1820).

Per quanto concerne la mostra visitabile presso il Museo Accorsi-Ometto, merita rimarcare la presenza di una particolare scrivania, cosiddetta “mazzarina”, attribuita a un anonimo ebanista piemontese di inizio ‘700. Le dimensioni contenute, nonché l’incisione del monogramma “VA”, suggeriscono come essa fosse appartenuta al Principe Vittorio Amedeo Filippo di Savoia, prematuramente scomparso all’età di soli sedici anni.

Invece lo scultore Francesco Ladatte, dopo essere emigrato in Francia al seguito del padre (capo-cocchiere dei Principi di Carignano) e aver lì ultimato la propria formazione artistica, nel 1744 venne richiamato in patria dai Savoia i quali, acquisito il titolo regio nel 1713, intendevano ora circondarsi di artisti ben consci delle ultime mode in termini di celebrazione del potere. Ladatte fu infatti nominato “scultore in metalli” all’inizio dell’anno seguente.

La Fondazione Accorsi-Ometto si è recentemente aggiudicata (peraltro duellando, a colpi di offerte, con il Louvre) tre suoi meravigliosi gruppi scultorei in terracotta, materiale estremamente modellabile con cui l’artista soleva realizzare una prima versione delle proprie opere.

Il Trionfo della Virtù incoronata da geni e attorniata dalle Arti Liberali, mirabile per la cura e la delicatezza con cui sono resi anche i più minuti dettagli (in primis, l’ombelico della Virtù) appartenne storicamente al mecenate e finanziere Ange Laurent La Live. Egli – ironia del destino – maritò una certa Madame d’Epinay, nota alle cronache per i suoi comportamenti irriverenti nonché per la propensione con cui, mutuando un’espressione dantesca, ogni “libito fé licito in sua legge”.

Le altre due terrecotte, Allegorie dell’Autunno e dell’Inverno, rimandano al genere cosiddetto pastorale, molto in voga nel XVIII secolo e trasversale rispetto alla totalità delle discipline artistiche. Consistente nella presentazione di scene galanti o allegoriche (sempre collocate all’interno di un contesto ameno e bucolico) esso si rifà agli stilemi dell’Accademia d’Arcadia.

 


Per quanto concerne la Musica, l’esempio lapalissiano è quello de Le quattro stagioni di Antonio Vivaldi (1678-1741) a cui, oltralpe, si potrebbero facilmente accostare i Concerts Spirituels (primi concerti pubblici a pagamento della Storia, molto apprezzati anche dalla Regina Maria Leszcynska, moglie di Luigi XV) di Michel-Richard Delalande (1657-1726), nonché la tragedia lirica Hippolyte et Aricie composta da Jean Philippe Rameau (1683-1764).

In riferimento alla Pittura, gli esempi più fulgidi dello stile pastorale sono invece gli aerei e vibranti dipinti dei francesi François Boucher (1703-1770) e Jean-Honoré Fragonard (1732-1806), mollemente popolati da pastori, satiri e ninfe vezzose.

Un ulteriore filone esplorativo della mostra – in quanto a numero e pregevolezza dei reperti, ospitato all’interno di una vera e propria Camera delle Meraviglie – contiene una nutrita messe di objets montés, gli oggetti compositi (o, per l’appunto, montati) molto in voga a Parigi durante il ‘700. Essi constano di preziose figure in porcellana (afferenti massimamente alla manifattura di Meissen), acquistate in gran quantità dai marchands-mercier e poi assemblate all’interno di speciali montature metalliche (come quelle del torinese, poi francesizzatosi, Jean-Claude Duplessis). Fra gli esemplari esposti, merita sottolineare la presenza di un paio di splendide zuppiere riconvertite in pot-pourri, oltre a una raffinata coppia di doppieri decorata con le effigi di due monarchi dell’antichità, Ciro il Grande e Alessandro Magno.

