L’EDITORIALE DELLA DOMENICA DI CIVICO20NEWS – Sara Garino: “Ho visto cose che Voi umani”…

La dibattuta partita fra mente umana e intelligenza artificiale

Dai rover inviati nello spazio per studiare e sondare altri mondi (magari) colonizzabili, alla mano bionica capace di restituire almeno una parziale autonomia alle persone amputate, sino ai robot che – presenze più o meno visibili – popolano oggi le nostre case domotizzate.

Sono i progressi della Tecnologia, o meglio di quell’Intelligenza artificiale che ormai affianca e coadiuva l’essere umano in ogni sua intrapresa. Come si possa profilare questa convivenza nell’immediato futuro è oggetto di spinoso dibattito fra Scienziati, Sociologi ed Epistemologi.

Di certo, il vantaggio immediato e incontrovertibile consiste nella capacità, per le macchine, di elaborare celermente un’immensa mole di dati, altrimenti non gestibile one to one dalla mente umana. Si pensi per esempio ad AlphaGO, un gioco elettronico noto per essere il più complesso finora sviluppato: messo a punto dalla IBM, esso conta un numero di combinazioni di gioco superiore rispetto al quantitativo di atomi presenti nell’intero Universo… Su questa scala non c’è dunque partita, e le sinapsi dell’Uomo – per quanto laboriose – devono necessariamente cedere la palma a transistor e circuiti al silicio.

Oltre alla performance, conseguenza dell’accresciuta potenza di calcolo, i computer cominciano a denotare non indifferenti doti creative (un algoritmo della Boeing ha recentemente sviluppato una fusoliera ergonomica, capace di far economizzare il 18% del carburante necessario per un volo), mentre restano ancora (fortunatamente) lontani dal riprodurre e interpretare tutta la vasta gamma emozionale umana.

Quest’ultima constatazione apre al problema delle prospettive etiche, dovute alla convivenza sempre più serrata fra Umanità e Intelligenza artificiale.

Può o potrà mai un automa comportarsi in modo morale? E soprattutto, i criteri valutativi con cui orienterà le proprie decisioni saranno fissi oppure mutevoli a seconda delle informazioni in input?

Il caso standard è quello di un’auto senza conducente che, per evitare di travolgere una vecchietta scivolata sulle strisce pedonali, debba valutare se investire o meno un ragazzo senza casco a bordo di un motorino. Il dilemma non è di poco conto, specie in virtù di come alla base della scelta ci sia comunque un algoritmo preordinato, con tempi di risposta codificati e, in quanto tali, avulsi dall’istintività della reazione umana.

A latere dell’impatto sociale, altrettanto significative sono poi le ricadute sui modelli di business, nonché la loro influenza a livello di network macroeconomico, sociale e amministrativo. A questo proposito, mutuando il medesimo esempio dell’auto che si guida da sola, gli scenari possibili sono due. O la tecnologia fallisce, nel senso che non si dimostra sufficientemente sicura e dunque rimane fuori dal mercato, o lo colonizza. Ma qui, tuttavia, all’indubitabile vantaggio di spostarsi riducendo i pericoli dovuti all’errore umano (stanchezza, ubriachezza, imperizia etc…) e dunque il numero di incidenti, si accompagna il non scontato abbattimento della principale fonte di organi per i trapianti.

Anche in questo caso, le declinazioni etico-morali della scelta sono, di primo acchito, ambigue, così come quelle riguardanti la possibile diminuzione dei posti di lavoro.

Un ultimo aspetto dirimente, legato al tema dell’impiego, consiste infatti nella possibilità di organizzare infrastrutture informatiche che sostengano l’implementazione, su larga scala, degli algoritmi di Intelligenza artificiale. In merito, fresche di stampa sono le possibilità che si aprono con la connessione 5G: ben 10 Gb scaricabili ogni secondo, fino a una distanza massima di 2 chilometri.

Talune proiezioni paventano, entro la fine del 2020, la possibile perdita di ben 5 milioni di posti di lavoro, sterilizzati dall’Intelligenza artificiale incipiente. Sapendo di non poter arrestare il progresso, la soluzione ultima consiste certo nel promulgare norme che limitino la maggior competitività del lavoro automatizzato rispetto a quello umano, per esempio col viatico di una maggiore tassazione. Del resto, un bancario lavora “solo” 8 ore al giorno, va in ferie, si riposa durante le festività e può ammalarsi, mentre un bancomat presta indefesso la propria opera h24, 7 giorni su 7, per 365 giorni all’anno…, risultando perciò, in valore assoluto, estremamente più conveniente.

Dunque l’Intelligenza artificiale non uccide il lavoro, bensì il modello di business. Per sopravvivere occorre identificare bene il nemico e comprendere come, a detta del Prof. Erik Brynjolfsson del MIT, “non sono le macchine a portar via il lavoro ma le persone che le sanno usare”.

Ergo, serve capire la natura della vera innovazione, ovvero quell’Intelligenza aumentata che, coniugando le specificità e i primati tanto dell’Uomo quanto delle macchine, può garantire la copertura ad ampio spettro di tutti gli obiettivi conoscitivi attuali e in fieri.

Solo così l’Intelligenza del futuro, proprio come presentato nel celeberrimo film cult “Blade Runner”, potrà realisticamente asserire che… “ho visto cose che Voi umani non potreste immaginare”.

 

Sara Garino
Direttore Editoriale
CIVICO20NEWS

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Articolo pubblicato il 10/03/2019