In ricordo di Mario Galvagni

Una riflessione sull'architetto Mario Galvagni, mancato il 7 Aprile 2020, e sulla "sua" Torre del Mare.

Caro architetto Galvagni,

le racconto la mia Torre.

 

Torre, sì, con la maiuscola, non è un refuso. E’ corretto. Perché è così che i torremarini veri chiamano Torre del Mare, dal punto di vista amministrativo una frazione del comune di Bergeggi, in gran parte costruita sul lato del promontorio che dà sul golfo di Spotorno e sull’isola di Bergeggi.

Già, oggi, correttamente, sempre dal punto di vista amministrativo, si chiama così, ma quando lei, architetto Galvagni, alla fine degli anni cinquanta, cominciò a costruire le sue case sinuose o dalle geometrie avveniristiche, appoggiate sul terreno in una versione riveduta e corretta dei tipici terrazzamenti liguri, la chiamavamo in un altro modo, vero?  Isola d’oro, come l’unico albergo che sia mai esistito a Torre.

Sono arrivata qui nel lontano ’62, quando ero bambina; e qui ho vissuto le lunghe estati di quegli anni, e tutte quelle che sono seguite, fino a pochissimi anni fa, nella bella casa di mio padre. Peccato che Penelope non abbia riconosciuto Antinoo quando si è presentato alla reggia di Itaca come un mendicante. L’ha accolto. E ha sbagliato.

Caro architetto, meglio tornare a lei, alla sua storia a Torre del Mare, che si è conclusa invece tanto tempo fa, fra incomprensioni, critiche, disconoscimenti della sua architettura, innovativa e rispettosa del territorio, tanto denigrata allora, soprattutto  in Italia, quanto invece rivalutata, e soprattutto compresa, oggi.

Le sue case sono inconfondibili e in questa surreale “chiusura” da Covid19 che ho la fortuna di vivere proprio qui, in questa strana Torre vuota e silenziosa, nella mia nuova, bellissima casa già piena dell’inconfondibile profumo che hanno le case destinate a riempirsi di meravigliosi ricordi, da quando è consentito passeggiare all’interno del territorio comunale, ho deciso di andare alla ricerca delle sue case, caro architetto.

Le sto osservando con un’attenzione nuova, che non avevo mai dedicato loro, che pure se la sarebbero meritata; sono sempre stata troppo presa a vivere le mie vacanze e a vedere quelle dei miei figli così simili alle mie da avere l’illusione che qui il tempo si dilatasse in eterno, a gustare la continuità sempre uguale che ho visto scorrere qui sotto i miei occhi per gran parte della mia vita.  

Ogni azione ripetuta mi ha sempre dato l’illusione di poter attingere alla sfera universale dell’eternità, ogni onda che vedevo frangersi uguale sulle mie gambe e su quelle dei miei figli mi sembrava portasse a riva una goccia di infinito e di eternità, il massimo concesso a noi mortali. Peccato che Calipso abbia trattenuto Ulisse a Ogigia per così tanto tempo. Rischia di non arrivare in tempo.

Le sue case, caro architetto. Le ho guardate con occhi nuovi: la Tanzina, dal nome dei primi proprietari, i Tanzi, una serie di muri bianchi su cui si affacciano le sue inconfondibili finestre alte e strette, sormontate da piccoli parallelepipedi bianchi che la difendono dal sole e dalla pioggia; le scalette che dalla casa  scendono alla strada, su cui ho visto salire i Tanzi,  poi i Müller, e soprattutto Roberto Müller, il bel ragazzo biondo con  un fisico da paura che ha riempito i sogni di tutte le adolescenti torremarine un po’ più grandi di me.

Ho guardato le tre lunghe curve sinuose di casa Tizzoni-Marazzi ripensando a quand’ero bambina: Paolo non ci preparava i suoi ottimi cocktail, l’Oblivion non esisteva. La chiamavamo la palazzina degli uffici, perché era la sede dell’ufficio vendite, era aperta al pubblico e tutti scendevamo la sua bella scalinata per arrivare in spiaggia. 

Mi sono avventurata nel giardino di casa Zani, trascurata da tempo, con le sue scalette e le terrazze che si aprono improvvise sul mare; ricordo vagamente due ragazzi un po’ più grandi di me, mi sembra fossero francesi, che ci venivano d’estate. Ma soprattutto ho guardato con attenzione quelle che non ho mai avuto l’occasione di visitare perché non ne ho mai conosciuto i proprietari.

