Le Archeologie del Paesaggio (Rurale e Urbano) e delle Tecnologie
Benjamin Leader - Un barlume prima della tempesta (1901)

Le Archeologie Post Medioevali e Moderne e la Generale: discipline finitime sincroniche e diacroniche - Cenni sulle normative nazionali, sovranazionali e UNESCO (Di Marco Montesso) Prima parte

Per Archeologia del Paesaggio (A. P.), disciplina finitima e sincronica all’Archeologia Industriale (A. I.), si intende lo studio dell’ambiente in generale, sia esso costituito dalle Campagne, dalla quale si è sviluppata, o dalle Città. Le materia, poi, nella terminologia togata si definisce anche, con le sue due articolazioni, Rurale e Urbana.

È dell’inglese Barker la definizione più precisa della disciplina intesa come “lo studio archeologico del rapporto tra le persone e l’ambiente nell’antichità, e dei rapporti tra la gente e la gente nel contesto dell’ambiente in cui abitava”.

La qualifica viene dal fatto che Oltre Manica dalla fine dell’ultima guerra mondiale si era, infatti, posta molta enfasi alla c. d. “Landscape Archaeology”, ciò sia in Patria che all’Estero.

A titolo esemplificativo, per quest’ultimo aspetto, si pensi al progetto “South Etruria Survey”, patrocinato dalla British School at Rome su volere del direttore, dal 1946 al 1974, John Ward-Perkins, che si sviluppò nell’arco di un ventennio. Nell’accezione degli archeologi industriali in generale l’A. P. la si definisce come “Paesaggio Culturale”.

Aprendo una parentesi virtuale per una curiosità: l’A. P. nel mondo anglo-americano e oggi anche in un’ottica internazionale, si traduce con l’espressione “Landscape Archaeology”.

Landscape Archaeology è sempre in quel contesto, pure, sinonimo di ricognizione sul campo. In Italia, invece, tale attività, nella sua accezione accademica, è tradizionalmente parte della Topografia Antica. Tuttavia, è bene riflettere sul fatto che prima di loro nessun studioso, e tanto meno legislatore, avevano mai posto l’enfasi sull’aspetto culturale dell’Ambiente.

Si ricordi, a questo proposito, che la Legge 1497/39, conosciuta comunemente come Legge Bottai dal nome dell’allora ministro che inoltre tra gli alti gerarchi del Regime aveva la nomea di intellettuale, primo caso di normativa italiana dall’ampia articolazione in materia, aveva come solo oggetto del suo regolamentare tuttalpiù “le bellezze panoramiche”, i “quadri naturali” e pure definiti in relazione a precisi “punti di vista” da cui poterli ammirare. Inoltre, per concludere quest’inciso esplicativo, di fatto tutta la Legge di Tutela del ‘39 era incentrata sui monumenti, manufatti artistici, resti antichi, ecc., e precipuamente su quelli afferenti alla Romanità classica, ciò d’altronde comprensibile in quanto in linea con la retorica sviluppata sin dai suoi primordi dal Fascismo al potere.

Si dovette in Italia giungere al T. U. del 1999 e, soprattutto, al “Codice dei Beni Culturali e dell’Ambiente” del 2004 perché il “Paesaggio”, per così dire, abbia avuto “giustizia”; se ne suggerisce, anche per questo aspetto, la consultazione. A proposito del Codice, è bene sottolinearne la sua importanza che non è circoscritta solo all’Italia bensì riveste un ruolo pure in campo internazionale. Ciò in quanto emanazione normativa su Beni Culturali e Ambientali del Paese che ne è leader indiscusso per cronologia, quantità e qualità. Sinteticamente, si ricordi il Decreto legislativo N. 42 del 22 gennaio 2004 recante il Codice. La pubblicazione avvenne sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 24 febbraio 2004, n. 45.

Il Codice è suddiviso in 5 Parti: Disposizioni generali (Art. 1 - 9), Beni culturali (Art. 10 - 130), Beni paesaggistici (Art. 131 - 159), Sanzioni (Art. 160 - 181), Disposizioni transitorie, abrogazioni ed entrata in vigore (Art. 182 - 184), a loro volta in Titoli e Capi e contiene l’Allegato A, di cui agli artt. 63, comma 1; 74, commi 1 e 3; comma 3, lettera a) determinante le categorie di beni.

