La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

Le tragiche soffitte di via Milano 13

Parliamo di soffitte, quelle che nella parlata torinese sono dette “sofiëtte” o “sofie” ma anche, con termine vagamente gergale, “nivole” cioè nuvole per la loro vicinanza al cielo. Ci sono persone che hanno voluto ricamarci sopra e trovare declinazioni poetiche a questo temine ma la realtà del passato, remoto e prossimo, contraddice spesso questi voli letterari di fantasia.

Non è questa la sede per una disamina letteraria sul tema delle soffitte torinesi, ci basta citare il romanzo di Carolina Invernizio “I Misteri delle Soffitte” del 1901, un evergreen ripubblicato anche di recente.

Quello dei “Misteri” è un tema affrontato da vari autori torinesi, a partire da “I Misteri di Torino” del 1849 – che ha il merito principale di averci tramandato due immagini delle soffitte torinesi – e poi di Arturo Colombi nel 1871, di G. A. Giustina (Ausonio Liberi) nel 1880 e di Max Manolo nel 1920.

Con queste premesse letterarie mi è sembrato interessante soffermarmi su un articolo de «La Stampa» dell’8 aprile 1949 che propone «Le tragiche soffitte di via Milano 13».

Leggiamo:

In via Milano 13 da qualche tempo s’era notata la scomparsa di un inquilino: il cinquantenne Giuseppe Vitali fu Giuseppe, falegname, abitante in una delle soffitte. Il Vitali era un povero uomo, separato dalla moglie e dalla figlia: tutti gli volevano bene perché d’indole mite. Vinto dalla vita s’era dato al bere: spesso rincasava barcollando, In completo stato di ebrietà, ma nemmeno in quelle condizioni dava noia ad alcuno.

Fulminato da paralisi

Il 20 marzo la custode lo vedeva per l’ultima volta. Da quel giorno il Vitali spariva. Non pochi rilevavano il fatto, ma, essendosi diffusa la voce che l’uomo era partito per raggiungere dei parenti in provincia, nessuno pensava di dare un’occhiata alla soffitta ove aveva» dimora. Ma ieri verso le 13 la custode veniva, all’improvviso, folgorata da una idea. «E se fosse morto nella sua stanza?». Saliva i quattro piani e applicava l’occhio al buco della serratura. Vedeva, su di una sedia, le scarpe e immediatamente, ricordandosi che il Vitali ne possedeva un solo paio, traeva la logica conclusione: «È qui dentro!».

Nello stesso istante un odore le feriva le nari: un odore acutissimo, nauseabondo, da far venir meno. La custode scendeva in fretta e dava l’allarme. Alle 14 e qualche minuto arrivava la «Celere». Gli agenti sfondavano con una spallata l’uscio, ma subito arretravano: il Vitali senza giacca era disteso sul pavimento, in stato di avanzata putrefazione: il fetore emanato dal cadavere era tale che gli agenti dovevano uscire un istante nel corridoio e fabbricarsi rudimentali «maschere» con sciarpe o fazzoletti. Solo così riuscivano a sostenere l’atmosfera ammorbante della camera.

Tralasciamo la descrizione del povero corpo; basti sapere che i topi - non l’avevano risparmiato, addentandogli in più punti la testa e rosicchiandogli il naso, gli occhi e le labbra. Sulla fronte si scorgevano due o tre lesioni dovute ed un urto violento. Il pagliericcio era in parte bruciato. Ipotesi? La polizia - anche in base alle constatazioni del medico municipale - ne ha formulata una precisa: il Vitali, rientrato ebbro, s’era disteso sul letto con la sigaretta accesa fra le labbra. Ad un certo momento la sigaretta, sfuggitagli di bocca, è caduta sul pagliericcio: il quale, lentamente, ha cominciato a bruciare. Pur nella sua Incoscienza, il Vitali deve aver avvertito un forte bruciore alla coscia destra (i pantaloni infatti portano il segno del fuoco e così pure la carne in quel punto). Atterrito, si è alzato, ha tentato di raggiungere la porta: nel tragitto una paralisi cardiaca l’ha fulminato. E’ stramazzato al suolo e ha battuto il capo contro il pavimento, producendosi alcune ferite.

Alle 16 giungeva un autofurgone dei necrofori. Si tentava di sollevare il cadavere ma - particolare macabro - questo si disfaceva in tanti pezzi. I resti, composti in una cassa, sono stati portati agli Istituti del Valentino. Molta gente, impressionata dalla orribile morte risalente e 18 giorni or sono, sostava nel cortile, commentando. Si parlava delle «tragiche soffitte» di via Milano n. 13.

Due macabri precedenti

Infatti l’anno scorso, nella stanza accanto, moriva un avvocato che non vi alloggiava, ma vi teneva saltuario recapito: il poveretto veniva trovato, sempre dalla stessa custode, seduto in una sedia, con una scarpa in mano. L’espressione era serena, gli occhi erano fissi proprio verso la porta. «Mi guardava - ha raccontato con un brivido la donna - ed era cadavere». Anche l’avvocato era stato ucciso da paralisi cardiaca. E nel 1945, nell’altra soffitta che è vicina a quella ove ieri è stato rinvenuto il Vitali, decedeva un dipendente del municipio. Stava preparandosi da mangiare e un colpo al cuore lo aveva fatto stramazzare al suolo. Due giorni dopo era stato scorto, dal buco della, serratura, giacere accanto al tavolo. Il capo era sporco di giallo. Cadendo era finito sulla polenta che s’apprestava a mangiare.

 

Niente delitti quindi ma soltanto solitudine e miseria, più morale che materiale, con un tocco splatter che il cronista del 1949 ha sapientemente dosato: paiono elementi che rientrano a buon diritto nella nostra Torino noir.

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Articolo pubblicato il 20/05/2020