Emergenza in Lombardia e Veneto ma il Governo ha tempo per attaccare Salvini
Qualche riflessione ai tempi dell’epidemia 4.0: quella globalizzata, quella che ci ritroviamo facilmente in casa anche se il focolaio dell’infezione si trova in un altro continente, quella che sappiamo essere imprevedibile, perché arginarla non è più un fatto che dipende solo da noi.
Con l’impennata di contagi registrati ieri nell’Italia settentrionale, epicentri la Lombardia e il Veneto, il nostro Paese ha conquistato il triste primato di essere di gran lunga il più virulento d’Europa, nonostante lo stop ai voli diretti con la Cina. Provvedimento, quest’ultimo, che non ha impedito a Italiani e stranieri in transito dall’Asia di raggiungere comunque i nostri territori, facendo scalo in altre Nazioni prima di raggiungere l’Italia. Quanto fatto dal probabile “paziente 0”, un manager lombardo di rientro da un viaggio d’affari nella Nazione del Dragone.
E qui sorge il primo quesito. In nome del tanto evocato principio di massima precauzione, non sarebbe stato meglio identificare e isolare tutti gli individui potenzialmente a rischio perché reduci da una permanenza in Cina? Va bene mettere in quarantena gli Italiani (lavoratori e studenti) rientrati con voli di Stato: ma gli altri? I nostri connazionali impegnati in strette relazioni commerciali con il gigante asiatico, così come le migliaia di Cinesi residenti sul territorio: nessuno fra questi è stato tracciato, né portato al Celio o alla Cecchignola per osservare un periodo di quarantena. L’impressione è che forse si sia sottovalutato il pericolo, guardando alle situazioni più facili ed evidenti, senza preoccuparsi di approcciare (o per lo meno tentare di approcciare) tutta la complessità del problema.
Secondo punto: la dipendenza dalla Cina. Tralasciando per un momento il mero dato economico, si guardi alla sostanza delle cose. Quante delle multinazionali e delle aziende che operano e danno lavoro nelle nostre città dipendono dalla Cina per l’approvvigionamento di componenti e materiali base? Si tratta di manufatti a basso costo, che noi sapevamo realizzare (e anche molto meglio) ma di cui abbiamo dovuto esternalizzare la produzione per poter rimanere sul mercato, per poter competere. E chissà, forse se fosse stato possibile continuare a fabbricarci in casa quegli elementi, grazie a un costo del lavoro equo e non schiacciato da una fiscalità predatoria, ora potremmo assistere a uno scenario differente. Diverso non solo nella sostanza ma anche nella forma: con meno dirigenti, tecnici e commerciali impegnati a fare continuamente la spola fra gli hub europei di coordinamento e le realtà produttive dislocate in Cina. Dunque con una minore probabilità di contagio. E mi si passi l’equazione, che pure qualcuno giudicherà lì per lì semplicistica e riduttiva: ciò che ahinoi conta è la realtà di migliaia di aziende (leggi migliaia e migliaia di posti di lavoro) che hanno abbassato le serrande da noi per riaprirle là dove nasce il sole.
In ultimo, una constatazione: triste perché non degna di un Paese qual è e deve essere l’Italia. Nonché, mi sia concesso, irrispettosa delle due vittime, uccise da un virus che per fortuna non è figlio della stupidità politica (perché, se così fosse, dei palazzi bisognerebbe fare tanti lazzaretti). C’è un Commissario europeo agli Affari economici, tale Paolo Gentiloni, che in quanto tale dovrebbe proporre e promuovere soluzioni espansive ai bilanci delle varie Nazioni membro (possibilmente con un occhio di particolare riguardo alla sua). Invece, non più tardi di qualche giorno fa, chiamato a rispondere sulla preoccupante stagnazione dell’economia italiana e sulle “cure da cavallo” (leggi altre tasse) annunciate dallo stesso Presidente Conte, Paolo Gentiloni ha pensato di addossare tutta la colpa al Coronavirus: come se fosse il bacillo a vessare di tasse imprese e famiglie, a non creare lavoro o a deprimere i consumi interni.
E visto che la paura del virus – purtroppo divenuta nelle ultime ore una tragica ma innegabile necessità – ci porta a essere più protettivi verso noi stessi, più conservativi (ma certuni preferiscono leggere conservatori) e maggiormente propensi a tutelare noi e casa nostra, ecco che dal mondo mainstream e radical chic parte la ricerca di un capro espiatorio, di qualcuno da incolpare. E chi se non il solito Matteo Salvini? Colpevole, secondo il Governo, di fare sciacallaggio politico sulla pelle dei malati.
Insomma se non cresciamo è colpa del Coronavirus, e un po’ di responsabilità per il Coronavirus è pure in capo a Salvini. Davvero un incipit febbricitante per una situazione che invece richiede sinergia, fermezza e una condivisione che vada al di là della sterile polemica ideologica e, soprattutto, del tipico scaricabarile di chi non vuole (o non è in grado) di assumersi le proprie responsabilità.
SARA GARINO
Vicedirettore
CIVICO20NEWS
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Articolo pubblicato il 23/02/2020