Il drammatico regicidio di Lisbona e le reazioni italiane. 1° febbraio 1908

Alessandro Mella ricorda l’evento che sconvolse l’Europa.

Tra la fine dell’ottocento ed il primo decennio del novecento l’eversione di matrice anarchica e repubblicana, a volte separatamente e altre in sottile intreccio, si rese protagonista di una lunga stagione all’insegna dell’impiego politico del terrorismo nel senso letterale del termine. Lo scopo di queste azioni era, infatti, seminare il panico e nel limite del possibile colpire e abbattere le icone del potere ed i relativi sistemi. Maggiormente i sovrani europei senza distinzione tra i pochi assolutisti rimasti e i sovrani costituzionali. Questi ultimi, in particolare, rappresentavano un vero nemico poiché le loro aperture e garanzie liberali e democratiche si ponevano come ostacolo naturale alle aspirazioni di queste compagini.

Caddero vittime di questo clima l’imperatrice d’Austria Elisabetta nel 1898, il re Umberto I in Italia nel 1900, il re Carlo del Portogallo nel 1908 ed in ultimo l’arciduca Francesco Ferdinando d’Austria nel 1914. Il clima concorse, fatalmente, agli stravolgimenti che vennero successivamente. Tre imperi furono spazzati via ma non dalle quelle mani politicizzate ed impazzite bensì dalla grande guerra mondiale.

L’evento che vorremmo ricordare in questo breve studio si verificò in Portogallo ai tempi in cui vi regnavano i sovrani della Casa di Braganza Sassonia Coburgo Gotha. Si trattava di anni turbolenti e difficili per tutto il vecchio continente e, come abbiamo accennato, la violenza correva per le strade ma anche nei complotti di palazzo. La famiglia reale stava rientrando, quel 1 febbraio 1908, da un periodo passato a Vila Vicosa ove i Braganza, in prossimità del santuario omonimo, avevano un’importante residenza. Il luogo era così caro alla dinastia che al culto dell’Immacolata Concezione di Vila Vicosa il re Giovanni VI aveva dedicato, nel 1818, un prestigioso ordine cavalleresco tuttora conferito dal capo della casa Dom Pedro duca di Braganza e di Loulè.

Il viaggio non era stato sempre agevole anzi il treno, a causa di un piccolo incidente, aveva accumulato un notevole ritardo. Dopo l’attraversamento del Tago con il vapore “Don Luigi”, i reali presero posto su d’una carrozza scoperta trainata da cavalli e si avviarono. Fu lungo la via che accadde il dramma. Diverse furono le versioni tramandate su quanti, come e chi sparò. Quel che è certo è che alcuni individui, nascoste le carabine sotto il mantello, presero ad un tratto a sparare sul corteo. Il sovrano Carlo I tentò di reagire ma fu colpito con il figlio primogenito Luigi Filippo. La regina Amelia, con coraggio senza pari, tentò di proteggere i suoi cari ma vanamente. Il re ed il principe ereditario spirarono dopo poco, la corsa e l’intervento dei medici non permisero la salvezza dei feriti. Frattanto si scatenarono il panico, l’orrore, le urla, il terrore e l’azione scomposta della polizia.

Solo la regina ed il principe secondogenito Manuel, pur ferito, si salvarono miracolosamente dalla mattanza. Un’azione criminosa e vergognosa con la quale gli assassini si proponevano di sterminare la famiglia reale intera per proclamare la repubblica. Una repubblica che sarebbe nata sul sangue e sull’infamia, occorre aggiungere.

Destò profonda commozione la disperazione della regina Amelia incapace di staccarsi dalla salma del marito pur confortata faticosamente dalla regina madre Maria Pia (già principessa di Casa Savoia e figlia del primo re d’Italia Vittorio Emanuele II) accorsa prontamente.

La notizia dell’infame assassinio scatenò un’ondata di terrore, indignazione e dolore in tutta Europa ed in tutti i palazzi reali del continente. Un altro orrore, un’altra tragedia. Così terribile da scatenare la protesta e l’indignazione anche di molti repubblicani moderati e democratici ai quali, per onestà d’animo, la via della violenza non poteva che riuscire inaccettabile.

L’angoscia ed il lutto giunsero anche a Roma. L’Italia era storicamente legata al Portogallo da molti vincoli commerciali, politici, dinastici ed anche di umana e spontanea simpatia. Due popoli simili, due popoli vicini nei sentimenti e negli animi, due popoli che per secoli si erano ripetutamente incontrati. Si scrisse sul quotidiano torinese “La Stampa” di lunedì 3 febbraio 1908 in prima pagina:

«L'on. Tittoni si è recato alle 9 al Quirinale ed ha avuto una lunga conferenza col Re al quale ha comunicato i dispacci pervenuti dal ministro italiano a Lisbona. Il Re apparve addoloratissimo per la notizia della tragedia e disse all’ on. Tittoni di aver soltanto stamane, dopo che si era alzato, comunicata la prima notizia alla Regina Elena».

E ancora:

«Il lutto alla Corte italiana. Roma, 3, ore 16. Il Re inviò telegrammi di condoglianza alla Casa reale di Portogallo e ai sovrani in Europa con essa imparentati. Il ministro degli esteri telegrafò al ministro italiano a Lisbona affinché, a nome del Governo italiano, esprima i sentimenti di orrore per l'assassinio e le condoglianze per la famiglia reale e per la simpatica nazione portoghese. Il presidente del Consiglio e il ministro degli esteri si sono recati inoltre personalmente alla legazione del Portogallo ad esprimere le condoglianze al ministro Cairvulho e a Vascencellos. Il re, che è legato da strettissima parentela colla dinastia portoghese, ha ordinato un lungo lutto di Corte. Quindi furono sospesi i balli al Quirinale che erano stati annunziati per il 12 febbraio e marzo».

