Perché la Sinistra ha perso

La resa dei conti del Pd dinanzi all’emorragia di voti vero M5S e Lega

Al di là del protagonismo vero o presunto di Matteo Renzi finito a fare il capro espiatorio della sconfitta della Sinistra, è opportuno che quanto prima che il Pd faccia autocritica per comprendere le motivazioni di una disfatta preannunciata.

Da qualche giorno si discute se i valori storici di destra e sinistra siano sorpassati, se il M5S sia il nuovo partito di sinistra dell’immediato futuro, se il Pd si spaccherà ulteriormente.

Le ragioni per le quali il Pd ha perso la sfida di quest’ultimo anno sono, a mio avviso, essenzialmente tre.

La prima è che in questi ultimi anni, il Partito Democratico ha parlato in parte di problematiche legate al mondo del lavoro, dell’occupazione, delle sacche di povertà, ma anche molto di temi etici, come l’antifascismo, l’antirazzismo, il biotestamento, le quote rosa, le unioni civili, il divorzio breve, lo ius soli.

Il risultato è stato che, sebbene questi temi siano propri della Sinistra (non per nulla è progressista in contrapposizione alla destra conservatrice), in una fase storica dominata dal ristagno economico e occupazionale, queste tematiche si sono rivelate lontane dai problemi quotidiani di cittadini disoccupati, impauriti, di giovani senza futuro e di aziende che delocalizzano all’estero.

I problemi “veri”, invece, sembrano averli intercettati i due partiti vincitori che con una riduzione delle tasse grazie alla flat tax, la Lega, e con il reddito di cittadinanza, il M5S, hanno sostanzialmente promesso agli elettori soldi che, di questi tempi, valgono qualcosa in più dell’estensione dei diritti civili, indipendentemente dal fatto che poi queste soluzioni siano attuabili essendo l’Italia la più indebitata d’Europa.

Una seconda ragione della sconfitta è da attribuire alla soluzione sbagliata a problemi di “pancia” come l’occupazione. L’idea che, in un mercato che richiede più flessibilità, un partito di sinistra come il Pd definisca un pacchetto di riforme (il Jobs Act) che tolga tutele (via articolo 18 e riduzione dei contratti a tempo indeterminato) in modo da salvare capre e cavoli, ossia gli imprenditori sono più contenti con meno vincoli e i lavoratori trovano lavoro anche se scadente, non intercetta le speranze delle classi mediobasse che vogliono innanzi tutto stabilità; cosa che invece sembra aver intercettato ad esempio il M5S facendo del reddito di cittadinanza uno strumento di garanzia per la stabilità e la sicurezza individuale.

Infine, c’è una terza ragione, certamente più difficile da realizzare. Problemi come gli immigrati che vorrebbero lasciare l’Italia ma non possono per via del Trattato di Dublino o problemi di dumping fiscale che portano Paesi come la Slovacchia a far traslocare aziende come la Embraco via dall’Italia sono le conseguenze dell’incapacità di chi ci ha governato, e in questi anni è stato il Pd, di far sentire la propria voce a Bruxelles per ridefinire trattati e obiettivi di un’Europa non solo più monetaria, contrariamente, anche qui, a quanto propagandato da Lega e M5S che sembrano inclini a bypassare il problema volendo meno Europa, anche se questo non necessariamente rappresenta una soluzione efficacie.

Solo una Sinistra più keynesiana che investa sulla green economy, sull’istruzione, sulla digitalizzazione, sulla partecipazione a definire un’Europa non solo monetaria, sulla lotta all’evasione attraverso l’incrocio delle banche dati (altro che alzare il limite nell’uso dei contanti come ha fatto Renzi), sul potenziamento dei centri per l’impiego per far incrociare domanda e offerta di lavoro (su cui investiamo un quinto di quello che investe la Germania), sulla formazione continua (altro che quella prevista nell’ultimo contratto dei metalmeccanici che prevede per ogni dipendente l’obbligatorietà di “ben” 8 ore all’anno di formazione!) è una Sinistra che può ambire a riprendere il ruolo di partito in grado di contrarre la forbice sociale che attanaglia l’Italia con strumenti eco-sostenibili, ma nel senso di sostenibili economicamente, cosa che il reddito di cittadinanza e l’aliquota irpef al 15% non paiono essere in grado di fare visti gli ingenti stanziamenti economici necessari a metterli in pratica.





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Articolo pubblicato il 09/03/2018