Emergenza Coronavirus. Domani è già tardi

L’Italia non può più permettersi di cuocere a fuoco lento

La cronaca di questi drammatici giorni meriterebbe, per certi aspetti, un commento secco e stringato, quasi didascalico: diverso dai fiumi di parole che, purtroppo, sono impetuosi e travolgenti come i fiumi di vittime portate via da questa epidemia.

Sacrosanto il dovere del mantener, per il momento, la barra dritta in un’unica direzione, la sola veramente utile: finalizzare gli sforzi e le risorse per circoscrivere, e sconfiggere, il Corona maledetto. Il tempo per il redde rationem arriverà, deve arrivare: lo dobbiamo a tutte le vittime, stroncate da un nemico a cui il Governo ha la colpa di aver dichiarato guerra con imperdonabile ritardo, nonostante le evidenze provenienti dalla Cina parlassero di ben più che un’influenza.

Decenni addietro Winston Churchill (predecessore di quel Boris Johnson che pure, va detto, si è inizialmente dimostrato ancora più lasso – oltre che umanamente impietoso – di noi nel pianificare la lotta al virus) affermava come, per certi aspetti, gli Italiani perdano guerre come se fossero partite di calcio e partite di calcio come se fossero guerre. No, non è così Winston: certi Italiani sì, ma non tutti.

Ci sono Italiani faciloni, vero: alcuni di noi ancora oggi si preoccupano della corsetta sotto casa. Forse per mantenere il girovita, perché si sentono superuomini unti dalla Provvidenza e dunque intoccabili oppure, più prosaicamente, per sgravarsi la coscienza (visto che magari si tratta degli stessi che, cozze da supermercato, ammattiscono all’idea di restare un solo giorno senza manicaretto già pronto o barretta energizzante. Prima ancora, nel recente passato c’è stato chi, con l’alto onere e onore del Governo, ha chiamato il popolo alle armi contro l’esiziale virus dell’odio e del razzismo (soggetto ideale per una puntata di Chi l’ha visto) invece di ascoltare i moniti delle acute vedette lombarde che, in nome del principio di massima precauzione, chiedevano saggiamente di precorrere. Perché prevenire è sempre meglio che curare e in una guerra si vince anticipando le mosse dell’avversario, non rincorrendolo e cercando di parare a spizzichi e bocconi i suoi assalti.

La stretta del Governo si serra sempre più ma sempre a colpi di step successivi, che hanno purtroppo già fatto perdere all’Italia tempo preziosissimo, allungando e diluendo gli strascichi di una malattia che invece andrebbe stroncata, con tutta la forza e la risolutezza necessarie, prima che stronchi noi.

Non servono i guanti o gli appelli accorati. È la stessa società civile a chiederlo (perché la stragrande maggioranza del nostro popolo è fiera e responsabile): servono manu militari e direttive precise, da rispettare alla lettera.

Domani è già tardi. L’Italia non può permettersi di cuocere ancora a fuoco lento e, soprattutto, non può consentire che vengano immolate altre migliaia di vite.

Come detto il redde rationem arriverà, deve arrivare: lo dobbiamo anche ai nostri guerrieri in prima linea, a tutti coloro che combattono al fronte disarmati, anche a mani nude, a volte nel silenzio e nell’anonimato, per consentire alla popolazione di godere dei servizi essenziali e imprescindibili, pur in questo momento di coma sanitario ed economico. Ed è per questo che la nostra forza, la nostra strenuità nel combattere le guerre, va ben oltre e rovescia quanto delineato da Churchill.

Dopo la Caporetto del COVID-19 ci saranno purtroppo altre lacrime e sangue e per far contro al nemico una barriera si necessiterà di strategia e vision, che è poi l’abilità di decidere, oggi, immaginando il futuro: per stravincere la battaglia finale e decisiva.

L’Italia ci riuscirà. Come la Storia insegna, però, per farlo serve cambiar Generale.

 

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 22/03/2020