L'EDITORIALE DELLA DOMENICA DI CIVICO20NEWS - Francesco Rossa: Italia, cosa?
Fotografia “Wikipedia”

Riflessioni fuori dal coro sulla nostra storia passata e recente

Mai come quest’anno, l’anniversario della proclamazione della Repubblica, una data entrata nel costume festaiolo degli Italiani, più che nelle coscienze, è stata preceduta da non pochi timori.

Alcune dichiarazioni proferite con superficialità da ministri e portaborse del nuovo corso, in disprezzo alle prerogative costituzionali del Presidente della Repubblica, sono state interpretate nel modo peggiore, con echi scomposti sui social, atti a provocare una ricaduta di rozza ignoranza sul ruolo delle forze politiche, sul dettato costituzionale, sulle funzioni e sulle competenze del Presidente della Repubblica.

Poi tutto si è svolto per il meglio, all’italiana… Tanta retorica e la Festa della Repubblica è scivolata via, senza approfondimenti o recriminazioni.

Ma, per “seguir virtute e canoscenza”, non è male porsi qualche domanda non certo sulla cronologia di fatti storici avvenuti, ma sul loro effettivo significato, per coloro che intendono risalire alla romanità ad ogni costo.

L’Italia è nata il 2 giugno del ’46? Certamente no. Forse il 17 marzo del 1861, quando viene proclamato il Regno d’Italia, partorito dalla cooperazione fra Cavour, Garibaldi, Napoleone III, il ministro Gladstone e il caso periglioso ma benevolo?

Neppure. A quale anno, a quale serie di eventi dobbiamo risalire?

Difficile dirlo. A quanto si insegnava nel secolo scorso, si dovrebbe risalire addirittura al 21 aprile del 753 a.C., data tradizionale della fondazione di Roma. Poi gli esegeti del nuovo corso potranno anche dire la loro.

E in effetti un consistente filo rosso tra la prima e la terza Roma si può facilmente ritrovare nella lingua, essendo l’italiano (quello parlato da Bologna in giù) figlio legittimo e primogenito della lingua latina, e se è vero che proprio attraverso la lingua possiamo recuperare l’immenso patrimonio culturale che costituisce, lo si voglia o meno, la nostra identità.

Politicamente le cose sono andate in modo assai diverso, ma alla fine la Politica si è accodata alla Cultura, e dopo la Patria è nato, bene o male, lo Stato.

Ora, quello che vorremmo dire è che in questa immensa vicenda le creature angeliche avevano qualche scheletro nell’armadio, e i malvagi qualche buona ragione da far valere.

I plebisciti organizzati in Romagna, Toscana e nel Meridione per giustificare le annessioni del 1860 furono largamente falsati dai brogli, e di molti esponenti dello stato borbonico fu comprato il tradimento.

D’altra parte non sono mai venuti meno i sospetti sul voto del 2 giugno, e nella circostanza colui che diede miglior prova di abnegazione e responsabilità non fu un repubblicano ma il Re di Maggio. Quell’Umberto II il quale, per evitare ogni rischio di scontri di piazza, prese l’aereo non appena uscirono i primi risultati del voto, e il 13 giugno del 1946 - pronunciando il motto “L’Italia innanzi tutto” - se ne volò in Portogallo per dare inizio al lungo, iniquo, infame esilio inflitto ai Savoia dalla neonata democrazia repubblicana.

Quel Re di Maggio che, un mese prima di partire per l’esilio, promulgò con decreto lo Statuto della Sicilia, regione autonoma, anticipando quanto poi disciplinato dall’articolo 116 della Costituzione…

Mai più imitato, nonostante le aspettative, da parte degli pseudo autonomisti delle salamelle che per vent’anni ci hanno governato, prendendo bellamente per i fondelli gli aneliti delle regioni del Nord.

La storia è un miscuglio di bene e di male, e spesso dal primo origina il secondo, e dal secondo il primo. Ognuno la osserva, la studia, vi immerge le mani. E vi sceglie i suoi miti.

Francesco Rossa
Direttore Editoriale
Civico20News.it

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Articolo pubblicato il 10/06/2018