I diavoli di Dante Alighieri

Considerazioni sui personaggi più pittoreschi dell'Inferno dantesco.

 

«"Tra' ti avante, Alichino, e Calcabrina",
cominciò elli a dire, "e tu, Cagnazzo;
e Barbariccia guidi la decina.

Libicocco vegn'oltre e Draghignazzo,
Cirïatto sannuto e Graffiacane
e Farfarello e Rubicante pazzo."»

 

Inf  vv118-123 Canto XXI

 

 

Uno tra gli aspetti più comici della Divina Commedia lo possiamo osservare nella descrizione dei diavoli che popolano l’Inferno dantesco.

In realtà si tratta di poveri diavoli, ovvero di creature sfortunate come le loro vittime con le quali sono costrette a condividere un ambiente ostile… per non dire infernale…

I loro nomi, sicuramente pittoreschi, derivano da antichi termini medievali, utilizzati nelle rappresentazioni grottesche di carnevali e altre feste popolari.

Una nota particolare dobbiamo riservarla ad un gruppetto di particolarissimi demoni, presenti nei canti XXI, XXII e XXIII dell’Inferno: i Malebranche.

Il termine Malebranche assurge a ruolo di cognome di quel manipolo di demoni, e, forse non a caso, Malabranca era anche il vero cognome di una nota Famiglia fiorentina…

Questi servi del Male sono deputati a controllare che i barattieri, non cerchino di uscire dalla pece bollente. Muniti di uncini affilati squartano i dannati che tentano di evadere dal lago rovente.

Farfarello, Cagnazzo, Barbariccia, Scarmiglione, Alichino, Calcabrina, Lebicocco, Draghignazzo, Ciriatto, Graffiacane, Malacoda e Rubicante, i loro nomi pittoreschi.

Foto Web

Si tratta, come si diceva, di poveri diavoli, umili servitori passivi di ordini superiori e grigi esecutori di disposizioni che disprezzano e soprattutto non comprendono.

Fondamentalmente brutti, neri e cornuti, si contendono il primato della meschinità. Non sono neppure vagamente simpatici, forse solo i loro nomi che in taluni casi, come si è ipotizzato, riprendono quello di alcune Casate toscane, come nel caso di Malabranca, Cagnazzo, Scarmiglione, nomi di famiglie lucchesi evidentemente invise a Dante. Oppure di Graffiacane, simile a Raffacani, Famiglia fiorentina. Altri sarebbero soprannomi fiorentini, come ricorda il Torracca: Falabrina, Lanciabrina, Scaldabrina, Dragondello, Billicozzo… abilmente storpiati per motivi di metrica e non solo.

I diavoli danteschi godono di un evidente sadismo che li spinge ad essere molto zelanti nei compiti loro affidati da Lucifero, il loro Capo.

I diavoli sono contemporaneamente vittime e carnefici. Vittime della scelta fatta a suo tempo, di seguire il Capo, scelta della quale pagheranno in eterno le conseguenze. Sono anche carnefici, ben lieti di eseguire con piacere i deprecabili compiti che permettono loro di trasferire sui dannati la propria rabbia, nonché la rabbia contro il Creatore che li ha puniti.

Due strofe particolarmente curiose e colorite sono declamate da altri diavoli.

Nel Canto VII dell’Inferno, Pluto, ci regala un incipit piuttosto singolare:

 

"Pape Satàn, pape Satàn aleppe!",
cominciò Pluto con la voce chioccia;
e quel savio gentil, che tutto seppe,
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disse per confortarmi: "Non ti noccia
la tua paura; ché, poder ch’elli abbia,
non ci torrà lo scender questa roccia".

 

Inf vv 1-6 Canto VII

 

Di difficile interpretazione, la prima strofa spesso non viene tradotta, o vengono negate le evidenti allusioni all’associazione Papa-Satana…

Invece non dovremmo stupirci più di tanto, visto che Dante di papi all’Inferno non ne mette così pochi…

Una singolare spiegazione potrebbe essere la seguente: papa Satana, papa Satana Aleppe, dove l’ultimo termine è molto simile alla prima lettera dell’alfabeto ebraico “Aleph”, che è associata al concetto di inizio o di primo.

In tal modo non sarebbe difficile interpretare il verso con: papa Satana, papa Satana, sei il primo (dei demoni….).

L’altro celebre verso che ha fatto imbarazzare coorti di insegnanti e divertire legioni di studenti, è pronunciato dal demone Barbariccia alla fine del XXI Canto dell’Inferno. Il capo dei diavoli Malacoda nomina Barbariccia come Capitano della diabolica brigata. Malacoda lo chiama con altri nove diavoli che faranno da scorta a Virgilio e Dante per un tratto della bolgia fino al passaggio su un ponte che poi si scoprirà… inesistente:

 

E Barbariccia guidi la decina.”, (Urla Malacoda)

Inf vv120 Canto XXI

 

…Per l’argine sinistro volta dienno;
ma prima avea ciascun la lingua stretta
coi denti, verso lor duca, per cenno;   


ed elli avea del cul fatto trombetta.

 

Inf vv136-139 Canto XXI

 

Così il famoso peto di Barbariccia diventa suono di tromba infernale, regalando al lettore una insolita metafora.

Foto Web

Al passaggio del demone Malacoda, i dannati si nascondono come rane nello stagno di pece bollente al comparire di una serpe, per evitare eventuali colpi di uncino.

Successivamente, nel XXII Canto, Virgilio e Dante vedono da lontano il dannato Ciampolo di Navarra, forse un tale Gianpaolo di Navarra ricco barattiere al servizio di re Tebaldo, che, astuto e privo di scrupoli, fece una brillante carriera, maneggiando denaro e favori per i propri illeciti interessi. Il povero dannato che aveva iniziato un dialogo con il Poeta, era stato quindi afferrato dal diabolico manipolo che iniziava ora a seviziarlo con gli uncini per strappargli la pelle.

 

“Tra male gatte era venuto il sorco;

ma Barbariccia li chiuse con le braccia,

e disse ”State in là, mentrio l’onforco”.

 

Inf  vv 58-60 Canto XXII

 

Dante e Virgilio intervengono a fermare Barbariccia e gli altri demoni per poter continuare il dialogo con il malcapitato Ciampolo.

Le dinamiche che seguiranno doneranno una nota di colore macabra e divertente al tempo stesso.

Una figura di maggior peso, che incarna concetti esoterici di indubbio valore, è quella di Lucifero, il Capo  assoluto dei demoni e portatore di Luce. In un precedente articolo abbiamo approfondito questi aspetti e vi rimandiamo il Lettore che volesse conoscere queste ipotesi.

http://www.bdtorino.eu/sito/articolo.php?id=35974

 

Le Foto sono tratte dal Web.

 

 

 

 

 

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Articolo pubblicato il 16/02/2020