Le ipotesi di Don Ferrante

riprendiamo le considerazioni di un noto personaggio manzoniano, contestualizzandole nell'attuale momento storico.

Alessandro Manzoni, autore de "I Promessi Sposi", il più noto romanzo ottocentesco italiano, analizza con puntuale, chirurgica precisione, le sfumature psicologiche dei suoi attori.

Entrando nella mente dei suoi personaggi, Manzoni, ci regala delle impareggiabili considerazioni che hanno il profumo della contemporaneità; quasi, mutatis mutandis, quelle stesse ipotesi e le conseguenti deduzioni partorite dai vari protagonisti dei capitoli loro dedicati, fossero sospese in un "non tempo" sempre pronte per essere riproposte in nuovi scenari.

Un caso emblematico ci viene offerto dal profilo psicologico di Don Ferrante.

Personaggio secondario, ma non marginale, Don Ferrante, marito di donna Prassede, viene descritto come un erudito del tempo, possessore di una rara collezione di preziosi volumi. Don Ferrante non è un uomo colto, possiede una grande quantità di informazioni (si direbbe oggi), che sciorina alla prima occasione senza averne ben compreso il significato. Ricorda alcuni individui che non conoscendo le cose si sforzano di innestarle nella propria memoria per palesare al proprio uditorio una pseudo cultura patetica e assolutamente inutile...

Don Ferrante è un tuttologo, uno di quegli individui che ancora oggi riescono a parlare di qualunque argomento senza dire assolutamente nulla ma vendendosi per degli autentici maestri di verità. I temi che tratta sono la storia, la scienza, la medicina e la filosofia. Parla senza pudore, anzi declama concetti che conosce senza averli compresi, in altre parole con l'abilità del ciarlatano vende a tutti aria fritta.

Come leggeremo più sotto, nel brano riportato, questo suo atteggiamento esigerà, alla fine, un prezzo molto elevato.

Interessantissime sono le sue considerazioni sulla peste, la cui attualità sembra essere rilevante.

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Dice adunque che, al primo parlar che si fece di peste, don Ferrante fu uno de' più risoluti a negarla, e che sostenne costantemente fino all'ultimo, quell'opinione; non già con ischiamazzi, come il popolo; ma con ragionamenti, ai quali nessuno potrà dire almeno che mancasse la concatenazione.

- In rerum natura, - diceva, - non ci son che due generi di cose: sostanze e accidenti; e se io provo che il contagio non può esser né l'uno né l'altro, avrò provato che non esiste, che è una chimera. E son qui. Le sostanze sono, o spirituali, o materiali. Che il contagio sia sostanza spirituale, è uno sproposito che nessuno vorrebbe sostenere; sicché è inutile parlarne. Le sostanze materiali sono, o semplici, o composte. Ora, sostanza semplice il contagio non è; e si dimostra in quattro parole. Non è sostanza aerea; perché, se fosse tale, in vece di passar da un corpo all'altro, volerebbe subito alla sua sfera. Non è acquea; perché bagnerebbe, e verrebbe asciugata da' venti. Non è ignea; perché brucerebbe. Non è terrea; perché sarebbe visibile. Sostanza composta, neppure; perché a ogni modo dovrebbe esser sensibile all'occhio o al tatto; e questo contagio, chi l'ha veduto? chi l'ha toccato? Riman da vedere se possa essere accidente. Peggio che peggio. Ci dicono questi signori dottori che si comunica da un corpo all'altro; ché questo è il loro achille, questo il pretesto per far tante prescrizioni senza costrutto. Ora, supponendolo accidente, verrebbe a essere un accidente trasportato: due parole che fanno ai calci, non essendoci, in tutta la filosofia, cosa più chiara, più liquida di questa: che un accidente non può passar da un soggetto all'altro. Che se, per evitar questa Scilla, si riducono a dire che sia accidente prodotto, dànno in Cariddi: perché, se è prodotto, dunque non si comunica, non si propaga, come vanno blaterando. Posti questi princìpi, cosa serve venirci tanto a parlare di vibici, d'esantemi, d'antraci...?

- Tutte corbellerie, - scappò fuori una volta un tale.

- No, no, - riprese don Ferrante: - non dico questo: la scienza è scienza; solo bisogna saperla adoprare. Vibici, esantemi, antraci, parotidi, bubboni violacei, furoncoli nigricanti, son tutte parole rispettabili, che hanno il loro significato bell'e buono; ma dico che non han che fare con la questione. Chi nega che ci possa essere di queste cose, anzi che ce ne sia? Tutto sta a veder di dove vengano.

Qui cominciavano i guai anche per don Ferrante. Fin che non faceva che dare addosso all'opinion del contagio, trovava per tutto orecchi attenti e ben disposti: perché non si può spiegare quanto sia grande l'autorità d'un dotto di professione, allorché vuol dimostrare agli altri le cose di cui sono già persuasi. Ma quando veniva a distinguere, e a voler dimostrare che l'errore di que' medici non consisteva già nell'affermare che ci fosse un male terribile e generale; ma nell'assegnarne la cagione; allora (parlo de' primi tempi, in cui non si voleva sentir discorrere di peste), allora, in vece d'orecchi, trovava lingue ribelli, intrattabili; allora, di predicare a distesa era finita; e la sua dottrina non poteva più metterla fuori, che a pezzi e bocconi.

