L’EDITORIALE DELLA DOMENICA DI CIVICO20NEWS - Francesco Rossa - Le radici italiane della violenza contro le forze dell’ordine.

Non dimentichiamo le 757 firme dell’infamia e della vergogna degli esecutori morali del delitto Calabresi

La brutale uccisione del vice brigadiere dei Carabinieri Mario Cerciello Rega, consumata nella notte di giovedì 25 luglio ad opera di due ragazzi statunitensi con undici coltellate  durante un controllo nel quartiere Prati, a Roma è un dato incontrovertibile che ha suscitato nel Paese e non solo, sentimenti di umana pietà.

Permane, purtroppo un po’ di confusione sulle circostanze  intorno a questo delitto, ma il tributo di sangue del Servitore dello Stato è fuori discussione e merita rispetto.

 

Questa tragedia, come già abbiamo avuto modo di sottolineare in un articolo pubblicato la scorsa settimana, ha fatto emergere  la punta più dolorosa di un iceberg quasi del tutto ignorata dai media.

 

Sette volte al giorno, ogni tre ore e mezza, viene aggredito un tutore dell’ordine e le percentuali sono in crescita. Dato ancora più scomodo è che, nel 2018  il 47,8% delle aggressioni avvenute durante ordinarie attività di controllo del territorio sono state commesse da stranieri. Per l’esattezza, 1264 su un totale di 2646 aggressioni, in incremento rispetto al 2017 quando la percentuale fu del 45,7%.

 

I dati statistici provengono dall’osservatorio “Sbirri pikkiati” dell’Asaps, Associazione Sostenitori e Amici della Polizia Stradale, che registra i soli attacchi fisici (causa di lesioni refertate) agli operatori di polizia durante i controlli su strada.  

 

I dati per il 2019 ancora non sono stati resi ufficiali, ma si dovrebbe oltrepassare la soglia del 50% per le aggressioni da parte di stranieri.

Altri elementi significativi riguardano il fatto che, nel 2018, il maggior numero di queste ha riguardato l’Arma dei Carabinieri con 1.210 episodi, pari al 45,7%. Seguono a ruota le aggressioni alla Polizia di Stato con 1.137 episodi, pari al 43%. Sono stati, poi, 305 gli attacchi alla Polizia Locale, l’11,5% del totale.  Il 2,6% ha riguardato altri corpi.

 

Su questi elementi oggettivi, un giovane consigliere comunale di Settimo Torinese, Antonio Borrini, ha cercato di focalizzare l’attenzione dei suoi colleghi, presentando un odg. in consiglio comunale, prontamente bocciato dal PD e dai grillini.

Risultato purtroppo che conferma l’indifferenza di certa politica ad un problema che somiglia ogni giorno di più a una tragedia.

 

Ce lo spiega il presidente di Asaps, Giordano Biserni: “Tutto questo avviene nell’indifferenza pressoché totale dell’opinione pubblica e della stessa politica. Ora, con il Decreto sicurezza bis vedremo se qualcosa migliorerà, ma le leggi, per quanto apparentemente severe, bisogna vedere come vengono applicate – o aggirate – dai magistrati”. Che così prosegue:” Il problema grosso è che, a livello di percezione collettiva, sono drasticamente venute meno l’autorevolezza e l‘autorità delle Forze dell’Ordine. In troppi si permettono di insultare, sbeffeggiare gli uomini in divisa, consci dell’impunità. Esemplare il recentissimo episodio di tre giovani bulli che, dopo aver appena finito tre anni di lavori socialmente utili, a dimostrazione di aver pienamente imparato la lezione, hanno pubblicato un video mandando a fanc….. la Polizia”.

 

”Complici sono anche molti media – continua Biserni – sempre pronti a puntare il dito sul poliziotto cui talvolta può capitare di usare maniere un po’ più dure per immobilizzare l’aggressore, o chi ha commesso un reato”.

 

Il pietismo del pubblico non va solo contro gli aggressori umani degli agenti. Basti pensare che, pochi giorni, fa un pregiudicato ha sguinzagliato il proprio pitbull contro i poliziotti che volevano arrestarlo. Quando un agente ha abbattuto con la pistola il cane inferocito, sono venuti fuori titoli di giornale in difesa del “povero cane”, ucciso solo per “aver difeso il proprio padrone”.

 

Il mix letale di buonismo e strumentalizzazioni politiche, sta disgregando le garanzie su cui poggia la pace sociale assicurata dalle Forze dell’Ordine. Eppure metodologie non letali per prevenire queste violenze ci sarebbero.

 

Questo fenomeno non è nato oggi, ma ha radici lontane ed anche scomode.

