Elogio della Costanza

Un altro tassello che descrive le Virtù "Capitali". Questa volta parliamo della Costanza

Elogio della Costanza

 

Costanza, oltre che il nome di una virtù, è anche un nome proprio, un bel nome, a mio avviso. Anche originale, oggi; quante bambine si chiamano Costanza? Mi sembra poche, pochissime. Che sia perché la costanza oggi è merce rara, da cercare con pazienza certosina, con costanza, appunto? Può darsi.

Costanza: da cum e stare. Stare in latino significa stare in piedi, stare saldi sulla propria posizione e cum, naturalmente, insieme. Quindi costanza significa stare saldamente con qualcuno o qualcosa: con il proprio obiettivo, di qualsiasi cosa o persona si tratti, prima di tutto. Quindi la costanza con cui si persegue uno scopo indica la relazione tra chi persegue un fine e il fine stesso. Indica la capacità di convivere con il proprio obiettivo, quale che sia.

Nelle relazioni interpersonali la costanza premia, a mio avviso: se un marito o una moglie, un fidanzato e una fidanzata, un compagno e una compagna (è difficile trovare un sinonimo di compagno, nell’accezione qui usata, ma posso dire che non mi piace?) riescono a tener fede all’impegno che hanno preso davanti a sé stessi significa che hanno saputo praticare la virtù della costanza.

Davanti a se stessi, ribadisco; che poi abbiano pronunciato la propria promessa davanti ad un sacerdote o ad un sindaco o all’amico più caro che li ha fatti incontrare o alla luna sotto cui si sono baciati la prima volta in una notte d’estate, poco importa. Ciò che conta è l’amore, l’impegno e la costanza nel mantenere la promessa.

E la costanza è ben diversa dalla sopportazione; forse è una virtù anch’essa, non lo so, ma nella sopportazione, almeno nell’ambito di cui stiamo occupando, c’è un’idea di sacrificio e di rassegnazione che nella costanza manca, o vola tanto leggera che quasi non si sente. Perché? Perché, secondo me, l’altro, anzi, il bene dell’altro, rappresenta il fine, l’obiettivo dell’essere stesso della coppia.

E se questo bene dell’altro viene condiviso da ciascuno dei due, con costanza, anche in mezzo alle difficoltà, il perfezionamento dell’animo di sé conduce fatalmente anche al perfezionamento dell’altro; promettere e promettersi questo non è cosa da poco, ma chi ci riesce, anche attraverso la costanza, credo abbia dato un senso alla propria vita.  

E che abbia innalzato la sua promessa dal mondo del contingente a quello degli universali, cogliendo la vera essenza dell’avverbio che permette alla mortalità umana di affacciarsi sull’eternità: “sempre”, l’avverbio della costanza, cioè di quella virtù che può aiutare a salvare valori secondo me fondamentali e oggi spesso in crisi, primo fra tutti quello della famiglia.

Ma non basta; anche il “tutto e subito”, l’improvvisazione, purtroppo attualmente diffusa, trovano un nemico e nello stesso tempo un’arma per opporvisi proprio nella costanza. 

Tra una marea di influencer, calciatori, veline, rapper e  cantanti più o meno rock che durano lo spazio di un mattino, di bellone che incombono nelle più disparate trasmissioni non si capisce bene a che scopo, almeno per gli spettatori pensanti, che non sono pochi, per fortuna; o ancora  di giovani donne/uomini che si fregiano con orgoglio del titolo altisonante di shop assistant  in uno show room (chissà cosa avranno di brutto i termini commessa e negozio…chissà), salvo poi non sapere il prezzo  (sorry, the price) delle scarpe che dovrebbero vendere, né tanto meno i materiali di cui sono fatte (“handmade”; ma che materiale sarà?”, sembrano incredibilmente chiedersi siffatti personaggi), non è difficile trovare un denominatore comune: l’improvvisazione.

Vale a dire che anche nel lavoro la relazione tra sé e il proprio scopo, così come con il partner (è inglese, lo so, ma piuttosto che compagno/a…), si ottiene mantenendo ben salda la relazione con il proprio obiettivo; e tutti gli obiettivi, tanto più se sono importanti, richiedono costanza e tempo perché si pongano le fondamenta di un edificio destinato in caso contrario a crollare in fretta.

Prepariamoci perciò tutti seriamente e con costanza per dare sempre il meglio di noi, a scuola e all’università, perseguendo i nostri obiettivi sportivi anche a costo di qualche rinuncia; tanto, in fondo, chi ama il tennis sa bene che una festa di sabato sera, anche a diciott’anni, non vale la gioia di una stretta di mano  con l’avversario sul campo dopo una partita combattuta la mattina dopo; e soprattutto continuiamo, con costanza, a tentare di migliorare il nostro rapporto con gli altri, magari con l’aiuto di chi ci sta accanto.

Il miglioramento di sé porta al miglioramento dell’umanità, è ovvio; ma forse bisogna riflettere su quanto questo lavoro su di sé sia prezioso anche per gli altri, su come possa rendere chi segue questa via partecipe e protagonista dell’Umanità, non solo della propria singola vita. E seguire questo cammino   senza la costanza è difficile.

Concludo con la più bella promessa che abbia mai sentito pronunciare nel corso di un matrimonio, costellata, in mezzo a tanto amore, rispetto e intelligenza, di avverbi di cui solo una seria riflessione sulla costanza può dare il valore e il senso più profondo:

“Ti prometto di starti sempre vicina, finché lo vorrai, e di aiutarti in ogni modo a raggiungere gli obiettivi che desideri, senza mai ostacolarti e permettendoti sempre di mantenere la tua libertà, pur all’interno del nostro amore, che, anzi, sono certa crescerà sempre di più se ognuno di noi sentirà l’appoggio dell’altro nell’autonomia delle proprie decisioni.”

Non sono parole mie, ma di Elena, la deliziosa moglie di mio figlio (so che esiste la parola nuora, ma non mi piace, come compagno/a, chiedo scusa). Fortunato, il ragazzo.

      

 

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Articolo pubblicato il 07/02/2020