Scelte

Di Maria Rosa Arena

Giordano continuò a fissare il cellulare. Nessun messaggio. Riguardò il display dopo qualche minuto, il respiro in attesa. Niente.

 

Perché non gli scriveva? Cos’era successo? - si ripeteva, tamburellando le dita sulla sua scrivania.  

 

Sono rincoglionito fino a questo punto? Accidenti, calmati! - si disse poi a voce alta, cercando di ritrovare il respiro.

 

Ripensò a se stesso cercando una spiegazione a tutta quell’emozione che lo aveva travolto come...

 

Un liceale - ecco cosa sembro - si disse, tormentandosi il viso con le mani.

 

 

Alla soglia dei sessant’anni e in prossimità dalla pensione, era arrivata lei: all’improvviso e in un giorno qualsiasi. Si era semplicemente seduta sulla sedia davanti a lui e aveva accennato a un sorriso. Poi aveva abbassato lo sguardo. E lui aveva cominciato a osservarla. Era il suo lavoro, del resto. Anni e anni passati dietro alla scrivania della finanziaria dove lavorava, gli avevano insegnato tutto sulle persone. Aveva imparato a studiare chi aveva davanti, oltre alle loro credenziali ovviamente. La disperazione, la intuiva subito. E in genere se ne scansava. Capiva anche l’orgoglio, Ma quello lo comprendeva, meglio: lo ammirava.

 

Ma lei? Cosa trasmetteva?

 

Quando aveva iniziato a parlare, il rimmel delle ciglia aveva iniziato a frantumarsi sul lucido degli occhi. Capì immediatamente che forse aveva pianto prima di decidersi ad entrare, e di sedersi di fronte a lui: un impiegato qualsiasi. Scelto a caso. Lui, che aveva i capelli bianchi, gli occhiali e probabilmente – lo sentiva – trasmetteva quella fiducia, nell’apparire proprio solo un uomo qualunque. Ma non bastava. In quel posto, occorreva molto di più: empatia, ecco quello ci si aspettava. E lui l’aveva ma non per tutti. Sceglieva, ed era cauto. Non se la giocava per quelli che, anche se morti di fame, chiedevano un prestito solo per comprarsi il Suv. A quelli, fosse stato per lui, non avrebbe concesso una lira.

Ma a quella donna, con quei capelli arruffati e sparati in ricci disordinati, cosa era successo? A cose le serviva un prestito?

 

La guardò più attentamente mentre le spiegava le procedure, fingendo noia nel ripetere puntualmente, le stesse condizioni di accordo. Quelle da ambo le parti.

 

Notò il colore del rossetto. E gli parve di capire che la marca fosse da grande magazzino, o così avrebbe giurato. Niente collane, perle o anelli.

 

Si era sempre chiesto - e anche quello lo aveva imparato sul lavoro - il motivo di alcuni modi di truccarsi e addobbarsi delle donne. Il più delle volte erano maschere vere e proprie. Necessarie o meno, aveva la presunzione di riuscire a scoprirlo. Comprendeva quando, oltre all’artificio dei chiari e scuri sui loro volti, c’era ben altro di quello che raccontavano o dicevano davvero.

 

Ma quella donna? Non riusciva bene a decifrarla. Aveva una maschera? Quella che usavano la maggior parte di persone per impedire agli altri di arrivare dritti a quell’anima, che si tendeva invece a nascondere?

 

Le maschere. Quanto lo affascinavano. Sarà perché lui non era mai riuscito a costruirsene una. Lui era quello che si vedeva: aveva le sue certezze, sua moglie, i suoi figli, i suoi hobby. E una vita che scorreva giorno dopo giorno, ormai senza più sorprese. Lui era così chiaro e trasparente, al punto di diventare noioso. Anche a se stesso.

 

Giordano decise di farla parlare. Girò il viso verso lo schermo del computer, digitando qualcosa distrattamente e si concentrò sulla voce di lei. Aveva i toni morbidi e caldi. A tratti molto bassi e musicali. Cercò di avere un volto privo di espressione per quanto possibile, mentre l’ascoltava già rapito.

 

E Anna parlò. Lo fece srotolando parole che - s’immaginava - fossero ben ingarbugliate dentro di lei, come ami impigliati in reti da pesca in un mare impetuoso.