Casa Dasch, per esempio, “La Rotonda”, un capolavoro di sinuosità, un trionfo della circonferenza e dei suoi segmenti: una terrazza rotonda che sembra la tolda di una nave con una vista mozzafiato. Complimenti, caro architetto! “La guardiana”, anche questa un andirivieni di scale e scalette sormontate da forme rotonde che mantengono sempre la loro identità pur piegandosi alle più raffinate esigenze abitative. O ancora casa Sida-Callegaro, una struttura originalissima, per non parlare della bellissima casa delle mie  amiche di un tempo, Patrizia e Indra Reale, ampiamente rappresentata nel bel calendario del 2012 dedicato a Torre del mare  e alle sue case, caro architetto, voluto dall’architetto Marco Ciarlo con il fotografo Fulvio Rosso.

Un calendario che nelle case dei torremarini veri, come me, non può assolutamente mancare; e possibilmente in salotto, in bella vista. E che importanza può avere il fatto che siamo nel 2020? Solo chi non sa cosa siano state le lunghe estati degli anni sessanta, settanta, ottanta, chi non sa a cosa si sia ispirato nel suo progetto, caro architetto, può pensare di non appenderlo perché non siamo più nel 2012! Se l’è meritato, quel calendario, caro architetto.

Così come si è meritato, dopo le critiche a cui fu sottoposto il suo lavoro, apprezzato solo tardivamente  dallo storico ed esperto di architettura Bruno Zevi, che venisse istituito a Torre del mare, nel 2012, il primo parco architettonico dedicato ad un architetto vivente.

Per essere torremarini veri non basta comprare una casa a Torre; per quello bastano i soldi. Bisogna avere provato con i sensi, con la mente e con il cuore “l’immersione totale tra pietre, licheni ed erbe profumate, di timo, di ginestre, lavanda e limonina” di cui lei stesso, caro architetto, parlò a proposito della sua prima passeggiata su quella che sarebbe poi diventata la collina di Torre del mare.

La sua prima passeggiata. Ce la racconta Emanuele Piccardo, uno dei soci fondatori del nuovo centro residenziale, in un articolo su  Repubblica  del 7 aprile 2020, il giorno in cui lei ci ha lasciato. Bisogna aver sentito, con  tutti i sensi del cuore, le emozioni che lei, caro architetto, racconta di avere provato quando fece la sua prima passeggiata a Bergeggi, nei luoghi della futura Torre del Mare, insieme a Pierino Tizzoni, colui che per primo immaginò le potenzialità di questa meravigliosa collina  ed ebbe il coraggio di affidare il progetto del nuovo centro ad un architetto giovane e pieno di idee innovative, rispettose della morfologia del territorio come lei.

Le sue parole, nel racconto di Piccardo, mi hanno ricordato quella che immagino sia stata l’impressione dei miei genitori nel ’60. Mio padre mi raccontava spesso di avere accompagnato la mamma nel terreno che aveva scelto e che lei decise che lì sarebbe sorta la nostra casa; non fu facile ottenerlo, perché lì avrebbe dovuto sorgere un albergo, mi raccontava papà.

Ma quando si trattava di accontentare la mamma mio padre non si fermava davanti a nulla; ci riuscì e lì sorse la nostra casa, quella dove passai le mie vacanze fin da bambina, vacanze lunghissime che non cambierei con niente al mondo.

Caro architetto, so che ha saputo della festa sulla spiaggia che noi torremarini veri abbiamo organizzato nel 2012, creando anche un sito dove le sue opere e il suo lavoro hanno trovato lo spazio che meritano.

E’ stata una bella festa, architetto, peccato che non abbia potuto partecipare; forse sarebbe rimasto deluso, chissà, Torre non è più certamente quella dei suoi  tempi. Ma forse avrebbe respirato, nelle parole di Evandro, che purtroppo adesso non c’è piu, il bagnino gestore dei nostri storici bagni Lido di Torre del Mare, il profumo di quel tempo.

Sa cosa mi ha detto mentre chiacchieravamo davanti ad una fetta di torta gelato? “Allora, agli inizi, era tutta un’altra cosa.” E il suo sguardo parlava di un tempo lontano che gli sarebbe piaciuto rivivere.

Ma poco dopo, quando gli sono passata davanti dopo un ballo sulla pista improvvisata sulla spiaggia con le mie sorelle, mi ha guardato e mi ha detto sottovoce. “La signora Lotti…”. Come se per lui, in quel momento, il tempo fosse tornato indietro e la mia mamma fosse ricomparsa tra noi, con le mie sembianze, come per magia, quella magia che quella festa, che ha radunato persone che non si vedevano a Torre da vent’anni, è riuscita a creare in una calda serata di giugno. Grazie ancora, architetto, senza di lei non sarebbe stato possibile.

 

 

 

 

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Articolo pubblicato il 12/05/2020