Quando migliorare non è abbastanza

Renzi si dimette: la parabola di un leader che aveva provato a migliorare l’Italia

Dopo anni di crisi, quella iniziata nel lontano 2008, gli Italiani si aspettavano una politica che facesse ripartire il Paese.

In questi anni di centrosinistra, soprattutto quelli con Matteo Renzi alla Presidenza del Consiglio, il PIL è ripartito, la percentuale di sbarchi è diminuita, sono stati elargiti gli 80 euro strutturali ai redditi più bassi, il bonus bebè è servito per spingere la natalità, la riduzione del’Ires alle imprese avrebbe dovuto spingere la ripresa, il recupero dell’evasione ha battuto ogni record, i diritti civili tra cui il divorzio breve e il biotestamento sono stati un passo avanti.

Tutto bene, dunque? No, niente affatto: la paura per gli immigrati, l’assenza dell’Europa e la disoccupazione ancora a due cifre hanno offuscato tutto ciò che è stato fatto, cui si è aggiunta una ingenua e imperdonabile personalizzazione da parte di Renzi che ha avuto il suo epilogo con il suicidio del referendum costituzionale.

Dopo anni di centrosinistra, il Paese certamente non si può dire che non stia un po’ meglio; tuttavia, la crisi ancora in atto ha condotto gli Italiani verso il partito degli onesti (il M5S) e a quello del “prima gli Italiani” (la Lega), perché in fondo conta più quello che non si è fatto rispetto a ciò che di buono si è prodotto.

Sono ormai anni che gli Italiani desiderano un cambio di rotta, soprattutto di nomi, dai soliti (Berlusconi e Renzi) a favore di quelli nuovi (Salvini e Di Maio); ma anche di simboli, dai soliti (Forza Italia e Pd) a nuovi schieramenti che non hanno governato (M5S e Lega); e di programmi, dai vecchi leit motiv (meno tasse per tutti e aiuti a pioggia) ai nuovi slogan (prima gli Italiani, reddito di cittadinanza e stop immigrati).

Nella società mediatica, spesso la forma è assai più importante del contenuto. Volete mettere un rimettiamo in moto un grande piano di sviluppo per la manutenzione e il green per dare lavoro (Liberi e Uguali) con un più immediato diamo un reddito di cittadinanza a tutti (M5S)?

Volete mettere un integriamo i nuovi arrivati attraverso lo ius soli, un lavoro non in nero per tutti (Pd), con un mandiamoli a casa perché prima ci sono gli Italiani (Lega)?

Volete mettere un aumentiamo le risorse per le fasce deboli diversificate in assegni per le famiglie con una cifra diversa per ogni famiglia ma progressiva a seconda dei figli e magari con più aliquote irpef calcolate con una funzione matematica progressiva come in Germania (Liberi e Uguali) rispetto a un mettiamo una bella aliquota bassissima per tutti (Centrodestra)?

Volete mettere un investiamo nell’innovazione in modo che le nostre aziende vincano la concorrenza (centrosinistra) con un mettiamo i dazi contro i prodotti stranieri (Lega)?

Volete mettere un attenzione a uscire dall’Euro perché quando c’era la Lira stavamo meglio solo perché svalutavamo paurosamente la nostra moneta con un quando c’era la Lira eravamo più ricchi (fatto più casuale che causale)?

Nell’epoca in cui il linguaggio si fa sintetico (i periodi sempre più brevi e senza subordinate), gli articoli brevi del web fanno crollare le vendite dei quotidiani, i tweet di 140 caratteri sono il nuovo approfondimento sia di politici che di giornalisti, la semplificazione e lo slogan facile sembrano vincere anche in politica, e devono averlo compreso bene Lega e M5S: che poi semplificare significhi anche migliorare è tutto da dimostrare.


 

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Articolo pubblicato il 08/03/2018