La libertà di fare, senza catene

In un documento, il rischio che la pandemia sanitaria si trasformi in pandemia statalista

La pandemia e il pandemonio dovuti al virus cinese sono destinati a lasciare un segno pesante nella Storia. Cambieranno, anzi stanno già cambiando, scenari sociali e dinamiche geopolitiche, con effetti più o meno recessivi a seconda del sussulto di intraprendenza che i singoli Stati impartiranno alle loro abbacchiate economie. I requisiti fondamentali sono due, peraltro intimamente collegati: velocità e libertà.

In Italia più che altrove lo stramaledetto Corona ha mietuto le sue vittime, portandosi via - insieme alla vita delle persone - il loro entusiasmo, le risorse civiche e morali nonchè quel prezioso bagaglio di vita ed esperienze grazie alle quali i nostri anziani seppero tirar su l'Italia dalle ceneri ancora fumanti della Seconda Guerra Mondiale. All'epoca però la riconquistata libertà civica si era subito riversata nella libertà (contagiosa) di lavorare, fare impresa, con l'obiettivo di edificare un futuro pacifico, solido e robusto tanto per sè quanto per le generazioni a venire. Senza lacci burocratici a soffocare le energie, nè uno Stato opprimente e vessatore a legar le mani e a svuotare le tasche.

In un documento recentemente firmato da alcuni Professionisti e Accademici italiani, si paventa il ritorno a un modello di Stato accentratore, dove la tragedia dell'epidemia diventi l'abbrivio per nuove limitazioni e zavorre a spettanze e libertà in capo ai singoli (a tutti i livelli, compreso quello delle autonomie regionali). I provvedimenti, o meglio la serie imbarazzante di continui rinvii cui stiamo assistendo, rivelano come s'intenda "allargare la sfera d'azione del potere pubblico, nella convinzione che questo possa aiutare l'economia". Eppure, anche se le rutilanti promesse sembrano far piovere manna dal cielo, è innegabile che nessun cavallo - per quanto purosangue - possa dirsi libero di correre se tenuto prigioniero in una gabbia. E l'allusione non è certo alla quarantena casalinga e al distanziamento sociale: misure facili (benchè insufficienti quando prive di risposte economiche) ma che hanno senza dubbio permesso di contenere il contagio. La prigione è piuttosto quella culturale, portata avanti da una compagine governativa che - con misure "aspirina" e non proattive - "sta predisponendo un gigantesco meccanismo di deresponsabilizzazione [...], creando una logica da "reddito di cittadinanza" estesa a ogni settore".

Non è questo ciò di cui necessita l'Italia: non è questo che si meritano gli Italiani ottuagenari, eroi di un Paese ricostruito con sudore e sacrifici e che ora si vorrebbe prosciugare con sforbiciate e patrimoniali varie. Servono misure concrete, che non sprechino le risorse in mille rivoli ma le concentrino là dove risultano strategicamente più utili per la ripartenza dell'intero sistema.

Affinchè la pandemia sanitaria non si traduca in una pericolosa pandemia statalista.

 

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Articolo pubblicato il 23/04/2020