La rivolta francese raccontata da francesi in una originale intervista

Quando chiedere direttamente può aiutare a capire di più su ciò che sta succedendo, su quanto potrà succedere in futuro. Effetto domino per l'Italia?

Per anni ho soggiornato a lungo in Francia e credo di aver capito qualcosa di quel popolo che chiamiamo “cugini”, ma in realtà ci assomiglia poco. È un popolo fiero, figlio di una Francia geopolitica che dura da più di 1000 anni, popolo pronto a compattarsi di fronte a una minaccia esterna, così come a dividersi al proprio interno quando il ripetersi del tempo risveglia la rivoluzione.

È un nazione illuminista, colta e raffinata, ma ancora in aria di Napoleone e di quel colonialismo che non ha più, se non nelle sue memorie. Sono europei che, sempre in lotta e in complotto con britanni, spagnoli e prussiani, hanno scandito la storia guerresca del nostro litigioso continente e quella delle sommosse, dalla presa della Bastiglia al ‘68, ed ora sono nuovamente in rivolta.

Macron ha fatto il suo discorso alla nazione, ha innestato qualche retromarcia, ha ammesso, concesso, ma la rivolta non dà segni di volersi affievolire.

La Francia inizia a un centinaio di km dalla città di Torino, teoricamente si dovrebbe sapere tutto o quasi di ciò che sta accadendo oltre la frontiera geografica; la catena alpina, poiché quella politica, almeno in teoria, non dovrebbe esistere più.

La rivolta dei gilet gialli e la sua reale portata, invece, non giunge chiara fino a noi, poiché chiara non è neppure in patria. È per questo che, potendo contare su un buon numero di cari amici disseminati sul territorio dell’”esagono”, mi sono mosso per un’indagine attraverso telefono, posta elettronica e social network, cercando di capire.

Ho chiesto a intellettuali e professori, a gente comune, a franco-vietnamiti, a 12 persone in tutto, e tanto è bastato per avere in ritorno un quadro su cui riflettere.

Il movimento di rivolta è giustificato da diseguaglianze sociali che interessano le famiglie con più basso potere di acquisto, mentre altre godono di stipendi o di pensioni esorbitanti. Ma il paradosso sembra essere l’adesione ai “gilet gialli” anche da parte di persone della classe media che sperano in un maggiore potere d’acquisto. Riflessioni sul fascino rivoluzionario che esercita su una grande fetta popolare il richiamo della società dei consumi, opinioni che hanno stimolato un’imprevista sequenza di attenzioni.

Interessante il commento di una dottoressa: “molte persone che restano per giorni sulle rotatorie si convincono d'essere i rivoluzionari con nulla da perdere, ma in realtà, in maggioranza hanno in testa solo l’ultimo modello di iPhone da 800 €."

Un’altra testimonianza plurima: “è un peccato perché, a parte le giuste rivendicazioni, è un movimento ingestibile, nessun sindacato, nessun rappresentante professionale alle spalle, ma solo tanti piccoli gruppi diversi e accomunati tra loro dal desiderio e dal fascino della ribellione. Potrebbe succedere di tutto, anche il peggio, una guerra senza quartiere".

E ancora: “ci sono argomenti importanti come il riscaldamento globale e la preoccupazione che il governo non si impegni abbastanza in questa direzione”.

Da un lungo messaggio: “Macron ha fatto dei passi importanti, ma non tutti li percepiscono, sembra che ormai si possa ragionare solo con la violenza! E il livello intellettuale della maggior parte dei gilet gialli sembra molto basso e senza speranza."

Dal sunto di una telefonata ad Avignone e commenti di altre persone: il tutto era sintetizzato in una profonda preoccupazione e un senso di frustrazione di fronte a una incontrollata forma di pseudo rivoluzione "generalizzata" che seriamente si teme possa espandersi per emulazione.

Questo è quanto posso riportare come voce di prima mano da parte di persone che stimo e godono di una buona reputazione. Niente di particolarmente rivelatorio, ma fresco e popolare, senza filtri da telegiornale.

Ed è qui che si innescano note estrapolate dai social network.

La Francia è vicina a una guerra civile, si spera non accada, ma è cosa certa che il suo spread non si sposta di un 1%, sebbene, di fronte alle concessioni di Macron, equivalenti a € 10 miliardi, il disavanzo francese salirà al 3,5%, mentre è guerra per quello italiano del 2019 "contrattato" con l' UE al 2,2%.

Vero è che debito pubblico francese è di molto inferiore a quello italiano, nondimeno salirà, ma nessuna voce sullo spread. Al contrario, se in Italia Salvini o di Maio hanno un progetto riformatore sgradito al potere di Bruxelles, si innesca il saliscendi.

Forse sarebbe il caso che l’informazione indagasse tra il potere bancario e le oscure fratellanze che tirano le fila dell’economia, della politica e della sorte di quelle repubbliche che fino a poco tempo addietro erano ancora stati sovrani. Occorre una chiarezza che da anni è offuscata da un dimostrato progetto di distruzione della ricchezza e della produttività del nostro Paese.

Il rischio è che il fascino della rivolta possa valicare le Alpi, a maggior ragione per una situazione socio economica per certi aspetti simile a quella francese, ma ben più degradata nelle cifre di disoccupazione e ricchezza pro capite.

Un fascino reazionario latente in un paese sempre meno colto, illuminato, informato e unito; rivoluzione facile da innescare in un’Italia per antiche & quasi oscure manovre, gradualmente isolata dal "centro" dell'Europa, impoverita, saccheggiata e sottomessa. È tempo di un nuovo Rinascimento!

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Articolo pubblicato il 12/12/2018