La "Pietra della follia", le calcificazioni nel cervello e l'Alchimia. Alcune considerazioni in libertà su dipinti del passato che ritraggono una strana operazione chirurgica

E' nota la sofferenza delle persone che, avendo uno o più calcoli nella colecisti, riferiscono talvolta violenti dolori addominali. Meno conosciuta è la possibilità di soffrire di mal di testa, per la presenza di alcuni "calcoli", rintracciabili con le moderne metodiche, nel cervello. La letteratura medica riferisce di un ragazzo brasiliano che per almeno dieci anni ha riferito l'insorgenza di violenti  mal di testa e di problemi alla vista. Sottoponendosi  agli esami di routine,quali risonanza magnetica e TAC, sono stati dimostrati è depositi  di calcio nel cervello, dall'aspetto di calcoli.

Volgendo lo sguardo al passato ci si può rendere conto che, la possibilità di  riconoscere  calcificazioni nel cranio, era nota da tempo. Ce lo racconta un quadro del noto ed enigmatico pittore  Hieronymus Bosch, vissuto dal 1450 al 1516. Il quadro venne dipinto nel 1494  ed è oggi possibile ammirarlo al Museo del Prado di Madrid. E' interessante notare che a tale opera venne attribuito anche un altro titolo:  "L'estrazione della pietra della follia o la cura della follia" Un'iscrizione sul dipinto dice (in olandese antico), "Meester snijt die keie ras, Mijne nome è Lubbert Das", che può essere tradotto come: "Il Maestro, rapidamente  ha tagliato e asportato la pietra. Il mio nome è Lubbert Das".

Sono numerosi i quadri che rappresentano la procedura di estrazione di una pietra dalla scatola cranica di un vivente. Osservando simili rappresentazioni viene da chiedersi quale sia il messaggio che gli autori di epoche lontane abbiano voluto  sottoporre alla nostra attenzione. Una prima ipotesi potrebbe essere che sia stata loro intenzione quella di mostrarci "chirurghi" ciarlatani, capaci di ingannare parenti disperati, fingendo di  rimuovere una pietruzza da una ferita al cuoio capelluto incredibilmente sanguinosa, volendo agire  come placebo, per convincere i pazienti disperati che erano stati "guariti" da qualche loro malattia causata da quella pietra.

Gli scenari sembrano plausibili. La ciarlataneria medica era comune nel XVI e XVII secolo, come dimostrano i dipinti, i libri e gli editti dell'epoca. Tuttavia, non ci sono prove storiche tali da suggerirci che le estrazioni di pietruzze dal cranio siano state effettivamente condotte nell'Europa tardo-medievale o rinascimentale e tanto meno che tali truffe fossero frequenti e diffuse. Alcuni studiosi di storia dell’Arte suggeriscono che le estrazioni potessero essere  semplici trucchi effettuati durante spettacoli teatrali, o altre rappresentazioni associate a processioni religiose e che questi dipinti non siano mai stati intesi come documentazione di procedure reali. In ogni caso, sia gli storici della medicina che dell'arte, non hanno mai raggiunto la prova certa  che le operazioni fittizie raffigurate nella "pietra della follia" riflettano eventi reali o se siano allegoriche.

A quel tempo, tuttavia, la trapanazione  della scatola cranica,  cercando di non causare lesioni al cervello, era una procedura medica consolidata. Le prove archeologiche indicano che trapanazione cranica è stata praticata in tutta Europa (anzi, in tutto il mondo) fin dall’epoca preistorica. Nell'Europa medievale, vari esperti medici la raccomandavano in grande varietà di malattie, che vanno dalla frattura del cranio all'epilessia, alla follia e alla melancolia. Nel Medio Evo, in particolare, si era diffusa la credenza che la follia fosse causata dalla presenza di una pietra situata nel cervello. Da qui la finzione, come si vede nei dipinti dell’epoca, di un “intervento chirurgico” capace di far guarire dalla follia, semplicemente rimuovendo la pietra che la causava. Con un semplice gioco di prestigio ed una banale incisione dolorosa, ma senza dubbio non pericolosa, si mostrava al malato la pietra da lui estratta, dichiarandolo guarito dalla malattia, un vero e proprio inganno da ciarlatano professionista. Esiste però una malattia, oggi ben conosciuta, in grado di causare, fra le varie complicanze,anche la formazione di calcificazioni intracraniche, ed è la celachia.

