«Il cavallo militare dalle prime civiltà mediterranee all'alto medioevo bizantino» - Parte seconda
Fregio sassanide a Naqt-e Rostam (Iran). Il re Ardeshir I incoronato da Ahura Mazda (a destra).

Intervento del dottor Marco Montesso alla Giornata Pinerolese del 7 settembre 2019 in occasione dei 250 anni della Scuola Veterinaria dell'Università degli Studi di Torino

Armata di grandi archi, lance lunghe, pugnale alla cintola e piccolo scudo, in combattimento assieme ai fanti solevano scagliare una pioggia di dardi coi cavalieri, tutti di classe nobile, che indossavano una corazza di maglie metalliche.

Corazzatura insufficiente però a reggere il corpo a corpo degli opliti greci o dei Saci e Medi che mulinavano asce.

I Parti ripresero la tradizione della cavalleria persiana unitamente ai Sassanidi con la differenza che i primi, popoli in origine nomade, avevano corazzato i cavalieri facendo in modo che fossero più performanti nella lotta a distanza con arco e frecce che non nello scontro diretto corpo a corpo.

La loro tattica era quella di stormeggiare intorno al nemico facendo piovere su questo un’immensità di frecce e qualora il nemico riuscisse a serrarli da vicino fuggivano velocemente, disperdendosi e facendo loro solitamente perdere la chiara visione dello svolgimento del combattimento, in quanto protesi ad inseguirli.

In tal caso si ricompattavano e caricavano in massa. Anche i legionari romani ebbero modo di constatare quanto fosse periglioso cercare di contrastarli e batterli.

Solo l’umidità invernale rendeva loro difficile combattere da arcieri avendo gli archi appesantiti e non più flessibili al punto giusto.

Altre popolazioni guerriere e abili a cavalcare furono all’epoca i Cimmeri e gli Sciti, che si citarono all’inizio della conferenza.

I primi misero a ferro e fuoco l’Asia minore nel VII secolo a. C. mentre i secondi si distinsero in razzie ai danni dei popoli asiatici più orientali, l’Egitto e la Media.

Gli Sciti, in particolare quelli nomadi o Reali, entrarono in contatto coi Greci e poi coi Romani nei Balcani settentrionali e sulle coste del Ponto, o Mar Nero.

Gli Sciti, sempre pronti a cavalcare verso sud, tenevano appunto il cavallo in grande considerazione.

Indossavano cavalcando costumi aderenti, calzoni e berretto ma non conoscevano le staffe, portavano seco un arco con frecce riposte in faretre e una corta spada più simile ad un pugnale, talvolta anche un’ascia e scudi tondi o ovali.

La loro tattica prevedeva l’attacco a stormi saettanti o la difesa elastica fatta di attacchi e contrattacchi che ben gli riusciva allorquando attirassero il nemico nella familiare steppa.

I Greci del Ponto assoldarono spesso milizie Scite come arcieri o scudieri a cavallo o appiedati. I Sarmati, invece, sconfinarono nelle pianure russe arrivando infine ad occupare il territorio degli Sciti nel II e I secolo a. C.

Diversamente dagli Sciti, che erano arcieri infatti, i Sarmati, iranici, avevano una Cavalleria, pesantemente coperta di armature di cuoio e di metallo sia l’equino che l’umano (Catafratti) e con lunghe lance, che attaccava in massa, forza d’urto dirompente.

Ai tempi di Adriano vennero arruolati in massa, dopo che lungo tutto il I secolo i romani ebbero a combatterli lungamente e duramente nei Balcani, sul Danubio, e nelle province asiatiche.

I Greci utilizzarono i cavalli già in epoca micenea e Omero pure ce ne dà atto, inizialmente per tirare carri poi come reparti di Cavalleria tout court in seguito ai contatti coi Lidi e gli Assiri in Asia minore.

Tuttavia la Cavalleria non si sviluppò uniformemente in Grecia. Nelle zone in cui la nobiltà era più numerosa e influente essa fiorì, Macedonia in primis, Tessaglia, Beozia, Eubea, città greche dell’Asia minore, Cirene, Cipro, Creta, Sicilia.

Laddove invece si conobbe un precoce sviluppo democratico o nelle regioni montuose e impervie ciò non avvenne, e quando esistesse la Cavalleria venne sciolta a favore della Fanteria.

Per portare un esempio, in Tessaglia il rapporto Cavalleria/Fanteria era di 1 a 2 mentre a Sparta venne appiedata persino la Guardia a Cavallo del Re. Ad Atene, rivale di sempre, la Cavalleria esistente ancora ai tempi dei Pisistradi venne abolita da Clistene e a Maratona e a Platea combatterono solo gli opliti, fanti, anche se le classi elevate continuavano a detenere il titolo di Cavaliere.

