Cuneo. Tempesta e Impeto

Il Festival dei Saraceni inaugura la sua cinquantaduesima edizione con un concerto dell’Academia Montis Regalis

Venerdì 28 giugno alle ore 21 nella Sala San Giovanni di Cuneo si terrà il concerto inaugurale della cinquantaduesima edizione del Festival dei Saraceni, il decano tra le rassegne di musica antica del nostro paese, che a partire da quest’anno verrà organizzato dall’Academia Montis Regalis dopo i tre anni di gestione dei Musici di Santa Pelagia, che nel 2017 hanno celebrato in grande stile l’edizione numero cinquanta con un cartellone di altissimo profilo.

 

Il concerto sarà preceduto alle 11 nella sede della Fondazione Academia Montis Regalis di Mondovì dalla conferenza stampa di presentazione sia della stagione sia del nuovo direttore musicale Enrico Onofri, con il direttore artistico Gastón Fournier Facio e il direttore gestionale Maurizio Fornero a fare gli onori di casa.

 

Alle 21 ci sarà il trasferimento a Cuneo per il concerto dei Giovani dell’Academia Montis Regalis diretti da Onofri, che si esibiranno in uno splendido concerto imperniato sulla corrente artistica della Sturm und Drang, con opere di Carl Philipp Emanuel Bach, Franz Joseph Haydn e Wolfgang Amadeus Mozart.

 

Poco prima della metà del XVIII secolo il progressivo cambiamento dei gusti estetici e l’affermazione di nuove correnti di pensiero contribuirono a rendere sempre più obsoleto lo stile barocco, nonostante la vitalità dimostrata da molti compositori.

 

 A farne le spese furono anche i grandissimi, con Johann Sebastian Bach che trascorse i suoi ultimi dieci anni da Thomaskantor di Lipsia da quasi separato in casa, con i membri del concilio cittadino in spasmodica attesa di mettere al suo posto un musicista più “moderno” e “innovativo” (per la precisione il raccomandatissimo Johann Gottlob Harrer, oggi caduto nell’oblio più fitto), e Georg Friedrich Händel che vide la clamorosa caduta della sua ultima opera seria Sosarme e scampò alla rovina solo grazie al Messiah che fece eseguire a Dublino (non a Londra) nel 1742.

 

Come si sa, quando si arriva alla fine di una pista, bisogna imboccare una strada nuova e al tramonto del Barocco se ne profilarono addirittura due, dalle caratteristiche radicalmente opposte. La prima si poneva in stridente contrasto con quella che veniva ormai percepita come una insopportabile artificiosità, privilegiando una cantabilità distesa e accattivante, che con la sua piacevolezza le valse il nome di stile galante.

 

La seconda prese invece le mosse da una corrente letteraria fiorita in Germania intorno alla figura del giovane Johann Wolfgang Goethe, anteponendo alla ragione venerata dagli illuministi una interiorità pensosa e irrequieta, che avrebbe posto le basi per il successivo Romanticismo. Questo stile, oggi conosciuto come Sturm und Drang (Tempesta e impeto), ebbe un effetto dirompente anche in ambito musicale, affascinando i giovani leoni che iniziarono ad affermarsi in Germania verso la metà del secolo.

 

È curioso notare come queste due tendenze antitetiche abbiano trovato due dei loro campioni più valorosi nella stessa famiglia, con Carl Philipp Emanuel Bach – noto come il “Bach di Berlino” – che divenne il portabandiera dello Sturm und Drang, mentre il suo più giovane fratellastro Johann Christian – il “Bach di Milano e Londra” – giunse a incarnare con le sue opere lo spirito più autentico dello stile galante.

 

Secondogenito del sommo Cantor lipsiense, Carl Philipp Emanuel Bach è uno dei protagonisti più trascurati della storia della musica, al punto da venire spesso bollato come una semplice figura di transizione tra il Barocco e il Romanticismo. In realtà, Emanuel fu uno dei pochi compositori del XVIII secolo che seppero rimanere più fedeli a loro stessi, anche a costo di scontentare con la sua accesa originalità il suo augusto datore di lavoro Federico II, amante fanatico dello stile italiano, che al cembalista che lo accompagnava regolarmente nei suoi soli per flauto corrispondeva un salario di gran lunga inferiore rispetto a quello che percepivano i fratelli Carl Heinrich e Johann Gottlieb Graun, ben più disposti ad assecondare i desiderata del monarca prussiano.

 

Non a caso, questo merito gli venne ampiamente riconosciuto da un intenditore come Ludwig van Beethoven, che tenne Emanuel in grande considerazione e ne studiò con infinito amore le opere per tastiera (soprattutto clavicordo).

 

 Nel corso della sua carriera, il Bach di Berlino compose dieci sinfonie, sei delle quali per soli archi, che vennero commissionate nel 1773 dal barone Gottfried van Swieten, che molti anni dopo avrebbe scritto il libretto per La creazione di Haydn. Nella sua richiesta, van Swieten – che allora ricopriva l’incarico di ambasciatore asburgico a Berlino – raccomandò al compositore di «dare libero sfogo alla sua ispirazione, senza farsi frenare da difficoltà esecutive», un fatto che dimostra al tempo stesso in quanta considerazione tenesse il taciturno Emanuel e il suo desiderio di avere opere di alto valore artistico e non semplici brani d’occasione.

 

 Prima di essere inviate al committente, queste opere furono eseguite di fronte a una sceltissima platea di intenditori di musica, che – come si legge in un articolo pubblicato molti anni dopo sull’Allgemeine Musikalische Zeitung – vennero accolte con unanime favore per la loro straordinaria originalità.

