Il mio 25 Aprile - di Tito Giraudo

I ricordi di un ex sindacalista socialista

I lettori di Nel Futuro sanno bene come io odi l’antifascismo di maniera che fa il paio con l’anticomunismo di maniera e cioè quello usato ai fini di propaganda di parte senza riferimenti storici.

 

La mia amica Mara Antonaccio ha interpretato il 25 Aprile con il ricordo della sua nonna comunista, o socialista fiera del fazzoletto rosso al collo.

 

Simboli del novecento, un secolo che ha giocato sul rosso e sul nero neanche fossimo stati a Montecarlo.

Anche io ho dei ricordi personali legati al 25 Aprile.

Negli anni sessanta, il 25 aprile, era quasi sempre un sindacalista l’oratore principale nelle varie manifestazioni nei comuni della cintura torinese.

 

A me toccò Collegno.

Collegno era la Stalingrado della cintura, il sindaco era un vecchio stalinista tutto di un pezzo ma anche un discreto amministratore. A Collegno il 25 aprile facevano le cose in grande. Corteo, un paio di carri allegorici, comizio.

 

Quell’anno, non so perché parlai a mio padre che avrei fatto un comizio a Collegno il 25 Aprile. Mi disse che mi avrebbe sentito volentieri e quindi venne con me.

 

All’epoca, la mia cultura storica sul fascismo lasciava alquanto a desiderare. La traccia che in segreteria mi era stata data era di porre l’accento su come gli industriali fossero stati i principali responsabili della reazione fascista. Gli insulti al ventennio erano lasciati alla discrezionalità del comiziante.

 

Così avvenne. Ci andai giù per le trippe in quanto ad antifascismo di maniera.

Vi chiederete che c’è di anormale in riti che la sinistra per anni ha svolto con diligenza e che noi socialisti per farci perdonare il centro Sinistra, se era possibile, si era ancora più superficiali e demagogici.

Ve lo spiego subito.

 

Mio padre, Pietro Giraudo fu: Sansepolcrista, ferito fascista e marcia su Roma, insomma un fascista a tutto tondo. Per la verità ebbe anche diverse contraddizioni dal momento che da sinistra contestò squadrismo violento prima e “gerarchismo opportunista” dopo.

 

Per farla breve, apparteneva a quel fascismo di sinistra di cui mai nessuno parla ma che ci fu, tanto che costoro pagarono di persona per tutto il ventennio, per poi essere epurati solo per non aver abiurato a quella che loro avevano pensato di fare: La rivoluzione fascista.

 

Ma si sa, certi democratici colpiscono non i reati ma le idee. Mio padre era un mussoliniano un po’ ingenuo, di quelli che pensavano che quando succedevano cose spiacevoli Mussolini non ne fosse al corrente. Per lui Benito fu un amico per la vita.

 

Il lavoro e l’agiatezza nel ventennio, non gli venne dal regime ma dal suo amico ed ex compagno: Camillo Olivetti che gli affidò la manutenzione delle macchine da scrivere, poiché con l’infausta fine del biennio rosso, dopo essere stato massacrato a colpi di chiave inglese perse pure il posto di operaio della Fiat con altri duecento, prezzo che Agnelli pagò ai rossi per il ritorno della pace in fabbrica.

 

Nel 45, punire un fascista poteva anche essere comprensibile, ma condannare alla fame la famiglia non mi sembra atto eroico. Mio padre fu imprigionato e naturalmente rilasciato ben prima dell’avvento dell’indulto togliattiano perché nessun addebito poteva essergli mosso, se non quello di aver creduto in un’idea, per sbagliata che fosse.

 

Quel giorno mio padre, nonostante le stupidaggini che urlai fu fiero di me. Secondo me gli insulti al fascismo se li era fatti entrare da un orecchio e uscire dall’altro. L’amore per il figlio trombone prevalse.

 

Ho voluto saperne di più sul Fascismo, quando lasciai la politica e mio Padre ci aveva lasciati, senza mai cambiare idea.

Ma se io mi sono chiesto come mai un ex socialista rivoluzionario, operaio, fosse diventato fascista mantenendo nel ventennio anche le amicizie con socialisti e comunisti (silenti ma non al confino) le cose non dovevano essere andate come da volgo sinistrese.

 

Tutte le volte che ho invitato al dibattito sulle origini e la natura anche sociologica del Movimento Fascista, la genesi della dittatura, gli anni del consenso diffuso con riforme sociali innegabili per arrivare alla stupida guerra coloniale e all’indegno manifesto della razza che fu una grande porcata opportunista per compiacere Hitler ma che vide ben pochi oppositori, anzi troppi sostenitori che poi parteciperanno alle sfilate del 25 Aprile. Il risultato che mi sono preso del fascista senza argomentare, oppure mi si è risposto con un assordante silenzio, anche da amici che sapevo tacitamente, troppo tacitamente concordi.

 

Perché non si vuole discutere di un ventennio della nostra storia?

Perché non fa comodo, alle sinistre perché si scoprirebbero indirettamente responsabili e ai moderati italiani perché rei di opportunismo.

Nel 1983, ci fu l’ultima stanca rievocazione della fatidica data.

 

Se non fosse sopravvenuta la vittoria di Berlusconi, oggi non saremmo qui a discutere. L’antifascismo militante, rinacque perché faceva comodo alle sinistre demonizzare l’avversario. Quegli stessi che avevano sostenuto e difeso, nonostante tutto, il Comunismo reale sovietico che io ritengo ben peggiore del fascismo, e anche qui perché non discuterne se qualcuno pensa che Mussolini sia stato più criminale di Stalin.

Perché una volta all’anno o per strumentalizzazione politica, si lanciano invettive e slogan che vanno a colpire l’avversario politico di turno senza fare chiarezza sul fascismo e sulla resistenza.

 

Personalmente ho l’impressione che si abbia paura di approfondire solo per non togliersi uno strumento di lotta politica.

Ho avuto la pazienza di leggermi i 10 volumi della storia del fascismo del De Felice. Libri i quali dopo un attacco di maniera, anche su essi da sinistra, è stato fatto cadere il silenzio nonostante siano universalmente considerati il lavoro più esaustivo e obiettivo sul fascismo.

 

Da loro ho capito come mio padre avesse potuto aderire al fascismo e come avesse sbagliato a non tirarsene fuori nel 39, anno in cui fu nuovamente messo in galera, probabilmente perché era andato a minacciare i gerarchi torinesi nel caso avessero osato toccare la famiglia Olivetti.

 

Io, forse ho sentito il bisogno per amore filiale di capire. A nessuno piace avere un padre con delle macchie e quindi capisco chi questo problema non l’ha avuto e a cui poco importa dimostrare che anche nel fascismo ci fosse il buono e l’onesto è cioè la dimostrazione che si può stare in buona fede anche dalla parte sbagliata. La controprova l’abbiamo sui milioni di italiani che hanno adorato Stalin, almeno quanto papà adorò Mussolini.

 

Meno comprensibile è che dopo che gli stessi comunisti russi hanno denunciato i crimini staliniani, ancora oggi molti usino due pesi e due misure.

 

Se dopo quanto ho scritto nessuno interverrà a contestarmi, magari ho anche qualche ragione.

 

Da “Nel Futuro”, web magazine.

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Articolo pubblicato il 25/04/2020