A questo proposito una digressione sull’attualità che ha pure un curioso aspetto: in alcune lingue moderne il titolo di Cavaliere, finanche di Nobile in senso storico, o Cavalleria in senso militare è comune al termine Cavaliere o Cavalleria intesa come spirito, cultura, aspetti anche letterari, si pensi all’italiano o allo spagnolo.

In inglese, francese e tedesco, invece, c’è una netta differenza: per gli aspetti nobiliari, culturali e di titolo inteso come onorificenza si dice rispettivamente Chivalry - Knight, Chevalerie - Chevalier, Ritterschaft - Ritter, mentre per l’Arma e lo sportivo Cavalry - Horseman, Cavalerie - Cavalier, Reiterei - Reiter.

Le pitture vascolari greche anteriori al V secolo a. C. danno un’idea di come dovessero essere i cavalieri: ci sono due cavalli, di cui solo uno è montato mentre l’altro o è vuoto o nel caso viene montato da un servo del Cavaliere ma armato come nella Cavalleria assira più antica.

E tale attitudine rimase a lungo in vita nelle colonie greche occidentali, la c.d. Magna Grecia. Secondo alcuni studiosi pare che il motivo risiedesse nel fatto che il cavallo servisse soprattutto come mezzo di trasporto combattendo normalmente a terra una volta giunti sul campo di battaglia.

È stato però obiettato da altri studiosi che ciò potesse avere senso per la massa di soldati solo quando veniva a contatto con serrate falangi di opliti.

Tuttavia i nobili combattevano sempre a cavallo per poi balzare giù per ingaggiare uno scontro con la spada ma dopo avere scagliato la lancia o quando il cavallo fosse stato colpito.

 

Nel V secolo a. C. Atene ricostituì la Cavalleria per fronteggiare meglio il nemico e intorno al 470 si creò un corpo di 300 cavalieri cittadini che presto divenne di 1000 unitamente a 200 arcieri sempre montati, giungendo loro ad essere l’Orgoglio di Atene e raffigurati nel fregio fidiaco del Partenone.

Cavalieri erano i membri delle famiglie più nobili e ricche, e si può capire il perché già in questo contesto e poi nei secoli a venire fino a circa cento anni fa, dovendo mantenere i cavalli da guerra e avendone almeno un paio.

I cavalieri ateniesi erano armati di due giavellotti solitamente perché uno lo si lanciava e l’altro restava come lancia e di una corta spada e quasi mai portavano uno scudo.

Dalle pitture che decoravano i vasi si nota che avevano un copricapo o elmo, stivali di cuoio se non schinieri e il cavallo era pure protetto da frontali e pettorali mentre non esisteva la sella, bensì solo una coperta.

Contrariamente a quanto si possa pensare, Sparta, stato militare per antonomasia, in Cavalleria era molto carente e anche quando per contrastare eventuali sbarchi nemici sulle cose si decise a creare un Corpo che arrivò fino a 600 cavalieri, il livello restò infimo.

Per spiegarsi, basta pensare che gli equini venivano assegnati ai soldati più deboli e meno capaci e spesso neppure addestrati all’uopo.

Solo successivamente Sparta ebbe una buona Cavalleria in quanto ricorse a mercenari beotici, la cui Cavalleria si era distinta a Platea, e tessali, molto spesso di schiatta aristocratica.

La Cavalleria beotica aveva la peculiarità di combattere con la Fanteria leggera, nel senso più pieno del termine ovvero ogni cavaliere portava seco un fante.

La Cavalleria giunse poi a costituire il nerbo dell’esercito della Lega Tessalica e nel IV secolo contava 6000 cavalli. Ai tempi di Giasone di Fere era armata di robuste lance e di spade, elmo metallico con paranaso e paraguance, corazza metallica e alti sandali. In Sicilia a Siracusa i ricchi proprietari terrieri, gamoroi, fornivano i cavalieri. Gelone poté contarne 2000 e 3000 Dionisio il Vecchio. Contro i 1500 di Atene, nella prima battaglia.

La tattica pregnante della Cavalleria come arma d’offesa è l’urto di massa, tuttavia questa componente per eccellenza, appunto, in tutta l’Antichità classica non si produsse mai appieno per la semplice ragione della mancanza di staffe, come si è accennato già, nonché di sella.

Questa situazione obbligava il cavaliere ad utilizzare per l’urto la sola forza del braccio a differenza del cavaliere moderno che stava ben saldo in sella e teneva col braccio ben salda la lancia stretta al fianco imprimendo ad essa tutta la forza del proprio corpo e quella del cavallo stesso.

(Fine parte seconda – continua)

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Articolo pubblicato il 12/02/2020