 

Ascoltò e ascoltò. Poi all’improvviso, una sua risata inaspettata. Si girò verso di lei. Non si era lagnata. Non come facevano tutti. Anzi, ritta sulla schiena, ora gli sorrideva. Gli occhi erano diversi: limpidi e chiari. Fissi nei suoi. Erano verdi? Il rimmel non c’era più. L’unico nero, era quello di un filo che - sentiva - lo stava annodando, stringendolo a lei. Cos’era successo? Giordano si stupì. Soprattutto da come cominciò inaspettatamente a precipitarle dentro: quel sorriso gli si era conficcato nel cuore, e lo aveva afferrato stretto.

 

Cercò una penna sul tavolo. Non la trovò. Si tolse gli occhiali e poi se li rimise. Fece una smorfia di imbarazzo e ritrovò il coraggio di guardarla da dietro le lenti.

 

Vide che lei fissava con interesse la sua cravatta rossa, e se la raddrizzò, sentendola stretta in gola.

 

«Signor Mattia...» disse Anna, piegando appena il collo verso di lui.

 

«Non sono il Signor Mattia» disse Giordano sbattendo gli occhi per la sorpresa.

 

«Ah! Io avevo appuntamento con il Signor Mattia» disse lei, scoppiando a ridere.

 

«Scusi, ma non poteva dirlo prima?» disse Giordano, sorridendo imbarazzato.

 

«Mica me lo ha chiesto. Pensavo fosse lei. Ha la faccia da Mattia» disse socchiudendo gli occhi, e appoggiando le mani sulla sua scrivania.

 

Giordano vide che aveva le unghie corte, senza smalto. Lo trovò strano per una donna, ma ormai cosa poteva ancora pensare, dopo quella figura?

 

Stettero in silenzio per qualche minuto, poi scoppiarono a ridere. Gli altri impiegati si girarono e li guardarono con stupore.

 

Giordano si passò una mano nei capelli bianchi e si allungò sulla sedia. Poi si alzò e chiese se volesse essere accompagnata al suo appuntamento, ma lei scosse la testa. Una cascata di ricci castani le ricadde sulla fronte.

 

«Troppo tardi. Non avrei il coraggio di ricominciare da capo» disse guardandolo fisso negli occhi scuri.

 

«E poi lei è meglio del Signor Mattia, ne sono certa» aggiunse Anna.

 

Giordano arrossì, passandosi le mani sudate sulla camicia.

 

Si risedette, e con gli occhi che ancora gli ridevano, decise: - maschere o non maschere - di concederle il prestito senza pensarci oltre. Il perché non lo capì neanche lui. Non subito, almeno, ma alla fine concesse anche tutto se stesso.

 

 

Ora, mentre continuava a fissare il display del Nokia, si sentiva confuso. Ripercorse nella memoria, trattenendolo stretto a sé, tutto quello che era successo quel giorno di un mese prima. E di una cosa era certo: in quei momenti, lei gli aveva preso qualcosa. E al primo sguardo. Cosa, non lo sapeva. Ma quando - a poca distanza dal suo viso -, lei si era infilata le dita fra i capelli, si era sentito inevitabilmente invischiato dentro. E lui rideva, quello lo ricordava bene, come se avesse avuto vent’anni.  Col cuore che dava il giro.

 

 

Che sia davvero rincoglionito, quindi? - concluse. - Due più due, faceva sempre quattro?

 

Non lo sapeva più. Erano passate settimane da quel giorno. Giornate in cui si erano sentiti ogni giorno e non era mai successo nulla.

 

 

Ora, sapeva solo di avere un telefono in mano. E che non aveva voglia di giudicarsi, sapeva che - nel caso - lo avrebbero fatto molto volentieri tutti gli altri. Non gli poteva importare di meno. Che lo giudicassero pure.

 

 

Decise di rileggere tutti i messaggi che si erano mandati. Pensò a quando, centinaia di volte, avrebbe voluto scriverle che quando tornava a casa dal lavoro, era come sentirsi perso. Che non riconosceva più sua moglie. Che lo irritava. A come prima di addormentarsi pensasse a lei, facendo molto attenzione a non sfiorare la mano di colei che aveva condiviso il suo letto per tanti anni. E che ora era un’estranea, o forse che lo era già da tempo senza che neanche se ne accorgesse. Ma non le disse nulla. Non voleva spaventarla. Era un problema suo e basta.

