La psicopolizia delle “sardine”

Stiamo precipitando verso il baratro del pensiero unico

Oggi i social aprono le porte allo scibile di ogni espressione, che nella maggior parte dei casi, risulta affogata in poche battute.

 

Ben diverso è il destino di chi pretende d’interpretare la piazza e parlare a nome di molti. Siamo rimasti basiti ne leggere che il capofila delle c.d. “sardine”, di cui non riusciamo mai a ricordare il nome, a differenza dalla visione della sua mascella, ha proposto “un organo di polizia che garantisca il livello di sostenibilità democratica all’interno dei social network”.

 

Traduciamo in italiano: una polizia politica che controlli le opinioni che la gente dice sul web e se non sono “democratiche” (cioè allineate al pensiero delle “sardine” e del PD) reprima.

 

Nulla di nuovo: ci sono già state tante polizie politiche che controllavano la liceità delle opinioni: si chiamavano Kgb, Stasi e Gestapo.

Ritenevamo, certamente a torto che i soloni della sinistra o le “vergini cucce” da sempre indignate verso qualcuno o qualcosa, sarebbero scesi in massa a gridare allo scandalo, mobilitando altre masse.

Invece, calma piatta.

 

Riusciamo però ad immaginare  cosa avrebbero scritto i pescetti se Salvini o  qualsiasi altro commentatore “fuori dal coro” avesse proposto una polizia politica che reprima le opinioni antinazionali, cosa che  nessuno di coloro che sono autentici paladini della Libertà di opinione si sognerebbe di proporre.

 

Sarebbe cascato il mondo, ma alle “sardine”, curioso connubio di idee (poche) confuse, buoniste e mainstream, però portate avanti con metodi stalinisti, tutto è concesso.

 

Ma noi invece ci chiediamo: è lecito in Italia proporre una polizia politica che reprima la libertà di pensiero?

Riteniamo di no, ma il confronto è aperto

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Articolo pubblicato il 20/01/2020