«A volte ritornano e a volte no»

Un racconto di Maria Rosa Arena

«Non sapete cosa mi è capitato...» disse Marì, guardando alcuni suoi compagni di corso: erano in piedi davanti all’ingresso del centro culturale e aspettavano Valerio.

Fece cadere la cenere della sigaretta picchiettando la punta dell’indice sul filtro e inarcò la schiena come un gatto. Nina se ne stava raggomitolata in una sedia di plastica bianca, come in un guscio di noce: alzò il mento e la guardò con un sopracciglio alzato.

Marì li fissò titubante uno ad uno: ormai era troppo tardi per tacere.

Ma come le era venuto in mente?

- Che linguaccia che ho! - pensò. -Ora mi prenderanno per pazza! -

«Cosa? Cosa ti è capitato?» chiese Manuela strofinandosi le mani. Era avvolta da un cappotto nero aderente e saltellava sui piedi.

Vanni guardò Marì incuriosito: «Allora? Dai, dicci!» chiese accarezzandosi il mento appuntito. Lei pensò che avrebbe potuto anche aggiungere - “orsù, fanciulla!” -, se non fosse suonato alquanto desueto, persino per lui.

Luigi arrivò in quel momento. Alcune gocce di pioggia gli scivolarono sul giaccone, come la preoccupazione di una nevicata improvvisa. Guardò incuriosito per aria poi assunse la stessa espressione interrogativa degli altri. Solo un po’ più vaga.

Marì si fece forza e continuò, infilandosi una mano nella foresta di capelli.

«Una cosa davvero assurda, ragazzi!» decise di tagliare corto: «Non prendetemi per pazza ma di notte, nella mia camera da letto, si materializza - dal nulla - una persona...un “uomo”! O così almeno sembra». Poi aggiunse a bassa voce: «Mi succede da una settimana».

Tutti sgranarono gli occhi. Qualcuno rise. Nina uscì dal suo guscio e stese le gambe.

- Ecco! Sono ufficialmente pazza – pensò Marì sostenendo il loro sguardo.

«E cosa fa?» chiese invece seria Nina, come se fosse del tutto normale. Marì si rincuorò.

«Sta lì immobile, seduto sulla sedia vicino alla finestra!». I ragazzi si guardarono fra di loro. Marisa rise. «Cosa mangi la sera, cara?» disse con quel tono di comprensione che si elargisce ai fuori di testa.

Elisa parve sul punto di parlare ma poi infossò dubbiosa il viso, nel bavero del giaccone: ascoltò in silenzio socchiudendo gli occhi.

«Vi giuro! E sapete che c’è?» aggiunse Marì con un moto di sfida: «In piena notte sono talmente assonnata e rintronata che ormai mi sono quasi abituata ad averlo in casa!» proseguì tirando il fiato, ben sapendo quanto fosse assurdo quanto stava per raccontare.

Ma chi se ne frega...a questo punto! Mi faranno fare un TSO! - si schernì.

«Ma chi pensi che sia?» chiese Matteo. I suoi occhi scuri brillarono per qualche secondo.

«Io penso che sia...» stava per pronunciare quando la frase le morì in gola. Si sentirono dei passi imponenti. Arrivò finalmente Valerio: l’insegnante di scrittura creativa.

Il gruppo si sciolse e si aprì per farlo passare. Il viso serio disse, rivolto a tutti e a nessuno, con voce educata: «Buonasera».

Marì notò che aveva una giacca azzurra leggera su di una camicia bianca; nonostante cominciasse a fare freddo. Le venne un brivido di solidarietà, nonostante l’altro fosse invece perfettamente a suo agio.

L’insegnante passò in mezzo a loro, tirandosi indietro un ciuffo di capelli castano.

I ragazzi varcarono la soglia del centro, seguendolo. Continuarono a fissare Marì come se fosse stata un gibbone della Papuasia: il discorso le rimase appeso, proprio come una liana.

«Buonasera» disse Valerio a Pina, la custode, afferrando il librone degli appuntamenti: «siamo in anticipo o in ritardo?».

La signora Pina non rispose. Girellava nervosamente intorno a una sedia come se cercasse qualcosa d’importante.

Salutò Valerio distrattamente e poi scrutò di sottecchi i ragazzi uno dopo l’altro. E alla fine sobbalzò. Velocemente, fece per nascondere qualcosa nel cassetto di una scrivania davanti al suo gabbiotto: Emma fece appena in tempo a intravvedere la punta di una lama a serramanico. Lei, fingendo indifferenza le sorrise inquietante e la sfidò con due occhi piccoli e scuri.

