La precarietà dei quarantenni di oggi, tra speranze e rincorse
I quarantenni di ieri erano quelli che si erano costruiti un futuro nella maggior parte dei casi sicuro, un futuro che non aveva bisogno del decreto dignità per essere degno, né del reddito di cittadinanza per garantirsi un reddito.
Il lavoro sicuro, il sistema retributivo e le vacche grasse delle casse inps garantivano loro una vita dignitosa, una casa solida, lo stesso posto di lavoro che durava (spesso) tutta la vita, che non doveva fare i conti né con l’immigrato che poteva minacciargli il posto di lavoro né con l’ipotesi di dover emigrare all’estero per vedere coronare le proprie ambizioni di ricercatore.
Chi sono i quarantenni di oggi? Sono i millioni di Italiani eterni secondi: secondo matrimonio, secondo impiego sottopagato, secondo contratto da precario (cococo, cocopro, jobs act, a tutele crescenti, a tempo determinato, part time, domenicale, …).
Per questi quarantenni, per non parlare dei più giovani, le parole contano più dei fatti, dal momento che decreto dignità, reddito di cittadinanza, tutele (crescenti) appaiono parolone suggestive, stimolanti, ma solo per quella politica, sia di destra che di sinistra, che non riesce a produrre soluzioni convincenti, visto che dal 2008 ad oggi il Paese vive in una fase stagnante.
La dignità a questi quarantenni non la si dà per decreto (strumento ormai abusato a partire dal governo precedente in sostituzione al dibattito parlamentare), non la si dà con l’elemosina di un reddito di cittadinanza, non la si dà attraverso tutele crescenti, ma la si dà creando lavoro, creando opportunità, creando un mondo dei centri per l’impiego sull’immagine di quello tedesco dove viene investito cinque volte di più rispetto all’Italia.
Prendiamo il caso della manutenzione del territorio (strade, ponti, edifici pubblici, costruzioni antisismiche), il caso dell’energia rinnovabile e/o a basso impatto ambientale (nucleare, eolico, fotovoltaico), il caso della ricerca, della biologia, delle telecomunicazioni, dell’alta velocità: sono enormi settori in cui investire e generare posti di lavoro.
In una sua famosa e toccante poesia “Aspettando i Barbari”, Costantino Kavafis, rivolgendosi a coloro che aspettano sempre che qualcun altro li aiuti, diceva “Perché mai tanta inerzia al Senato?/ E perché i senatori siedono e non fan leggi? / Oggi arrivano i barbari / Che leggi devon fare i senatori? / Quando verranno le faranno i barbari”.
Dopo essersi illusi che entrando nell’Europa Unita potessimo avere un aiuto, e solo in parte ciò è accaduto perché con ancora la Lira ipersvalutata staremmo certamente peggio, oggi il governo gialloverde non sembra più voler aspettare i barbari per fare le leggi, anzi inveisce contro quei supposti barbari affinché ci lascino governare nel più completo sovranismo.
Dopo circa due mesi di governo, sembra perdurare la filosofia dei decreti legge con pochi dibattiti parlamentari e allora, rileggendo Kavafis, viene da domandarsi: se non aspettiamo più i barbari, staremo forse aspettando solo l’autunno per far lavorare il Parlamento dopo mesi di stallo?
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Articolo pubblicato il 22/08/2018