Il Monviso che sta franando. L'effetto dei cambiamenti climatici

Il calore favorisce un cedimento del sottostrato profondo di terreno ghiacciato, solido e compatto.

Il riscaldamento climatico globale, smentendo ogni ottimismo e ogni negazione, ha seguito una curva in progressiva e continua accelerazione e oggi presenta molte sfaccettature di sgradevoli conti.

 

Gli ultimi quattro anni sono stati in modo sequenziale i più caldi di sempre e lo 0º termico sull’arco alpino, favorito da cieli tersi e dalla forte irradiazione, si è spostato sempre più in alto, raggiungendo sovente i 3000 m in pieno inverno. Il susseguirsi di questi periodi caldi e le precipitazioni nevose presenti a quote sempre più elevate, come è noto stanno contribuendo alla fusione dei ghiacciai, nonchè allo sgretolarsi delle montagne, private della compattezza di strati di terreno roccioso profondi, duri e freddi che, per effetto del riscaldamento, diventano più instabili e favoriscono l'insorgere dei fenomeni franosi .

 

Dopo quello verificatosi alle Cime di Lavaredo nel 2017 e il crollo del ghiacciaio sul Monte Bianco nel 2019 , un recente segnale di degrado dell'arco alpino arriva dall'imponente crollo che si è verificato sulla parete nord-est del Monviso, dove il 26 dicembre si sono staccati 200 mila metri cubi di rocce. I sopralluoghi e le misurazioni effettuate dai geologi di Arpa (Agenzia regionale per la protezione ambientale) ipotizzano che il deterioramento del permafrost, lo strato di terreno solido e compatto, poiché perennemente ghiacciato, sia stata una importante concausa della frana.  

 

Il permafost (o permagelo), è uno strato che risale all'ultima glaciazione, presente in zone artiche e alpine, solitamente in profondità, ma risalendo verso la superficie lo strato diventa "attivo", influenzato dalle temperature esterne. Ecco perché l'area alpina, composta perlopiù da roccia metamorfica scistica, (in Piemonte ortogneiss), molto resistente a compressione, ma sensibile agli sforzi di taglio (per questo usata per le lose), reagisce con cedimenti e crolli se la base profonda modifica il suo stato.

 

Lo stato di allarme sul Monviso rimane alto, perché la parete non ha ancora raggiunto un nuovo equilibrio e c'è il rischio di altri smottamenti importanti, che a loro volta potranno aprire il varco a uno “sciame” di cui non si può prevedere l’evoluzione.

 

La frana che già ha modificato il profilo del “Re di pietra”, l’imponente vetta delle Alpi Cozie, dalla quale nasce il Po, è stata la più importante, ma non la prima. Altri cedimenti di minore portata l’avevano già preceduta con un aumento più importante dei fenomeni franosi a partire dal 2010.

 

Stabilito che il riscaldamento globale ha ormai imboccato la sua strada e noi, piccoli uomini, artefici o soltanto concause dell’effetto serra, solo ora ci accorgiamo che non abbiamo contromisure, dobbiamo rassegnarci anche a un rapido cambio nel disegno dell’orizzonte alpino? A rigor di logica sembra proprio di sì e quel che è peggio, è che se non vi sarà un’inversione nelle temperature, altre guglie aguzze pagheranno un prematuro pegno alle naturali pretese della forza di gravità. È un vero peccato… Della razza umana?

 

Fonte Arpa

https://www.arpa.piemonte.it/news/crollo-dalla-parete-nordest-del-monviso

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Articolo pubblicato il 19/01/2020