La solitudine in letteratura

Tutti noi, ci siano scontrati nella vita con la solitudine. Chi più, chi meno. Chi con piacere, chi con tristezza.

La quarantena che stiamo vivendo è sicuramente un papabile esempio di come molti di noi davanti alla solitudine- dovuta all’isolamento- si ritrovino spiazzati.

E’ importante però fare una distinzione tra i due termini spesso superficialmente utilizzati come sinonimi: SOLITUDINE e ISOLAMENTO.

La solitudine è lo stato del solitario per indole, di chi è o vive solo per scelta, di chi fugge dalla compagnia privilegiando appunto lo “stare solo”.
Invece l’isolamento è qualcosa di imposto, di forzato, quindi di inevitabile, proprio come la quarantena che stiamo vivendo.

In questo articolo ripercorriamo alcuni autori che con la loro scrittura della solitudine o dell’isolamento hanno fatto una sorta di altare.

Herman Hesse, nato nel 1877 e morto nel 1962, è stato un guru della solitudine: ma non fisica, bensì interiore. Soprattutto in “Un’ora dopo la mezzanotte”, una raccolta di scritti della giovinezza dell’autore, Hesse descrive molto intensamente lo stato interiore di un adolescente che si sente, appunto, “solo”.
La vita, ha portato Herman Hesse ad una appassionata ricerca spirituale che lo porterà verso orizzonti di conoscenza e meditazione trascendentale. Un percorso, secondo lo scrittore, fatto anche di piaceri sensoriali legati alla natura e alla bellezza femminile.

Nemmeno Marguerite Yourcenar temeva la solitudine, anzi l’ammirava, la ricercava. Tanto che, ad un certo punto della sua vita decise di trasferirsi in una piccola e sperduta isola nel Pacifico, seppur riempiendo la sua amata solitudine scrivendo innumerevoli biografie delle vicende della sua famiglia.

Arnaud Cathrine cercava la solitudine per poter scrivere. Nel suo “Je ne retrouve personne”, il protagonista è a sua volta uno scrittore: Aurelien Delamare, sempre paradossalmente in bilico tra la ricerca della coppia e la voglia di solitudine.
Cathrine nella sua apprezzatissima opera si muove tra riflessioni letterarie e psicologiche, concludendo che la solitudine è una sofferenza legata al significato dell’esistenza.

Arrivando ai giorni nostri, tra i vari autori che ci parlano della solitudine per esorcizzarla, è impossibile non citare Paolo Giordano con il suo meraviglioso romanzo “La solitudine dei numeri primi”.

L’isolamento – e la conseguente solitudine- non è sempre qualcosa di spiacevole.
Non dobbiamo lasciarci spaventare dal senso di vuoto, in quanto proprio il senso di vuoto può essere la molla che ci spinge a cercare, a esplorare.
Insomma, la letteratura -e ogni forma d’arte in generale- insegnano: bisogna saper apprezzare e far fruttare la solitudine in funzione della creatività.

 

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Articolo pubblicato il 25/04/2020