Omaggio all’atleta paralimpica Marieke Vervoort, morta dopo aver scelto l’eutanasia come ultima cura alla sua crudele malattia - Di Carlo Mariano Sartoris, tetraplegico dal 1986

E breve richiamo ai casi più eclatanti che hanno portato l’Italia verso il testamento biologico

Vi sono vite segnate da esigenti sventure che le rendono insostenibili. Sono vite scolpite da sciagure o malattie degenerative che rosicchiano il corpo e logorano il morale, reclamando di più ad ogni giorno che passa.

È ostico scrivere di queste cose senza una certa condivisione, l’autore di queste righe ce l'ha da 32 anni. Se non avesse esperienza di codeste realtà, non oserebbe andare oltre l’asettica cronaca, inserendo opinioni e turbamenti.

Perdere la mobilità del corpo è vivere in uno spazio minimo, a volte solo interiore, spesso tra dolori che fanno man bassa d’ogni resistenza, d’ogni forza morale. Nei momenti più duri, capita di pregare una benevole morte che non arriva, non ancora. (Confidenze tra disabili).

Lunedì 21 ottobre l'atleta paralimpica belga Marieke Vervoort, all’età di 40 anni, ha posto fine alla sua vita ricorrendo a un'eutanasia preordinata da tempo. La Vervoort, vincitrice di un oro e di un argento alle Paralimpiadi di Londra 2012 e di altre due medaglie a Rio 2016, soffriva di una malattia muscolare degenerativa incurabile che le provocava dolori costanti, crisi epilettiche, paralisi delle gambe e le impediva di dormire.

Marieke Vervoort da anni viveva insieme a Zenn, un Labrador addestrato per fornirle assistenza, un compagno e badante fedele con il quale amava farsi fotografare. Nel 2008 la campionessa paralimpica aveva sottoscritto un documento per consentire, in futuro, a un medico di fare il possibile per garantirle un sereno trapasso.

I trattamenti di fine vita sono legali in Belgio dal 2003, e questo è quanto riportano le cronache, senza ascendere in dettagli come in altri casi è stato, mentre il discorso del fine vita assistito, in Italia ha affrontato nel recente passato, percorsi conflittuali, mediatici e profondamente toccanti.

Sono passati 13 anni da quando Piergiorgio Welby, sconfitto dalla distrofia muscolare, aiutato dall’anestesista Mario Riccio e dei suoi familiari, scelse di spegnere la propria esistenza fermando il respiratore che lo teneva in vita. Ricordo ancora vivo perché fu il primo a colpire le coscienze di un’Italia assopita e pia.

Nel 2007 Giovanni Nuvoli, afflitto da Sla, dopo aver visto respinti i suoi appelli per porre fine a un’umiliante esistenza, ha scelto la potente decisione di lasciarsi morire nella sua villetta di Alghero dopo un estremo sciopero della fame.

Nel 2009 l’opinione pubblica italiana è spaccata dal caso di Eluana Englaro, da 17 anni in coma vegetativo dopo un incidente stradale. È il padre Giuseppe che si è impegnato nel rispettare il desiderio della figlia che, quand’era in buona salute, aveva espresso di non desiderare accanimenti terapeutici nel caso fosse incappata in qualcosa di terribile.

Altro caso noto è stato quello di DJ Fabo, al secolo: Fabiano Antoniani, cieco e tetraplegico dopo un incidente stradale. Nel 2014 è approdato in una clinica svizzera per poter usufruire del suicidio assistito e liberarsi: “di una tortura insopportabile e infinita”. Gli strascichi giudiziari si sono risolti da poco.

L’aspetto straziante di una morte a pagamento in un’asettica clinica svizzera, anziché tra l’intimità delle mura domestiche, è una distorsione monetaria, un insulto nei confronti di un gesto disperato che invece reclama omaggio e deferenza.

La strada per la Svizzera ha visto altri connazionali migrare in cerca di un approdo per l’ultimo gesto. Dopo DJ Fabio, Davide Trentini malato di sclerosi multipla dal 1993, e poi Loris Bertocco, paralizzato dall’età di 18 anni; giunto ai 59, dimenticato dalle istituzioni ha scelto la via di Zurigo e dell'autonoma liber-azione.

Dobbiamo riverire così troppi, smisurati tormenti se nel nostro Paese, La legge sul fine vita (biotestamento) del 22 dicembre 17, n. 219, finalmente è stata disciplinata nel 2017 (testo consultabile sulla Gazzetta Ufficiale): 

https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2018/1/16/18G00006/sg

La legge è entrata in vigore il 31 gennaio 2018 e a parere di chi scrive, è un provvedimento che ha socchiuso la porta a più possibilità, depenalizzando pietose complicità. Da quel momento è calato il clamore sui casi nostrani.

È un bene lasciare che certe storie non cadano preda dell'audience, come la recente vicenda di Vincent Lambert, infermiere francese in stato vegetativo al centro di una faida familiare, religiosa e mediatica, degna d’un gossip, anziché d’un dramma da trattare in punta dei piedi.

Storie di indescrivibile sofferenza che hanno segnato anche la vita della giovane Marieke Vervoort. Ora l'atleta belga non è più in caccia di record, ha tagliato il traguardo dell'ultima corsa laddove è difficile esultare per la vittoria. È un misterioso terminal che aspetta ogni forma di vita, diverso è desiderarlo al di là di ogni umana aspirazione, ultima dignità da dedicare a se stessi, ma estremo limite di libertà.

Carlo Mariano Sartoris, tetraplegico dal 1986

Immagini Diario As 

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 26/10/2019