I giugavo 'nsema mi e ti (serie di poesie del cuore pensate e scritte in lingua piemontese)

Di Franco Marmello

P R O L O GO

Sono nato a Torino dopo la guerra, in un vecchio borgo nei pressi del mercato di Porta Palazzo; una leggenda familiare vuole che io sia figlio di un voto. Mia madre raccontava di aver chiesto la grazia al Signore, inginocchiata davanti al letto matrimoniale dove papà stava morendo. 

 

Io fui la promessa: un altro figlio che i miei genitori non avrebbero potuto permettersi in quel momento della loro vita.

Nacqui con cinque anni di ritardo, dopo il voto della mamma e la guarigione di papà scoppiò la guerra.

Fui pensato per cinque lunghi anni e poi concepito nei primi mesi di pace.

 

I primi ricordi che ho della mia casa sono quelli di uno stanzone diviso in zona giorno e zona notte: pochi mobili salvati dalla guerra, fatti a mano da un falegname di fiducia; mobili che avevano abitato un ambiente sicuramente più confortevole dove i miei genitori avevano costruito il loro nido d'amore inconsapevoli di quanto sarebbe successo dopo. 

 

- Ricordo mio fratello di undici anni più grande che mi scrutava con sospetto mentre crescevo, come un oggetto misterioso

- Ricordo il  freddo, l'acqua riscaldata sul gas per poterci lavare la faccia

- Ricordo gli odori di cucina che salivano al quinto piano (l'ultimo di quella casa dove abitavamo) dai piani di sotto

- Ricordo l'odore del gabinetto alla turca in fondo al ballatoio del quale ci servivamo con altre cinque famiglie

 

Ricordo però anche la solidarietà tra vicini, la certezza di essere fra amici veri; malgrado tutto mi sentivo sicuro, protetto.

In quella casa hanno preso forma i miei primi istinti romantici: viaggiavo con la fantasia, fingevo di dirigere un'immaginaria orchestra; vicini affettuosi si prestavano -la sera d'estate sul ballatoio- a simulare di fare musica con attrezzi da cucina e altri strumenti improvvisati. Mi intenerivano i vecchietti per strada malfermi sulle gambe e i bambini in passeggino; mandavo baci, ridevo di cuore.

 

La prima volta di un amore vero fu per una ragazza ancora da sposare a 30 anni (attempata per il tempo): la signorina del quarto piano.

Io avevo appena tre anni, non consumammo mai.

 

Parlavamo unicamente il dialetto: in famiglia e in campagna da mia nonna.

Ho imparato la lingua italiana più tardi nella casa popolare di periferia dove andammo ad abitare grazie a un piano di soccorso organizzato dall'On Amintore Fanfani (notabile di spicco della Democrazia Cristiana di allora) per chi era rimasto, come noi, senza casa. L'ho imparata dalla televisione guardando al bar con mio padre e i suoi amici Non é mai troppo tardi del Maestro Manzi; Lascia o raddoppia del Signor Mike; L'amico degli animali di Angelo Lombardi e Andalù; Il musichiere di Mario Riva; Chissà chi lo sa di Febo Conti. Ho imparato l'italiano parlando, attraverso il video, con Topo Gigio e Corky il ragazzo del circo; seguendo il Festival di San Remo con Nilla Pizzi, Carla Boni, Gino Latilla, Achille Togliani presentati il primo anno da Nunzio Filogamo, diretti per molti anni dal maestro Cinico Angelini.

 

Quando fu l'ora di andare a scuola conoscevo bene la lingua italiana, ma il dialetto (che poi scoprii chiamarsi lingua piemontese) non l'ho mai dimenticato. Mi capitava di pensare nel mio vecchio modo di esprimermi senza mai farci caso. Me ne accorsi a vent'anni, quando scrissi la prima volta in piemontese una canzone romantica e provai un brivido che saliva al cervello direttamente dal cuore.

 

Riporto sulla carta i frammenti di un amore (come recita il titolo della mia prima raccolta in lingua piemontese) che non mi ha mai abbandonato e che ha sostenuto la mia vita, non lasciandomi appisolare nella noia, nella rassegnazione del tempo che passa. 

 

I miei ricordi sono divisi in quattro parti.

Le prime emozioni che le mie poesie descrivono arrivano dal ballatoio, dalla casa di ringhiera dove sono nato.

Poi ci sono quelle del cortile dove ho passato l'infanzia, l'adolescenza e la prima giovinezza. 

Forti battiti di cuore arrivano dalla casa in collina dove ho vissuto grandi amori. 

 

In questo momento vi parlo dalla cascina dove abito da molti anni con la mia famiglia alternativa composta da me e dai miei due scudieri Stefano e Filippo, sostenuto dalla benedizione di mia figlia Muriel ormai donna e teneramente innamorata di Sandro, un simpatico ragazzo napoletano mago dell'informatica.

 

Ed ecco la prima poesia che regalo a voi cari lettori.

Si intitola Na ca con i ij pogieuj e arriva da molto lontano, come ho appena finito di raccontare.

Ste brav...

 

NA CA CON IJ POGIEUJ

 

Na ca con i pogeui, la cort 'd pera

masnà con 'l sol ant j'eui e la portiera

ch'a rusa s'a fan un po' 'd rabel

a cria, ma peui a l'é dossa come l'amel

 

Na ca con i pogi

linseuj tendu'

chiel subia da 'nt la cort, chi a ven giù

per desse doi basin sota 'l porton

duminica 's vedoma 'n procession

 

A son passà tanti ani

mi i j'era na masnà

ma ogni tant i penso a cola ca

 

Na ca con i pogieuj, che 'd personagi

ch'a son passame 'nt j'euj e coi paragi

la seira d'istà a smijava d'esse 'nt un pais

ant la stra as pijava 'l fresc ansema a j'amis

 

E jer mi son passà da li davanti

davanti a col porton im voria fermé

ma ades an cola strà a-i é 'n trafic 'd l'asidenti

e 'n civich a la fame segn 'd circolé

 

Cia ca, i l'hai dije, el mond am ciama i deuvo 'ndé

arved-se quaiche volta 'nt ti mei pensé

 

 

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 25/03/2020