Che sono i seguenti:

1. Reperti archeologici aventi più di cento anni provenienti da scavi, e scoperte terrestri o sottomarine, siti archeologici, collezioni archeologiche.

2. Elementi, costituenti parte integrante di monumenti artistici, storici o religiosi e provenienti dallo smembramento dei monumenti stessi, aventi più di cento anni.

3. Quadri e pitture diversi da quelli appartenenti da quelli appartenenti alle categorie 4 e 5 fatti interamente a mano su qualsiasi supporto e con qualsiasi materiale.

4. Acquarelli, guazzi e pastelli eseguiti interamente a mano su qualsiasi supporto.

5. Mosaici diversi da quelli delle categorie 1 e 2 realizzati interamente a mano con qualsiasi materiale e disegni fatti interamente a mano su qualsiasi supporto.

6. Incisioni, stampe, serigrafie e litografie originali e relative matrici, nonché manifesti originali.

7. Opere originali dell’arte statuaria o dell’arte scultore a e copie ottenute con il medesimo procedimento dell’originale, diverse da quelle della categoria 1.

8. Fotografie, film e relativi negativi.

9. Incunaboli e manoscritti, compresi le carte geografiche e gli spartiti musicali, isolati o in collezione.

10. Libri aventi più di cento anni, isolati o in collezione.

11. Carte geografiche stampate aventi più di duecento anni.

12. Archivi e supporti, comprendenti elementi di qualsiasi natura aventi più di cinquanta anni.

13. a) Collezioni ed esemplari provenienti da collezioni di zoologia, botanica, mineralogia, anatomia.

13. b) Collezioni aventi interesse storico, paleontologico, etnografico o numismatico.

14. Mezzi di trasporto aventi più di settantacinque anni.

15. Altri oggetti di antiquariato non contemplati dalle categorie da 1 a 14, aventi più di cinquanta anni. ( ... )

Esso venne parzialmente modificato, in alcune sue parti, articoli o commi, dall’art. 12 del d. lgs. n. 157 del 2006 e, soprattutto, dall’art. 2 del d. lgs. n. 62 del 2008. Questo articolo, inoltre, modifica ed integra anche gli articoli 87 e 87 - bis della Parte II, Sezione IV - Disciplina in materia della illecita circolazione dei beni culturali, laddove si fa esplicito riferimento, rispettivamente, alle Convenzioni UNIDROIT, adottata a Roma nel 1995 e UNESCO, adottata a Parigi nel 1970. A questo proposito si rammenti, per approfondirne poi i contenuti, che in termini ufficiali la Convenzione UNESCO è conosciuta come “Convention on the Means of Prohibiting and Preventing the Illicit Import, Export and Transfer of Ownership of Cultural Property”.

I 15 punti, citati sopra, dell’allegato A del Codice esplicitano in buona sostanza le varie tipologie di “Beni” tutelati dalla Convenzione, ovviamente, verrebbe da dire! A giugno del 2014 ben 127 Stati hanno aderito alla Convenzione.

Analogamente, si fa presente che UNIDROIT è definita come “Convention on Stolen or Illegally Exported Cultural Objects”. Per finire, UNIDROIT è la sigla de The International Institute for the Unification of Private Law. UNESCO - UNIDROIT nel 2010 hanno stipulato un accordo. Inoltre UNESCO ha pure stretto un patto col WCO, World Custom Organization, per definire una seria e tutelata certificazione atta alla identificazione e tracciabilità degli oggetti d’arte quando oltrepassino le frontiere nel 2007.

Al fine di contrastare il traffico illegale e internazionale di opere d’arte, che spesso colpiscono Istituzioni pubbliche, quali i Musei, e le Fondazioni private di collezionisti, nello stesso anno l’UNESCO ha stretto un’alleanza operativa con INTERPOL e ICOM, International Council of Museums.

Presso UNESCO dal 2005 ha sede la banca dati sulle legislazioni nazionali in ambito di Beni Culturali. Sin dal 1999 UNESCO, inoltre, ha definito le linee guida del Codice Internazionale Etico dedicato ai commercianti di oggetti d’Arte. E già due anni prima, infine, UNESCO, aveva “legiferato” in tal senso creando l’OBJECT -ID, una sorta di “carta d’identità” che da allora dovrebbe accompagnare, come fosse una garanzia, ogni bene culturale.

Marco Montesso

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Articolo pubblicato il 05/05/2020