La Casa di Savoia, inoltre, aveva dato da poco una splendida ed amatissima regina consorte ai portoghesi ed i loro sovrani erano davvero una presenza cara al nostro paese ed alle sue genti. A riguardo, infatti, sempre “La Stampa” di Torino, riportò a pagina 3 altre impressioni sul drammatico evento citando anche le reazioni di Emanuele Filiberto di Savoia Aosta:

«Il Duca d'Aosta apprende la notizia dai giornali. Napoli, 3, ore 18. Stamane il Duca d'Aosta, appena appresa dai giornali la notizia della tragica fine del Re di Portogallo e del Principe ereditario, ha deciso di non recarsi, come al solito, al Comando del Corpo d'armata e si è chiuso nel suo appartamento. Il Duca ha occupato il suo tempo a redigere numerosi dispacci d'urgenza per avere notizie più precise non avendo avuto alcuna comunicazione ufficiale del regicidio. Come si sa, egli è imparentato con la Casa di Portogallo per parte di sua moglie, che è una Orléans. Il Duca d'Orléans, che è a Napoli da ieri, neppure fino alle 14 ebbe notizia ufficiale del grave fatto. Egli stamane è uscito insieme al suo segretario e si è recato nella chiesa di San Giacomo degli Spagnuoli ad ascoltare la Messa; quindi ha fatto ritorno all'Hotel du Vesuve e si rinchiuse nei suoi appartamenti, ove attese notizie precise e di fonte ufficiale. Stamane al Consolato del Portogallo neppure era giunta comunicazione ufficiale dell'impressionante regicidio. Essendo assente da Napoli il console conte di Valbranga, il vice-console signor Fritz Steilì, appena apprese la triste nuova, si è affrettato a telefonare alla Legazione del Portogallo di Roma, ma questa non ha potuto confermargli altro che la notizia diramata dalla Stefani. Il vice-console ha pure attinto informazioni alla sede napoletana della Stefani e poi ha fatto esporre al palazzo del Consolato la bandiera a mezz'asta. Qui la notizia del regicidio ha prodotto tanto più grande impressione in quanto che la Regina ed i Principi erano conosciutissimi a Napoli, dove la Regina aveva una villa e dove i Principini hanno passato gran parte dell'infanzia. Moltissimi li ricordano mentre uscivano soli o con la governante a passeggio per la via Caracciolo e per le principali vie della città. Tutti ricordano la figura gentile della regina Amelia che assisté all’assassinio del marito e del figliolo. In segno di lutto sono state rimandate molte feste di beneficenza e sportive che dovevano aver luogo oggi».

Dopo il drammatico assassinio ascese al trono il giovane re Manuel II. Un ragazzo d’animo buono e generoso, colto e profondamente democratico, coraggioso e pieno di dignità. Tentò con tutte le sue forze, partendo da una posizione non facile, di proteggere il paese dalle molte derive che, di fronte a difficoltà infinite e complicazioni governative e politiche, lo minacciavano. I suoi sforzi sovrumani, di fronte ad una classe politica certamente non all’altezza della grave ora, non bastarono a salvare il futuro della corona.

Nel 1910 un colpo di stato pose fine al suo breve regno e condusse alla proclamazione della repubblica. In esilio a Londra il re Manuel condusse un’esistenza misurata, sobria, da galantuomo onesto e perbene. Non sostenne mai alcuna rivendicazione divisiva, anzi, a cavallo della Prima Guerra Mondiale invitò tutti a sostenere unitamente lo sforzo del Portogallo belligerante anche se repubblicano. Morì nel 1932 senza discendenza legittima diretta e lasciando la causa dei monarchici portoghesi nell’incertezza.

Alcuni esponenti di una parte del monarchismo portoghese, quello maggiormente legittimista e assolutista, proclamarono con atto unilaterale ed in contrasto con le norme dinastiche, capo della casa reale un discendente del ramo miguelista decaduto. Ramo escluso da oltre un secolo dalla successione e mai ridinasticizzato. Dando vita ad una situazione equivoca che si trascina oggidì. Così che oggi una parte seguita a sostenere quella scelta frettolosa e lacunosa mentre un’altra, sulla base dello studio approfondito delle norme dinastiche e rappresentata soprattutto dall’on. Nuno Da Camara Pereira, ha individuato in dom Pedro Duca di Loulè il legittimo erede al trono portoghese.

Tesi sostenuta anche dal Comitato Scientifico dell’Annuario della Nobiltà Italiana (la cui nuova edizione è prossima alla distribuzione) diretto da Andrea Borella ed oggi largamente condivisa. Dom Pedro ha, in Italia, quale rappresentante il delegato per gli Ordini Dinastici conte Giuseppe Rizzani.

Il drammatico regicidio di Lisbona del 1908, comunque, fu un momento che segnò, per sempre, il destino di quel paese magnifico che è il Portogallo. Terra amatissima da noi italiani. Un evento che ci ricorda come il mondo, troppo spesso, sfoghi le sue peggiori tensioni nell’odio e nel rancore dando vita a stagioni difficili in cui la violenza sembra ad un passo dal poter trionfare. Ma, per fortuna, la Storia insegna come anche nei momenti peggiori possano emergere speranze per un futuro migliore. Ecco perché occorre ricordare questi fatti. Per vegliare, vigilare e salvaguardare l’avvenire che, soprattutto nell’Europa d’oggi, si è fatto comune per tutti i popoli. Costruire la pace e l’armonia sulla memoria. La grande sfida del terzo millennio.

Alessandro Mella

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Articolo pubblicato il 01/02/2020