La pandemia "spagnola" del 1918 e il Covid-19: analogie nella terapia?

Un Vademecum Diagnostico-Terapeutico del 1916 offre uno spaccato della cultura medica del tempo

È diffusa nell’opinione pubblica, o meglio in quella parte più consapevole delle vicende storico-sanitarie del secolo passato, la convinzione dell’analogia della grande pandemia cosiddetta “spagnola” con l’attuale flagello del Covid-19.

Anzi si potrebbe dire che emerge una considerazione spontanea: la ripetizione, dopo 100 anni delle stesse paure, dell’ansia, del tentativo di evitare a tutti i costi e di combattere il “mortale contagio” per ora ancora inarrestabile e poco noto nella sua capacità infettiva e patologica.

Tuttavia emerge un’altra analogia curiosa e sorprendente: quella relativa alla diagnostica e terapia del primo novecento, caratterizzata dalle ovvie limitazioni strumentali e rianimatorie del tempo, con la pratica medica attuale.

Ovviamente, come il buon senso suggerisce, questa analogia è da considerare con la dovuta approssimazione, cercando di trovare il filo conduttore comune che giustifica questa affermazione e che attraversa questi due terribili eventi.

Infatti è curioso e interessante evidenziare la realtà culturale medico-scientifica del periodo immediatamente antecedente la pandemia “spagnola” del 1918–1920.

Al riguardo il dr. Francesco Aragno ci segnala una “chicca” molto significativa e interessante: il manuale “Vademecum Diagnostico-Terapeutico” - Società Editrice Libraria – Milano - del 1916 degli autori Heinrich Schmidt, L. Friedheim, A. Lanhofer e J. Donat, medici clinici di chiara fama di Lipsia, edito quando la pandemia “spagnola” non era ancora stata segnalata.

Il punto di rilievo è il capitolo relativo all’Influenza a pag. 114 del testo. Il contenuto si presenta conciso, analitico nella descrizione della malattia, come altrettanto per la terapia: il chinino in primis e gli “antipiretici-antalgici-antinfiammatori” del tempo (l’antipirina [o fenazone / 1-fenil 2,3-dimetilpirazolone], la salipirina [ salicilato di antipirina] o la fenacetina [acetil-parafenetidina], l’antifebbrina [acetanilide/N-fenilacetammide/ C8H5NHCOCH3), che oggi potremmo definire farmaci di ultima generazione”, ma con forti effetti collaterali già registrati all’epoca.

Attualmente, per la terapia del Covid-19 nelle forme più gravi, oltre alla “ventilazione meccanica”, ai tentativi sperimentali e sovente “compassionevoli” (somministrazione di plasma ricco di anticorpi anti-virus da pazienti guariti dall’infezione, farmaci antivirali non specifici, anticoagulanti sistemici per evitare la Coagulopatia Intravascolare Disseminata [CID], ecc.), resta ancora sostanzialmente in uso la strategia e la pratica datata sopra esposta.

Può sembrare paradossale, ma la realtà è questa nell’attesa di farmaci anti-virali altamente specifici, inibenti la replicazione del Covid-19 in questione e nel tanto auspicato, ma ancora futuribile vaccino risolutore.

Nel ringraziare il dr. Francesco Aragno per la sua importante collaborazione, non resta che riportare la pagina in oggetto per la visione dei lettori.

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Articolo pubblicato il 21/04/2020