L’intolleranza al glutine,o celiachia, è una delle malattie digestive più comuni oggi. Le sue conoscenze sono aumentate notevolmente negli ultimi vent'anni, l'unico trattamento conosciuto è la totale eliminazione del glutine dalla dieta. Prima di variare in modo drastico le abitudini alimentari, è necessario essere in grado di formulare una diagnosi precisa, elemento questo  facilmente realizzabile con le moderne attrezzature e metodiche. La maggior parte dei sintomi  della celiachia sono legati al tratto gastrointestinale e comprendono dolori di stomaco, costipazione e diarrea. Altri segni includono carenza di ferro, eruzioni cutanee, mal di testa e affaticamento.

Tuttavia, non tutti coloro che hanno la celiachia mostrano tutti questi sintomi, ma vi è la possibilità che compaiano sintomi neurologici nel 6-10% dei pazienti con celiachia.  E' raro, ma alcuni pazienti possono manifestare, oltre ai sintomi all’apparato gastro intestinale, sintomi neurologici. All’indagine dell’encefalo con le opportune metodiche, TAC o Risonanza magnetica, è stata dimostrata la presenza di calcificazioni cerebrali, sia pure in un ridotto numero di pazienti.   Non è chiaro esattamente come la celiachia porti alla presenza di tali calcificazioni intracerebrali, ma si suppone che una ridotta capacità di assorbimento del ferro, legata ai disturbi gastro intestinali, possa  giocare un ruolo importante in tale  processo.

Gli antichi pittori avevano forse assistito ad  interventi eseguiti allo scopo di estrarre queste calcificazioni dal pazienti celiaci? Non lo sapremo mai, ma restano i loro disegni e la supposizione, diffusa nel medioevo, che una pietra situata nella fronte fosse la responsabile della pazzia  dei poveretti che davano manifesti segni di squilibrio.  

Si tratta di una supposizione, perché il significato di tali opere pittoriche  potrebbe essere un altro ancora.  La mia personale idea di studioso di Alchimia   è che, in un epoca in cui si la si praticava dedicando a questa tempo e risorse in gran quantità, molte persone abbiano davvero perso il lume della ragione alla ricerca della Pietra Filosofale, la cui realizzazione è oltremodo difficile e richiede una dedizione assoluta.

Il monaco Tritemio, un uomo dalla indiscussa preparazione magico-alchemica, maestro di Paracelso e Agrippa, ci mette in guardia a proposito dello studiare una materia tanto difficile, con le seguenti parole:

"È pertanto l'alchimia una casta meretrice, che ha molti amanti, ma tutti delude e a nessuno concede il suo amplesso. Trasforma gli stolti in mentecatti, i ricchi in miserabili, i filosofi in allocchi, e gli ingannati in loquacissimi ingannatori...”

E allora, fra le varie ipotesi avanzate tutte da verificare, ne azzardo una anche io: è' possibile, mi chiedo,  che i familiari di qualche soggetto, attratto dalla ricchezza promessa a chi riesce ad ottenere il "Dono di Dio", altro nome  con cui è conosciuta la Pietra Filosofale, preoccupati dal congiunto impegnato a dissipare il capitale di famiglia, siano ricorsi ad un ciarlatano che, mimando l'asportazione dell'idea della Pietra (togliti dal cervello l'idea della Pietra), abbiano organizzato la sceneggiata di fare finta di asportargliela sul serio?

Messo di fronte al fatto compiuto il poveretto poteva a quel punto credere di essere "guarito" dalla sua mania, smettendo di preoccupare mogli e figli che, giorno dopo giorno, vedevano assottigliarsi il capitale, divorato dalle spese per l'acquisto di costosi macchinari che il poveretto non sarebbe mai stato in grado di utilizzare.  

Rimossa dunque la "pietra della follia, il folle sarebbe dunque guarito,  fornendo così una spiegazione che poteva soddisfare le persone dell'epoca, spiegando loro una malattia,la follia, che ancora oggi ci risulta misteriosa e complessa per quel che riguarda la sua origine e, ancor di più, per tutto ciò che concerne la sua cura.

 

 

foto TC cranio da: https://slideplayer.fr/slide/180185/

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Articolo pubblicato il 06/12/2018