La TAV e la (de)responsabilità della politica

Le scelte sulla TAV Torino Lione potrebbero essere demandate ai cittadini tramite referendum

Negli ultimi anni, abbiamo assistito a un lento e sottile svuotamento della democrazia rappresentativa per togliere spazio al Parlamento e lasciarne di maggiore ad esecutivi e alla democrazia diretta.

Prima ci fu Silvio Berlusconi che, iniziando a mettere il proprio nome sotto il simbolo del partito, cominciò a inculcare ai cittadini che in fondo si andava a votare chi avrebbe dovuto governarli, dimenticando che il Presidente del Consiglio ancora oggi viene indicato dal Presidente della Repubblica e per tanto può anche essere scelto al di fuori dei candidati alle elezioni (si pensi ai governi tecnici come quello di Mario Monti).

Durante il Governo di Matteo Renzi, sono state moltissime le leggi passate a suon di voti di fiducia, esautorando così il Parlamento della propria vocazione a discutere sulle leggi come previsto dalla Costituzione.

L’arrivo del Movimento 5 Stelle ha portato in primo piano l’importanza del voto diretto, quello del popolo (si pensi alla piattaforma Rousseau dove ci si esalta per i voti digitali fatti da trentamila persone in una paese di sessanta milioni di abitanti).

La vicenda della TAV, iniziata molti anni orsono, si sarebbe dovuta per così dire concludere definitivamente con quanto emerso dal quel documento di ottanta pagine redatto da tecnici indicati dall’esecutivo avente l’obiettivo di far emergere il rapporto costi benefici sulla realizzazione del progetto.

Nonostante il documento sia stato completato, presentato anche al Parlamento Europeo, e letto, almeno ce lo auguriamo, da tutti i componenti del Governo gialloverde, la Lega pare non sia d’accordo su quanto è stato redatto e Salvini avrebbe ventilato la possibilità di dare l’ultima parola ai cittadini, attraverso un referendum.

La democrazia diretta può sembrane tanto bella, riempie di orgoglio gli elettori, chiamati in prima persona a decidere sul proprio futuro, ma a me pare evidente che, un conto è ricorrere allo strumento referendario per far loro decidere su un sì o un no alla caccia o al divorzio, un conto, invece, è costringerli a prendere decisioni su argomenti sui quali non hanno competenza.

Se, anche dopo la redazione di ben ottanta pagine di documenti tecnici messe a disposizione di addetti ai lavori, i nostri politici, da noi votati e da noi pagati lautamente per prendere decisioni strategiche per il nostro futuro, rimandano a noi la decisone sulla TAV, a me pare che, più che una spinta alla democrazia diretta, si stia andando verso una preoccupante spinta alla deresponsabilità della politica stessa.

Quando eleggiamo chi ci dovrà rappresentare per i prossimi cinque anni ci aspettiamo che quei rappresentanti in Parlamento e i Ministri indicati dal Presidente della Repubblica abbiano la capacità e la lungimiranza di decidere al posto nostro, poiché è questo il senso della democrazia rappresentativa.

Aveva ragione De Gasperi a dire che un politico guarda alle prossime elezioni mentre uno statista guarda alla prossima generazione: la decisione di realizzare o meno la TAV è una decisione a lungo termine ma, siccome mi pare che di statisti in giro ve ne siano pochi, questi politici pensano bene di rinviare la decisione o, ancora peggio, passare a noi cittadini la patata bollente attraverso il referendum.

 

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Articolo pubblicato il 17/02/2019