 

Si fece prendere dal panico e andò su WhatsApp. Guardò la sua foto profilo, sorridendo come un’adolescente. Il cuore gli si strinse. Non era online. E scrisse: “Ciao. Come stai? Fatti sentire... mi manchi”. Poi tornò indietro col tasto del cancella ed eliminò “mi manchi”. Inviò e restò in attesa. Silenzio.

 

Si arrese. Si abbottonò la giacca, la solita cravatta rossa infilata nei pantaloni, e uscì dalla finanziaria. Gli occhi fissi sul grigio del marciapiede. Salì sull’auto e partì per tornare a casa come ogni giorno da trent’anni a quella parte. Appoggiò il cellulare sul sedile del passeggero e lo fissò sconsolato. Mentre guidava col viso scuro e stanco, lo chiamò sua moglie: «Giordano, passi a prendere il pane? Me ne sono dimenticata. E poi anche...» disse lei, con la voce di tutti i giorni. Una voce scocciata. Sconosciuta. Un bla bla bla irritante.

 

«Ok» rispose laconico lui, buttando il telefono sul sedile.

 

Accese la radio. E ascoltò la notizia: nella sua zona, c’erano stato un altro morto a causa del coronavirus. Non ascoltò il resto della notizia, gli prese il panico: Anna abitava da quelle parti. Affiorò, senza che lo controllasse, il ricordò di quando perse il suo più caro amico per la Sars. Al dolore che aveva provato. Mentre gli occhi sbattevano da sotto gli occhiali appannati, immaginò che lei si fosse ammalata come lui. Anzi, che fosse addirittura morta. L’ansia lo prese alla gola.

 

Possibile che fosse stata contagiata da un virus di merda come Enrico? Che gli fosse stata portata via anche lei?

 

Fermò l’auto. Si portò le mani al volto sperando che fosse solo un pessimo ricordo che ritornava a galla. Che l’ansia gli stesse scavando dentro, allagandolo di dolore, come era successo a suo tempo, tanto da non farlo più ragionare?

 

Ma se invece fosse davvero così? Mioddio! - si disse - Vedi ad ascoltare tutti quei coglioni alla televisione? - 

 

Se la immaginò malata in un letto d’ospedale. La sua Anna, dalla voce simile alle foglie infilate nel vento. Gli occhi tristi. Lontana da lui.

 

Non pensò e non ebbe paura di essere stato magari contagiato a sua volta. Nemmeno quando si erano trovati così vicini da sfiorarsi quasi le labbra. Pensò alle sue risate. Non si preoccupò nemmeno che potessero contenere gocce di saliva che potessero essergli finite sul viso, anzi lo rimpianse.

 

 

Afferrò il cellulare. Aprì WhatsApp e le mandò un messaggio: “Sono un idiota! Perché non ti ho mai baciata?”. Poi si fermò, tornò sul messaggio e aggiunse “mi manchi.” Inviò e si sentì stupido nel pensare che arrivasse una risposta. Non più.

 

Ma invece arrivò: “Siamo sempre in tempo...” diceva il messaggio. Giordano balzò sul sedile. Il cuore prese a saltargli dentro come un acrobata ubriaco. Il messaggio continuava: “Scusa, ho solo avuto una brutta influenza, stavo per scriverti ma non sapevo se eri da solo... non volevo crearti problemi”. Seguiva una faccina col cuore.

 

Giordano scoppiò in lacrime.

 

Rimise in moto l’auto, ma non prese la direzione di casa sua. Non più.

 

Le mani strette sul volante, la giacca aperta. Abbassò il finestrino e guardò gli alberi, il cielo azzurro, annusando l’aria che gli passava sul viso.

 

Inspirò profondamente.

 

Si tolse la cravatta con una mano e la buttò dal finestrino. Una striscia rossa si perse afferrata dal vento, scomparendo verso il cielo.

 

Maria Rosa Arena

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Articolo pubblicato il 01/03/2020