Lidio Ajmone. Il pittore che portò l'Africa agli italiani

“Laggiù si nutrì di sole e di colori, diventò semplice come forse non era mai stato, dimenticò tutte le ricette tecniche, trovò insomma sé stesso".

Era agosto 1925 quando il pittore Lidio Ajmone raggiunse a Mogadiscio il Governatore della Somalia Cesare Maria de Vecchi di Val Cismon, coetaneo e fraterno amico. Vi risiedette fino all'aprile 1927, ricoprendo il ruolo di pittore ufficiale.

Ajmone era nato a Coggiola, in provincia di Biella il 10 aprile 1884. All’età di nove anni, seguendo il padre notaio di trasferì a Torino. Dopo gli studi classici entrò a diciotto anni all’Accademia Albertina e successivamente fu allievo nello studio del pittore Vittorio Cavalleri, dove conobbe il giovane Cesare Maria, frequentatore anche lui dei corsi del maestro torinese.

Nel febbraio 1912, a guerra non ancora finita, partì per la Tripolitania, ospite del fratello Modesto, ufficiale medico. Durante la Prima Guerra Mondiale combatté, come capitano degli Alpini, nella zona del monte Vodil, dove rimase ferito guadagnandosi la Croce di Guerra. De Vecchi invece si era distinto negli Arditi guadagnandosi il grado di capitano e la proposta a Medaglia d'Oro per un'azione condotta con un ristretto numero di uomini nella Val Cismon, nella zona del Grappa. 

A Torino fu membro della Società Promotrice di Belle Arti e vice presidente del Circolo degli Artisti. Espose in tutte le mostre torinesi, tra cui l’esposizione di 90 opere coloniali presso la Promotrice al suo ritorno dalla Somalia, esposizione realizzata insieme allo scultore Biscarra (che si recò insieme a lui in colonia) dal titolo “Mostre Personali del Pittore Lidio Ajmone e dello Scultore Cesare Biscarra di Opere eseguite nella Somalia italiana dal 1925 al 1928”. Ajmone verrà premiato con il Diploma di Medaglia d'Oro.

Commentò su La Stampa il 30 settembre 1928 Marziano Bernardi: “Tre anni di dimora in Somalia durante il governatorato di Cesare Maria de Vecchi che li volle laggiù, hanno giovato ad entrambi, tanto al pittore quanto allo scultore. Si direbbe anzi che l’ambiente esotico abbia loro additato possibilità ch’essi stessi forse prima ignoravano. Siamo nel campo della rappresentazione impressionistica e spesso della documentazione folkloristica; ma scene di paese e di costume sono state portate via dall’Africa italiana con una vivacità, un’immediatezza, un gusto della narrazione che ancora non conoscevamo in questi due artisti, qui rappresentati da opere di prim’ordine”.

Espose ancora alla Promotrice di Torino nel 1929 con le opere Mercato della Verdura presso il Ponte di Rialto e Le roselline dell’Eridano e nel 1930 con Spiaggetta a Baveno, Riflessi, La fontana e La chiesa d’Antognod.

Espose inoltre a Genova, Novara, Casale Monferrato, Vercelli, Roma e all’estero ricevendo diversi diplomi e riconoscimenti. Paesaggista legato alla tradizione piemontese ottocentesca i suoi oli su tela andranno via via sempre più verso l’esaltazione del colore in stile impressionista; di grande qualità anche i ritratti di diversi personaggi della casa reale e in particolare ricordiamo il ritratto di Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e di Benito Mussolini.

In Somalia il Governatore lo impegnò in committenze pubbliche: decorò il Palazzo del Governo, il Circolo Coloniale e il nuovo Teatro. Ma le sue opere migliori risultarono gli scorci pittoreschi della città, i paesaggi somali e i costumi locali dipinti quasi tutti su tavolette con tratto rapido e impressionistico con stesura a spatola o con pennellate veloci dalle quali l'immagine scaturiva più dal colore che dai contorni delle figure.

Scrisse su La Gazzetta del Popolo il 4 ottobre 1928 Emilio Zanzi: “Laggiù si nutrì di sole e di colori, diventò semplice come forse non era mai stato, dimenticò tutte le ricette tecniche, trovò insomma sé stesso. Quel tanto di voluto, di incerto e di faticoso che si trova nelle pitture torinesi, aostane, liguri e verbanine del dopoguerra, più non lo si nota in queste cento descrizioni coloniali. Pur nella monotonia inevitabile delle tonalità un po’ gessose e dei motivi architettonici delle case e delle moschee, esse son davvero interessanti e piacevoli. Le più felici sono però le più rapide e le più piccole: quelle non più vaste di una carta da visita rendono mirabilmente l’immensità, l’ora e il colore del paese contemplato con religiosa tenerezza. L’Ajmone è riuscito a fermare l'abbagliante riverbero del sole sulle bianche mura del massiccio castello e sui minareti sottili, sulle palme e sulle scogliere rossigne. Per la tecnica a macchie e a chiazze, le vastità desertiche e la desolata solitudine delle praterie vibrano di tutte le fantastiche luci colorate e sentono la vampa del vento tropicale”.

Scrisse di lui nel 1936 Mario Angeloni: “È certo che tutti i quadri coloniali di Ajmone hanno l'impronta lirica, l'ardore di movimento che lo distinguono da ogni altro pittore d'Oriente”.

Tra le sue opere esposte poi al Museo Coloniale di Roma due di esse vennero acquisite dal Ministero delle Colonie per essere utilizzate come cartoline postali a fini propagandistici. Una rappresentava gli ascari del Regio Corpo Truppe Coloniali della Somalia e un'altra rappresentante una fanciulla somala di Avai, impegnata nella raccolta del cotone.

Dopo aver vissuto a Mogadiscio trascorse anche diversi anni a Rodi, isola italiana nell'Egeo, sempre al fianco dell’amico de Vecchi che vi fu governatore dal 1936 al 1941. Ritornò, malato, in Italia nel 1941 morendo ad Andezeno, piccolo comune a 20 km da Torino, il 25 settembre 1945. Il Circolo degli artisti, l’anno dopo la sua morte, gli dedicò la sua prima retrospettiva.

Molte delle sue opere esotiche vennero stampate in diverse serie di cartoline a colori: quelle della Somalia prodotte dal Sindacato Italiano Arti Grafiche Roma mentre quelle di Rodi dall’Istituto Italiano d’Arti Grafiche di Bergamo.

Purtroppo la maggior parte della sua produzione artistica venne distrutta nel corso della Seconda Guerra Mondiale, nella notte tra l'8 e il 9 dicembre 1942, durante un’incursione aerea alleata che colpì proprio il suo studio di Torino sito in via Po 39.

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Articolo pubblicato il 17/01/2019