Oggi puntiamo sull’ignoranza, la complicità dei media, il buonismo cattocomunista e tante altre situazioni ancora. Ma non dobbiamo dimenticare la lunga stagione del terrorismo, quando, nonostante il piombo soffiasse sulle teste di persone inermi e di servitori dello Stato, sono parimenti emerse le voci autorevoli dei “cattivi maestri” ad incitare alla violenza.

 

Chi non è più giovane ricorderà le prese di posizione che precedettero la barbara uccisione del commissario Calabresi, con l’intervento degli oltre 750 intellettuali e docenti universitari che, firmando una lettera contro Calabresi avevano, seppur indirettamente, contribuito ad alimentare il clima ostile che portò poi all’uccisione del commissario ad opera della Brigate Rosse.

 

Infatti, ben prima della sentenza definitiva  (il 13, 20 e 27 giugno 1971 sull’Espresso) nel testo della lettera di accusa, Calabresi veniva identificato come il responsabile della morte di Pinelli e definito «commissario torturatore».

 

Il commissario Calabresi, addetto alla squadra politica della questura di Milano e spesso incaricato di controllare le manifestazioni dell’estrema sinistra, convocò nel 1969 il ferroviere Giuseppe Pinelli in quanto indagato per la strage di piazza Fontana. Il 15 dicembre Pinelli morì dopo essere precipitato dalla finestra dell’ufficio del commissario.

 

Luigi Calabresi si dichiarò estraneo ai fatti, aggiungendo di non essere stato nemmeno presente nella stanza. Cinque poliziotti confermarono la loro presenza e l’assenza del commissario, chiamato a rapporto dal suo superiore. Nell’ottobre del 1975 la sentenza sulla morte di Pinelli, dopo l’inchiesta, escluse sia l’ipotesi del suicidio e definì la morte come accidentale, a causa di un malore. Venne anche confermata l’assenza di Calabresi al momento della morte di Pinelli.

 

Tuttavia diversi quotidiani, in particolare “L’Espresso”“L’Unità”, imbastirono, senza alcuna prova, una campagna diffamatoria contro Calabresi, accusandolo di omicidio e di torture.

 

In seguito a tale lettera il clima si infiammò ulteriormente, comparvero minacce sui muri e intimidazioni via lettera, fino a che il 17 maggio 1972, Calabresi fu assassinato da due sicari. Anni dopo si scoprì che i mandati furono Giorgio Pietrostefani e Adriano Sofri, allora leader del movimento e oggi, quest’ultimo, collaboratore di “Repubblica”.

 

Riproponiamo ai lettori il testo della Lettera:

 

“Oggi come ieri - quando denunciammo apertamente l'arbitrio calunnioso di un questore, Michele Guida, e l'indegna copertura concessagli dalla Procura della Repubblica, nelle persone di Giovanni Caizzi e Carlo Amati - il nostro sdegno è di chi sente spegnersi la fiducia in una giustizia che non è più tale quando non può riconoscersi in essa la coscienza dei cittadini. Per questo, per non rinunciare a tale fiducia senza la quale morrebbe ogni possibilità di convivenza civile, noi formuliamo a nostra volta un atto di ricusazione.

Una ricusazione di coscienza - che non ha minor legittimità di quella di diritto - rivolta ai commissari torturatori, ai magistrati persecutori, ai giudici indegni. Noi chiediamo l'allontanamento dai loro uffici di coloro che abbiamo nominato, in quanto ricusiamo di riconoscere in loro qualsiasi rappresentanza della legge, dello Stato, dei cittadini”

Tra i nomi di maggior spicco ricordiamo: Norberto Bobbio, Carlo Lizzani, Enzo Mauro, Riccardo Lombardi, Guido Quazza, Folco Quilici, Franca Rame, Franco Antonicelli, Carlo e Vittorio Ripa di Meana, Umberto Eco, Giulio Einaudi, Paolo Mieli, Inge Feltrinelli, Ernesto Ferrero, Giorgio Bocca, Toni Negri, Carlo e Franca Mussa Ivaldi, Umberto Terracini.

 

E’ superfluo precisare che nel corso di questi lunghi anni, molti dei firmatari si siano distinti in contorcimenti ideologici e giunsero sino a prendere le distanze dalla loro firma, sempre però animati da un intento carrieristico che la Storia può ben documentare.

 

Il clima, come già accennato,  era pervaso  da un odio viscerale nei confronti delle divise e i risultati sono stati drammatici. Ed oggi non è meglio.

 

Francesco Rossa - Presidente Onorario di "Civico20news"

 

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Articolo pubblicato il 04/08/2019