Morte, notte della vita.

Vita e morte come giorno e notte.

Già tempo fa un famoso poeta italiano così si esprimeva:

 

“forse perché della fatal quiete tu sei l’imago a me sì cara vieni o sera”

 

Lo scorso articolo terminava con le seguenti parole:

 

“E poi cos’è la vita, cos’è la morte?

La stessa cosa, vista da troppo vicino!”

 

Il senso di tale affermazione deve essere approfondito oltre la semplice analogia dalla quale la abbiamo tratta.

Abbiamo infatti riferito ad una visione troppo ristretta e concentrata della vita il fatto che esista la morte.

 

Sarebbe come dire che guardando una piccola porzione di luna, il resto della luna non esistesse, non fosse ancora luna. Oppure che la parte nascosta della luna non fosse la continuità della luna stessa fino all’altro lembo visibile.

 

O ancora come dire che, focalizzando tutto ciò che siamo nello spazio di una giornata compresa tra le 8 del mattino e le 22 della sera, temessimo che tutto finisse con notte, nel sonno, e l’indomani non fossimo certi di svegliarci per un nuovo giorno.

 

Ma torniamo all’osservazione della vita.

 

Ciò che generalmente accettiamo come dato di fatto è che essa duri un certo lasso di tempo (più o meno cento anni se va bene), poi tutto cessi e sembri perdersi in qualcosa di sconosciuto, un nulla o un qualcosa che molti si affrettano o spiegarci in qualche modo, più o meno soddisfacente, più o meno sostenibile.

Tuttavia nulla si crea e nulla si distrugge, tutto si trasforma. Ed è ciò che accade alla vita. Essa si trasforma in uno stato di vita diverso che, a causa della nostra ignoranza, definiamo in modo troppo sbrigativo e perentorio morte, cioè assenza di vita.

 

Ma possiamo chiudere così la questione?

 

Per il solo semplice fatto che il corpo di cui disponiamo per un certo tempo ha terminato il suo lavoro, la sua ragione d’essere, tutto è finito?

 

Potrebbe forse essere diverso?

 

Esaminiamo alcuni periodi della vita allo stesso modo con cui osserviamo alcuni quadri dipinti con una tecnica speciale. Essi sono eseguiti in modo che sulla tela appaia un soggetto, ma sforzandoci di spingere il focus visivo un po’ oltre la tela, e attendendo un certo tempo, si veda apparire, come per incanto, un soggetto completamente diverso.

 

Che cosa accade infatti: accade che, lasciando un tempo di osservazione sufficiente, il cervello ha la possibilità di elaborare anche alcuni altri dati contenuti sulla tela, ma che non trovano subito un modello di riferimento nella memoria con cui confrontare, e quindi riconoscere, quanto visto con gli occhi.

 

Ora adottate lo stesso criterio con le parole che state leggendo e non fermatevi alla prima impressione, concedetevi il modo di andare oltre, e, liberando così le possibilità latenti in ognuno di voi, lasciate che nella vostra visione interiore succeda quello che deve succedere………………………………………

 

Alla nascita un essere umano si trova racchiuso in un corpo fisico ancora del tutto inadatto a svolgere molte attività autonome tipiche di un sistema adulto. Ci vogliono più o meno 30 anni perché tali possibilità si traducano in capacità reali e consolidate, in maturità funzionale.

 

Poi tale condizione permane per un certo tempo, per alcuni decenni, oltre i quali inizia a declinare fino a scomparire del tutto. O almeno apparentemente così accettiamo che sia per convenzione ed abitudine, trasformandola nel primo modello di riferimento memorizzato quando si parla di morte.

 

Se ora, anziché, chiudere così l’argomento, adottando lo stesso criterio descritto poco fa, lasciamo un po’ di tempo in più per riconoscere altri riferimenti memorizzati più profondamente, andando oltre a tale limite, vedremo apparire qualcosa altro nel nostro cervello. Infatti egli ora sta incominciando a processare ed elaborare i dati che gli provengono dagli occhi della coscienza, che sono in grado di captare contenuti diversi all’interno della stessa condizione.

Ci vogliono circa 30 anni perché tutti gli aspetti, fisici, energetici, emozionali e mentali siano in grado di funzionare in modo interagente e corretto. Ci vuole un tempo T perché dopo la morte essi si dissolvano dopo aver svolto le loro funzioni, lasciando una sintesi delle loro esperienze in memoria.

 

In quale memoria, se il sistema si dissolve?

 

Ma è poi così vero che il sistema si dissolve?

 

E se si dissolve, dove va a finire ciò che ne risulta, poiché nulla si crea e nulla si distrugge?

 

Oggi si direbbe in un posto non ben definito (nel cloud, nella nuvola) nell’universo digitale impalpabile ma tuttavia ben raggiungibile ad un certo indirizzo attraverso un percorso individuabile e richiamabile a comando.

 

Quale universo digitale?

 

Lo stesso nel quale ciascuno di noi costituisce lo strumento per individuare, richiamare e raggiungere quell’indirizzo nel quale ritrovare le informazioni necessarie allo sviluppo dell’universo stesso in cui siamo inseriti.

 

Tale banca dati è al servizio di tutti coloro che hanno trovato, trovano e troveranno quell’indirizzo, avvicendandosi nel nostro universo.

 

Cosa significa?

 

Che ognuno di noi eredita ed usa una banca dati preesistente alla sua comparsa nel mondo e poi, terminato il suo percorso, la lascia modificata dalle proprie esperienze. Dopo un certo tempo, un altro farà la stessa cosa; la prenderà in eredita e, insieme a parti personali proprie, ne sarà influenzato.

 

Un altro che comprenderà anche noi, ma che non saremo più noi.

 

O forse, diversamente …….

 

Provate a guardare negli occhi di un altro nel modo descritto poco fa e scendete nel profondo di quegli occhi che sono lo specchio dell’anima.

 

E, indovinate un po’ che anima vedrete?

 

Esattamente la vostra stessa anima!

 

Una sola anima per tutti i corpi che appaiono e scompaiono.

 

Una continuità che si esprime in forme diverse.

 

Solo vita!

 

Schema e testo

 

Pietro Cartella

 

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Articolo pubblicato il 27/01/2019