Antonio Ligabue (1899-1965)

La storia di un’artista dannato: ora al cinema

Come in letteratura esiste la figura del “poeta maledetto”, anche l’arte vive di figure dannate, di artisti le cui opere non si separano da una vita di eccessi e incomprensioni e da personalità fuori dagli schemi.

Figure come Caravaggio, assiduo frequentatore di bettole e omicida in fuga; o Modigliani, morto in assoluta povertà durante l’epoca dorata della Parigi bohemien; il più noto in assoluto è Vincent Van Gogh, un uomo difficile, dalla personalità inquieta, spesso rinchiuso in manicomio e morto suicida senza aver mai raggiunto il riconoscimento artistico tanto aspirato.

Esiste in Italia un personaggio molto simile a Van Gogh, ma non altrettanto conosciuto.
Un altro uomo tormentato dal suo stesso animo; un altro uomo che scelse di esprimere i propri sentimenti attraverso l’arte, venendo deriso e ammirato allo stesso tempo: Antonio Ligabue.

Ligabue nasce a Zurigo nel 1899 da Elisabetta Costa, ragazza madre di origini bellunesi. Viene quindi dato in affidamento alla famiglia Göbel, svizzeri tedeschi residenti a Tablat.
Fu proprio il rapporto di amore conflittuale con la madre adottiva ad accompagnarlo per il corso della sua giovinezza.

Antonio sin da bambino è molto bravo nel disegno ma soffre di disturbi psichici che lo portano a crisi violente e fughe improvvise. Il suo primo internamento in manicomio avviene a soli 16 anni.

Nel 1919 viene denunciato dalla matrigna e per questo espulso dalla Svizzera e portato a Gualtieri, il paese di origine del padre naturale, in provincia di Reggio Emilia.

Qui, Antonio sopravvive di elemosina.
Vive come un vagabondo, dorme nei fienili e nei boschi agli argini del Po.
Parla solo il tedesco, e questo diviene motivo di un’emarginazione assoluta che lo porta lentamente alla solitudine più estrema.

Ma nonostante le asperità, Antonio riesce a dedicarsi all’unica attività in grado di renderlo felice: l’arte.

E’ commovente leggere di lui come un uomo disperato che tentava di vendere alla cameriera dell’osteria una tigre disegnata su un tovagliolo in cambio di un bacio.

Avvicinato da artisti quale Marino Mazzacurati, Antonio scolpisce con l’argilla ritratti di persone ma soprattutto di animali, dei quali ama la compagnia: cani, cavalli, galline, volpi e uccelli notturni. Oltre alle bestie che conosce bene però, nelle sue opere non mancano creature esotiche come tigri, leopardi, serpenti e leoni. 

Oltre a innumerevoli autoritratti, dipinge tele a olio di strabiliante vivacità; i colori accesi si accompagnano a linee vorticose tipiche della pittura fauves ed espressionista, tecniche con le quali l’artista entra in contatto, probabilmente, grazie a dei libri.

Si è cercato di far rientrare l’opera di Antonio Ligabue nella corrente naïf, cioè di quegli artisti che, privi di una vera e propria preparazione accademica, si affidavano alla sensibilità personale per creare la propria arte.
Autodidatti spinti dall’amore per la bellezza, come fu il grande Henri Rousseau.

A differenza di Van Gogh, Antonio riuscì ad ottenere in vita il riconoscimento artistico meritato.
Negli anni Cinquanta infatti, il suo talento si diffonde in tutto il paese, grazie ai servizi giornalistici e ai documentari Rai. La sua consacrazione artistica avviene nel 1962 con la mostra allestita presso La Barcaccia a Roma.

Non riuscirà però a godere appieno del momento più fittizio della sua carriera: gli anni Sessanta.
Nel 1962 viene infatti colpito da paralisi e morirà nel 1965.

Quella di Antonio Ligabue è senza dubbio una figura da non dimenticare, perché ci ricorda cosa può nascondersi dietro al barbone che vediamo dormire per la strada. Egli seppe creare una grande e meravigliosa arte attraverso il dolore e la solitudine. E come recita l’epitaffio posto sulla sua tomba, desiderava “solamente libertà e amore”.
Ha dimostrato al mondo come il talento possa farsi strada dentro chiunque abbia la sensibilità per ascoltarlo.

Parla di lui il film di Giorgio Diritti “Volevo nascondermi”, con Elio Germano protagonista.
Ora nei cinema italiani. Da non perdere! 


 

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Articolo pubblicato il 07/03/2020