- Parla, e ti sistemo io, gallina! – diceva il suo sguardo.

Emma sbatté le ciglia nere di rimmel, spingendosi velocemente gli occhiali sul naso.

Guardò gli altri: nessun altro aveva visto lo scintillio minaccioso della lama? Pareva proprio di no.

Mentre il gruppetto saliva le scale, la signora Pina sibilò sottovoce: “Avete sbagliato orario, eh? Piccoli mostriciattoli!”. Letizia si girò. Stava per risponderle poi ci ripensò. Le fece solo un sorriso educato, velato di imbarazzato. L’altra sbuffando la ignorò. Biascicando ancora qualcosa, sparì nel gabbiotto come una tartaruga nel carapace.

Valerio li portò nella solita sala per la lezione. Afferrando ciascuno la propria sedia, si sedettero in circolo: parevano l’anonima alcolisti al ritiro della medaglietta premio.

Ciao! Sono Marì! Ciaaaaao Marì! - sorrise.

E poi invece pensò a quanto quel corso avrebbe potuto migliorare la sua mia vita, lo sentiva! Se solo si fosse potuta impegnare di più e con meno stanchezza! Se solo...LUI... -

«Eccomi, eccomi, scusate!» Alberto arrivò per ultimo. Trafelato, si chiuse la porta della stanza, dietro le spalle.

Valerio si appoggiò al tavolo e tirò fuori un piccolo portatile. Lo aprì e si schiarì la voce. «Allora...» cominciò.

Ci fu un forte ronzio e la luce andò via. Restò solo quella del piccolo PC e quella spettrale che arrivava dalla finestra: bianca e tagliente. I ragazzi sussultarono. Matteo rise per sdrammatizzare, proferendo qualcosa in siciliano. Nel farlo si spostò lentamente sulla punta della sedia, pronto a scappare. Una piccola fiaschetta di bourbon, gli scivolò dalla tasca e si schiantò rimbalzando a terra senza rompersi. Le ragazze sussultarono. La riprese velocemente, tirando un sospiro di sollievo. Se la rimise in tasca come avrebbe fatto col fazzoletto infilato nel tight.

Tutti fissarono Valerio.

«Perbacco» disse lui, grattandosi la testa.

Si alzò piano dalla sedia e fece per aprire la porta: chiusa. Bloccata. Tirò più volte la maniglia. Niente. Si guardarono tutti.

«Calma! Vedrete che si risolverà tutto!» disse togliendosi una piccola sciarpa bianca dal collo.

«Pina!» chiamò attraverso i vetri della porta, con voce alta e profonda. La stanza fece da eco e qualcosa tremò sui mobili.

«Non preoccupatevi. Ora arriverà Pina e.…».

«Quella è meglio non chiamarla!» si affrettò a dire Emma: «Aveva un...».

Un lampo di luce blu apparve nell’angolo della stanza, riflettendosi su di una sedia lasciata in disparte nell’angolo. Ci fu un rumore come di scarica elettrica. FZZZZT!

Si voltarono tutti nella medesima direzione, con gli occhi sgranati.

- Ecco qua – pensò Marì quasi ad alta voce.

«Io, stavo cercando di dirvelo...» disse sospirando. Guardò la sedia con rassegnazione. Gli sguardi di tutti si diressero verso quel mistero inaspettato.

Nel buio, qualcosa si stava materializzando. Pareva un’onda che si piegava e si ritorceva su se stessa, emettendo lampi di luce blu cobalto. Andava e veniva. Si allargava e rimpiccioliva, e alla fine ci fu un rumore secco. Ed eccolo!

Dal nulla, si materializzò un uomo. Apparve davanti ai loro occhi, seduto sulla sedia.

I peli di tutte le braccia presenti si rizzarono e poi abbassarono all’unisono, quasi frusciando.

Manuela spalancò la bocca affascinata, portandosi la mano magra alla fronte.

Vanni si tolse gli occhiali e cercò di pulirli afferrando la sciarpa di Letizia che gli stava accanto. Lei, non se ne accorse neanche.

L’uomo nell’ombra rimase immobile. Le gambe accavallate. Il corpo leggermente ingobbito dall’altezza. Il viso, nascosto dalle mani.

Erano tutti in piedi. Tutti, tranne Marì.