 

E l’originalità è proprio l’elemento che le caratterizza maggiormente, come si può notare per esempio nel Finale della Sinfonia in sol maggiore Wq. 182 n. 1, dove in una melodia deliziosamente cantabile fanno inopinatamente irruzione spunti dai tratti più irruenti, creando un contrasto quanto mai affascinante, e nell’Adagio contrale della Sinfonia in do maggiore Wq. 182 n. 3, dove il figlio di Johann Sebastian rese omaggio allo stile di suo padre e alla passione per le antichità di Van Swieten, facendo aprire il tempo ai violoncelli e ai contrabbassi con il motivo dal sapore vagamente arcaico BACH (composto dalle note si bemolle, la, do e si naturale), che molti anni più tardi sarebbe stato ripreso da Franz Liszt per una sua celebre fantasia e fuga.

 

Quando nel 1788 Carl Philipp Emanuel Bach si spense ad Amburgo, città in cui si era trasferito 20 anni prima per prendere il posto di Cantor tenuto fino a quel momento dal suo padrino Georg Philipp Telemann, il mondo della musica aveva eletto da tempo un nuovo nume nella persona di Franz Joseph Haydn che – dopo aver trascorso quasi tre decenni al servizio prima del conte Morzin e poi del principe Esterházy – trovò prima il successo a Vienna e poi la definitiva consacrazione con i suoi due trionfali soggiorni londinesi.

 

Oggi Haydn è considerato soprattutto uno dei padri nobili della sinfonia e del quartetto per archi, due generi che portò a un livello di inusitata perfezione formale grazie a una struttura di rara raffinatezza e a una accattivante vena melodica. Tuttavia anche il compositore di Rohrau si fece influenzare per una parte tutt’altro che irrilevante della sua carriera dalla tormentata poetica della Sturm und Drang, che trovò piena espressione in una serie di sinfonie scritte all’inizio degli anni Settanta da un Haydn poco meno che quarantenne, tra le quali si segnalano soprattutto la Sinfonia n. 44 “Funebre” e la Sinfonia n. 45 “Degli addii”, entrambe non a caso in tonalità minore (in mi minore la prima e in fa diesis minore la seconda).

 

Nonostante il suo titolo, la “Funebre” è un’opera dai toni seri e pensosi, ma tutt’altro che lugubri. Infatti pare che il soprannome di questa sinfonia derivi dal fatto che, molti anni dopo averla composta, Haydn si sia improvvisamente ricordato del tema del suo Adagio e abbia manifestato il desiderio che venisse eseguito in occasione delle sue esequie. In effetti, questo movimento è un vero gioiello, costruito su una melodia dalle sfumature sottilmente elegiache, che vengono stemperate da una soffusa luce di speranza che illuminò Haydn per tutta la sua esistenza e che trovano una meravigliosa sublimazione in un accorato crescendo.

 

A questa oasi di intensa profondità emotiva, nella quale Haydn si confida con l’ascoltatore con assoluta sincerità, fanno corona due tempi vivaci e vigorosi e un gradevole Menuetto, inserito stranamente in seconda posizione, forse per creare una netta separazione tra l’Allegro con brio iniziale e l’Adagio, che costituiscono i veri centri di gravità di questa sinfonia.

 

Con l’Adagio e Fuga in do minore K.546 di Wolfgang Amadeus Mozart vediamo ricomparire la figura del barone Van Swieten, che – dopo aver abbandonato la carriera diplomatica – si era dedicato anima e corpo alle arti, diventando uno dei principali mecenati del panorama musicale viennese. Questo coltissimo aristocratico di origine olandese aveva istituito quelle che lui stesso aveva definito “esercitazioni musicali della domenica”, nel corso delle quali faceva di tutto per diffondere il culto dei grandi autori del passato, in primis Bach (anzi, i Bach) e Händel. Alla fine del 1781 a uno di questi concerti prese parte anche Mozart, che era sbarcato da poco a Vienna da Salisburgo.

 

Pur non essendo incline per natura a facili entusiasmi, Mozart rimase profondamente colpito dalle opere che gli capitò di ascoltare, al punto da decidere di comporre una serie di lavori in stile contrappuntistico, tra cui la Fuga in do minore per due pianoforti K.426. Nel 1788, il compositore rielaborò questo brano dagli accenti fortemente drammatici per quartetto (od orchestra) d’archi, aggiungendovi un’introduzione lenta, che non fa altro che esasperarne ancora di più la tensione espressiva, collocandosi di fatto nell’estetica inquieta dello Sturm und Drang, un ambito che pochi tendono ad associare al grande Salisburghese.

 

Con quest’opera di raro ascolto Mozart gettò uno sguardo verso il futuro della musica, quel Romanticismo che avrebbe iniziato ad affermarsi proprio a Vienna con il Beethoven più maturo e il genio al tempo stesso fanciullo e visionario di Franz Schubert.

 

 

PROGRAMMA

 

Carl Philipp Emanuel Bach (1714-1788)

Sinfonia in do maggiore Wq. 182 n. 3 (Sinfonia Amburghese n. 3)

Allegro assai – Adagio – Allegretto

 

Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791)

Adagio e Fuga in do minore per archi K.546

 

Carl Philipp Emanuel Bach

Sinfonia in sol maggiore Wq. 182 n. 1 (Sinfonia Amburghese n. 1)

Allegro di molto – Poco adagio – Presto

 

Franz Joseph Haydn (1732-1809)

Sinfonia n. 44 in mi minore “Funebre”

Allegro con brio – Menuetto. Allegretto – Adagio – Presto

 

I Giovani dell’Academia Montis Regalis

 

Enrico Onofri, violino e direzione

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Articolo pubblicato il 27/06/2019