Colpisce in quanto a eleganza e a beltà quasi marmorea, la serie di preziosi e levigati biscuits, suppellettili realizzate con la tecnica della porcellana non invetriata. L’esempio più significativo è senza dubbio quello della Marchande d’Amour (Venditrice di Amorini). Trattasi di un diafano capolavoro in stile Meissen, nel quale si scorgono due giovinette intente a selezionare gli Amori proposti loro da una fattucchiera. L’opera s’ispira a un affresco ritrovato a Pompei nel 1748.


Rappresentate anche le porcellane della manifattura di Vincennes, oltre a quelle della dinastia Qing, queste ultime rivelatrici di un profondo interesse per l’esotismo e per le culture orientali. Degni di nota anche il prezioso candeliere in bronzo dorato basato su un modello del disegnatore e orafo francese (ancorchè nato a Torino) Juste-Aurèle Meissonier (1695-1750), così come l’eccellente consolle da muro di manifattura torinese, in legno scolpito e dorato.

Lo spunto per alcune considerazioni curiose viene poi fornito da quattro poltrone, entrate recentemente a far parte delle collezioni Accorsi-Ometto. Esse afferiscono al tipo fauteuil (la classica poltrona a braccioli), sviluppatosi in Francia nella seconda metà del Seicento e tradizionalmente riservato all’avita aristocrazia di più alto lignaggio. Gli altri convenuti dovevano risolversi nello stare en debout (in piedi) oppure riparare su una più modesta chaise à dos, quando non direttamente su un tabouret.

Avviandoci ormai verso la conclusione di questo itinerario attraverso i nuovi allestimenti del Museo Accorsi-Ometto (“una casa” – ricorda giustappunto il Presidente Ometto – “arredata secondo il suo ed il mio gusto”), merita ancora proferire qualche parola circa le più recenti acquisizioni pittoriche dell’ente. Oltre ai due ritratti firmati dal pittore Giovanni Panealbo (1745 ca.-1815) e raffiguranti rispettivamente Vittorio Amedeo III di Savoia e la figlia Maria Teresa, il pubblico potrà altresì ammirare lo splendido ritratto della principessina Maria Luisa Gabriella di Savoia, proveniente dalla collezione di Amedeo d’Aosta e realizzato dall’artista di origine olandese Louis-Michel van Loo (1707-1771), attivo presso le corti francesi e sabaude. È invece di François Hubert Drouais (1727-1775) la tela dedicata a Maria Giuseppina di Savoia, contessa di Provenza e sposa del nipote di Luigi XV. Nonostante il sembiante visivamente raffinato, con tanto di rosa abbinata alle cromie del vestito, la contessa fu senza mezzi termini ripresa dal suo regale parente, il quale la invitò più volte a lavarsi il collo prima di esibirlo in pubblico.

In conclusione, dopo aver brevemente passato in rassegna alcune delle più significative opere raccolte negli anni dalla Fondazione Accorsi-Ometto, il pensiero torna spavaldo al significato di gusto Accorsi… Probabilmente infatti, al di là delle pur necessarie specificazioni didascaliche, esso è senza uggia riassumibile nella semplice dicitura di gusto per il bello… Quel bello che il filosofo Platone già concepiva in antichità come la ponderata alchimia con cui mescere sapientemente il finito con l’infinito…

 

Di seguito, viene riportato un breve vademecum di informazioni utili.

 

Da Piffetti a Ladatte.
Dieci anni di acquisizioni alla Fondazione Accorsi-Ometto
16 Febbraio 2018 – 3 Giugno 2018
 

Museo di Arti Decorative Accorsi-Ometto
Via Po 55

Orari
Lunedì, CHIUSO
Da Martedì a Venerdì, 10:00 – 13:00;  14:00 – 18:00
Sabato, Domenica e festivi, 10:00 – 13:00;  14:00 – 19:00

Orari visite guidate
Da Martedì a Venerdì, alle ore 11:00 e alle ore 17:00
Sabato, Domenica e festivi, alle ore 11:00, 17:00 e 18:00

Costi Mostra
Intero:  8 euro
Ridotto: 6 euro
Gratuito: bambini fino ai 12 anni di età, possessori Abbonamento Musei e
             Torino + Piemonte card

 

Costi Mostra con visita guidata
4 euro oltre al costo del biglietto

 

 

 

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Articolo pubblicato il 21/02/2018