«Chi sei, dunque?» chiese Valerio, cercando di pararsi davanti ai ragazzi con le braccia allargate. Il tono baritonale e fermo.

Marì immaginò di vederlo impugnare una lancia al posto della Montblanc che agitava con fierezza verso la creatura.

Si sentì prima una risatina, poi l’uomo ombra rise forte ma non rispose.

Luigi afferrò lentamente un libro dallo zaino: la versione in inglese di “IT” troneggiava fra le sue mani pronta ad essere scagliata contro la creatura.

Lo vuoooooi un libricccccino sul testone? -

Marì era rimasta seduta. Li guardò tutti facendo spallucce. Appoggiò il mento sullo schienale della sua sedia girata al contrario: «Ve lo stavo dicendo. Scusate tutti ma mi si è “accozzato”» ribadì sospirando.

D’improvviso si accese la luce di un appartamento di fronte e un bagliore giallo e spettrale illuminò finalmente il volto dell’uomo nell’ombra: aveva gli occhiali. Da dietro le lenti spessissime emersero due occhi scuri da furetto, stretti e vicini. Le sopracciglia folte parevano unite da segni sulla fronte, come disegnati a matita. Le labbra fini, serrate erano tirate all’insù agli angoli della bocca formando piccole fossette. I capelli erano separati in due ciuffi, pettinati all’indietro con cura. Come se fosse un vezzo, si passò fra la chioma un palmo di mano che pareva una racchetta da ping pong.

E tutti lo riconobbero.

«Ma...ma...sei...» disse Valerio sconcertato senza finire la frase.

I ragazzi fecero un: «Ohhhh» che rimbalzò trascinato, in tutta la sala.

«Si, è lui» disse Marì, trastullandosi i capelli: «Signori, Stephen King».

«STEPHEN KING?» Ripeterono tutti in coro.

Silenzio. Poi qualcuno azzardò: «Ma dai! Ma come è possibile?» chiese Emma con gli occhiali appannati dal respiro.

«Dillo a me!» esclamò Marì girando gli occhi al soffitto.

Valerio aveva tirato fuori un monocolo dal taschino e lo fissava con attenzione: pareva Galileo Galilei di fronte al primo cannocchiale. Lo scrutava con meraviglia stringendo deliziato, la punta della lingua fra le labbra.

«Beh, ci ho pensato. E tanto. Avete presente i viaggi astrali? Sono arrivata alla conclusione che a volte la più assurda delle spiegazioni è anche la più semplice. E poi, stiamo parlando di Stephen King mica di Fabio Volo. Per cui secondo me quando appare “qui”, in realtà sta dormendo “là”. Ora, sta semplicemente facendo il suo pisolino pomeridiano sul suo comodo divano nel Maine, oppure si addormenta mentre scrive, sulla sedia del suo studio. Viaggiando, viaggiando, alla fine piomba sempre da me. Da un po’ di tempo sono come una fissazione per lui!».

«Ma perché? Perché? Te lo sei chiesto?» chiese Manuela con gli occhi colmi di stupore.

«Per proteggere l’arte dello scrivere, suppongo. Non tollera quello che scrivo e cerca di difendere “lo stile”. Insomma gli sto sulle palle! Per cui ha deciso di perseguitarmi per farmi smettere di comporre facezie e dedicarmi alla culinaria. Vuole spaventarmi, ecco tutto...» finì Marì.

«Ma come mai è venuto qui e non a casa tua, stasera?» chiese Valerio abbassando il monocolo.

«Immagino sia perché gli state sulle palle anche voi» rispose lei.

A questa affermazione, tutti lo guardarono con apprensione.

King li osservò sogghignando e annuendo con vigore. Poi girò lo sguardo verso Luigi.

Aveva intravvisto la copia di “IT” fra le sue mani e si concentrò su di lui: continuò a fissarlo e a socchiudere gli occhi come una civetta malevola appollaiata su un ramo.

«Senza dimenticare» proseguì «che nell’ultima lezione, Valerio ha detto che alla fine King “scrive sempre le stesse cose”. Lui ha capito male e si sarà adontato. È piuttosto permaloso».

«Mi scusi Signor King…» si affrettò a dire Valerio «io non volevo. Parlavamo di archetipi narrativi e.…».

«Archetipo sarai tu» esclamò King, parlando per la prima volta. E si rigirò sulla sedia.

Rimasero tutti in silenzio.

«Maestro?» provò a dire Valerio portandosi le mani al petto, contrito. «Io...». Ma l’altro gli girò la schiena piccato.