- La c'è pur troppo la vera cagione, - diceva; - e son costretti a riconoscerla anche quelli che sostengono poi quell'altra così in aria... La neghino un poco, se possono, quella fatale congiunzione di Saturno con Giove. E quando mai s'è sentito dire che l'influenze si propaghino...? E lor signori mi vorranno negar l'influenze? Mi negheranno che ci sian degli astri? O mi vorranno dire che stian lassù a far nulla, come tante capocchie di spilli ficcati in un guancialino?... Ma quel che non mi può entrare, è di questi signori medici; confessare che ci troviamo sotto una congiunzione così maligna, e poi venirci a dire, con faccia tosta: non toccate qui, non toccate là, e sarete sicuri! Come se questo schivare il contatto materiale de' corpi terreni, potesse impedir l'effetto virtuale de' corpi celesti! E tanto affannarsi a bruciar de' cenci! Povera gente! brucerete Giove? brucerete Saturno?

His fretus, vale a dire su questi bei fondamenti, non prese nessuna precauzione contro la peste; gli s'attaccò; andò a letto, a morire, come un eroe di Metastasio, prendendosela con le stelle.

E quella sua famosa libreria? È forse ancora dispersa su per i muriccioli.

(I promessi sposi, cap. XXXVII)

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...questo contagio, chi l'ha veduto? chi l'ha toccato?... 

Il quesito che si pone Don Ferrante è comprensibile per il suo tempo, nessuno poteva immaginare che i topi e le pulci potessere essere dei veicoli di subdoli batteri, ovviamente invisibili senza l'uso del microscopio moderno

Il primo microscopio composto fu realizzato da Galilei nel 1624, ma non poteva sicuramente permettere le scoperte della microbiologia.

Oggi la situazione risulta essere sicuramente diversa, per via delle analisi efficienti e della precisa strumentazione diagnostica in nostro possesso. Tuttavia il morbo, nel caso specifico il Corona Virus, non è percepibile alla vista e la sua eventuale presenza risulta in parte virtuale e in parte misteriosa. Come sappiamo la peste nera è stata trasmessa dai ratti, tramite le pulci, o direttamente dalle pulci stesse che ne hanno diffuso l'infezione anche all'uomo. Successivamente il contagio, causato dal batterio Yersinia pestis, isolato solamente nel 1894, potè essere anche diffuso da uomo a uomo. 

Nel 1348 morì di peste nera il medico Gentile da Foligno, dopo aver elaborato la teoria del soffio pestifero che oggi ci fa amaramente sorridere: "se un tale soffio pestifero", così diceva la teoria, "viene inspirato dall'uomo, vapori velenosi si raccolgono intorno al cuore e ai polmoni, vi si addensano diventando una massa velenosa, che infetta questi organi e, attraverso l'aria espirata, può anche contagiare familiari, interlocutori e vicini". 

Sebbene siano passati molti secoli e le differenze biologiche tra il batteri della peste e il virus della attuale Pandemia da Corona Virus, siano enormi, alcuni punti in comune è possibile trovarli.

La causa biologica del "morbo", qualunque esso sia, non è visibile. Ogni persona che incontriamo potrebbe essere infetta e forse potremmo esserlo anche noi senza saperlo.

Il vicino di casa, il nostro barista di fiducia, un nostro parente... ogni individuo potrebbe essere un untore in grado di infettare chiunque.

La paura prende il sopravvento, la diffidenza verso l'altro ci induce all'allontanamento e all'isolamento. Tutti potrebbero veicolare il nemico e causare la nostra malattia.

Inutile nascondere la verità, la paura è giustificata e potrebbe degenerare in un panico collettivo.

Le informazioni che ci bombardano costantemente ingigantiscono il problema, secondo alcuni, o lo addomesticano secondo altri.

La verità è che non sappiamo assolutamente nulla di preciso.

A differenza di Don Ferrante che a modo suo voleva dimostrare l'inesistenza del morbo, appellandosi al fatto che le sue farneticazioni filosofiche ne potevano provare l'infondatezza, oggi sappiamo come si chiama il virus, ne conosciamo le caratteristiche biologiche, la pericolosità e la sua elevata virulenza.

Quello che non sappiamo è quale diffusione potrà avere e soprattutto i tempi del contagio.

Personalmente diffido di tutti coloro che pontificano sostenendo di possedere la sfera di cristallo, affermando che tra venti o trenta giorni si tornerà alla normalità, con le scuole aperte e con la situazione sotto controllo.

Ritengo che sia indispensabile alzare la barra della prudenza e attenersi scrupolosamente alle norme igieniche indicate dal Ministero, la cui diffusione è ormai capillare.

Don Ferrante pagò con la vita la propria stupidità, si spense malato di peste... e, come ci racconta il Manzoni:   "andò a letto, a morire, come un eroe di Metastasio, prendendosela con le stelle".

 

 

 

 

 

 

 

 

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Articolo pubblicato il 12/03/2020