«Che posso dire? Io volevo solo insegnarvi a scrivere, mai e poi mai avrei voluto urtare il Maestro» disse Valerio a Marì con aria dispiaciuta.

«Gli passerà. In fondo è un bambinone» rispose Marì.

Un colpo forte li fece sobbalzare tutti e la porta si aprì di scatto.

Sulla soglia, con le gambe leggermente divaricate, apparve Pina.

«Che state combinando qui?» tuonò. Emma rivide il coltello a serramanico. Ora la lama scintillava in piena vista, stretta nella mano nella donna: la protendeva verso l’alto come volesse affettare l’aria.

«Niente niente» si affrettò a dire Valerio troneggiando sulla donna che gli arrivava a metà busto. Cercò di calmarla abbassando la voce tanto da farla sembrare flautata.

«Va tutto bene, Pina!» le disse cercando di afferrare il coltello, inutilmente.

Lei, per nulla intimidita dall’altezza, lo guardò dal basso in alto nascondendo il serramanico dietro la schiena incurvata.

«Ci sono i ragazzi, non fare pazzie!» le disse l’insegnante.

«Che pazzie? Che combinavate qua?» disse lei ingrugnita. «Mi state tutti sui maroni ma voglio sapere che succede!».

«Va tutto bene. Puoi andare di sotto» cercò di convincerla Valerio.

«Uhm» rispose lei buttando l’occhio dentro la stanza.

E poi lo vide. In fondo alla stanza. Seduto.

Stephen King abbassò la testa e la guardò a sua volta da sopra gli occhiali. Le fece un sorriso che ricordava più una crepa nel muro che altro: lei lo fissò chiudendo un occhio.

Allungò un piede dopo l’altro nella stanza, strisciandoli entrambi come un cecchino.

«Non mi fai paura tu, quattrocchi! Chi sei? Hai pagato il corso? Hai mai pensato di farti la ceretta alle sopracciglia? E quella pelle butterata? Esiste la crema, sai? E metterti le lenti a contatto? E che diavolo di mani hai? Ci potrei fare le caldarroste! Ma quanto sei brutto?» gli disse inaspettatamente tutto d’un fiato.

King s’irrigidì sulla sedia. Cambiò posizione delle gambe e poi le puntò un dito contro: «Sarai bella tu!» disse tirando fuori un palmo di lingua ed emettendo un suono tutt’altro che aggraziato.

- Ma come? Fa le pernacchie? Il Re dell’horror non sa ribattere in altro modo e fa pernacchie? - si chiese Marì leggermente affranta, la testa fra le mani.

Dopo di che si svolse tutto in pochi secondi.

King si accorse del coltello troppo tardi: aveva già pronunciato “…ella tu”.

Pina tirò indietro il braccio come una fionda, prese la mira e gli scagliò la lama in mezzo alla fronte. Si sentì uno “STUNCK”. Gli occhiali di King, caddero e si ruppero in mille pezzi. Alcuni vetri finirono rimbalzando sui piedi di Letizia che indietreggiò portandosi una mano davanti alla bocca. Valerio si parò nuovamente di fronte ai ragazzi, ergendosi come un ponte levatoio.

Ci fu un silenzio irreale.

Tutti fissarono la sedia rapiti, in piena sindrome di Stendhal: la pelle di Stephen King cominciò a cambiare tonalità di colori come in un quadro di Pollock.

In un lampo azzurro, poi viola, poi giallo, poi blu, sparì davanti ai loro occhi, dissolvendosi. Una nuvola d’arcobaleno sbuffò ancora qualche secondo nell’aria e alla fine, scomparve su se stessa.

“Ohhhhh” - espirarono tutti.

«Che diavoleria è mai questa?» chiese Pina.

«Ma che hai fatto?» le disse Valerio, trattenendo a stento l’emozione.

«Vi ho salvati tutti brutti ingrati che non siete altro!» disse lei sputando per terra.

La custode guardò l’insegnante ma lui riuscì solo a sussurrare: “Maestro...” lasciandosi cadere affranto, sulla sedia.

Poi si fece coraggio e disse a Pina: «È tutto finito, stai tranquilla. Grazie... se così si può dire…».

«Grazie una BEATA CIPPA!» rispose lei furente: «E ora il mio coltello chi me lo ridà, branco di inutili fanfaroni?».

 

Maria Rosa Arena

 

 

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Articolo pubblicato il 24/11/2019