L’EDITORIALE DELLA DOMENICA DI CIVICO20NEWS - Francesco Rossa: Il “Contratto Sociale “ di Visco ed il “New deal” di Bonomi.

Chi sarà in grado di reggere la sfida?

Ci lasciamo alle spalle una settimana ove gli intrecci perversi tra magistratura deviata, malaffare e politica corrotta hanno lasciato il segno.

Il Coronavirus, oltre alla scia di 34000 morti, di cui qualcuno  in massima parte dovrà rispondere al Popolo italiano, ha fatto emergere la fragilità di uno Stato che si presenta al Mondo nel modo peggiore, perché anche in questo contesto, non siamo stati in grado di adottare politiche di emergenze valide ed efficaci di natura sanitaria, di ordine pubblico e di politica economica.

Il presidente del Consiglio si è nascosto dietro oltre mille pseudo esperti in contraddizione tra di loro ed i risultati sono eloquenti. Abbiamo assistito a litigiosità intestine tra ministri; nell’ambito dei partiti di maggioranza su temi  rilevanti come la Giustizia, oltre ai contrasti continui con le Regioni che, con tutti i limiti sono riuscite invece ad intercettare le criticità del territorio. La Politica economica è lasciata allo sbando, con l’emergere di scandali pubblici non certo inaspettati.

Ciliegina sulla torta, è esplosa la pelosa consorteria di membri del CSM e delle lobby dei magistrati( sulle quali già aveva lanciato fulmini Francesco Cossiga), in combutta con membri del PD per danneggiare e togliere dal giro l’avversario politico emergente. Operazione ieri pienamente riuscita contro Silvio Berlusconi, oggi un po’ meno, nei confronti di Matteo Salvini.

Su questo vulnus della democrazia, avremo modo di intervenire compiutamente.

Con la preoccupazione per la grave situazione economica,  stiamo riflettendo su quanto ha affermato venerdì scorso, il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, nel presentare al Paese la triste realtà in cui ci troviamo.

“L’economia italiana deve trovare la forza di rompere le inerzie del passato e recuperare una capacità di crescere che si è da troppo tempo appannata. Nonostante le profonde ferite della crisi e le scorie non ancora assorbite di quelle precedenti, le opportunità in prospettiva non mancano; il Paese ha i mezzi per coglierle”.

Quasi in risposta alle nostre premesse, questa è l’indicazione basilare che  lancia il Governatore della Banca d’Italia. Visco ha ricordato come l’Italia stia “attraversando la più grande crisi sanitaria ed economica della storia recente”, ipotizzando uno “scenario di base” con un Pil a -9% nel 2020 che nel 2021 “recupererebbe la metà della caduta” e altre “ipotesi più negative, ha sottolineato quanto sia forte l’incertezza e ha detto che “oggi da più parti si dice “insieme ce la faremo”. Lo diciamo anche noi”. Ma non lo si deve dire però “solo con ottimismo retorico, ma per assumere collettivamente un impegno concreto”.

Serve “un nuovo rapporto tra Governo, imprese dell’economia reale e della finanza, istituzioni, società civile. Possiamo non chiamarlo, come pure è stato suggerito, bisogno di un nuovo “Contratto Sociale”, ma anche in questa prospettiva serve procedere a un confronto ordinato e dar vita a un dialogo costruttivo”.

Il governatore  ha lanciato un appello: «Nessuno deve perdere la speranza» e se non estreme”, con un -13% quest'anno e una ripresa “molto lenta” nel prossimo.

Ma, quasi a rispondere alla preclusioni ideologiche dei grillini, circa l’esigenza di mobilitarci, protesi verso ogni occasione valida per lo sviluppo, Visco ci indica che le imprese devono puntare su innovazione e nuove tecnologie.

“Per essere competitive - ha detto il governatore - devono investire in nuove tecnologie e in innovazione, aprirsi a capitali e professionalità esterne, curare la formazione del personale: possono puntare a crescere solo innalzando l'efficienza dei processi di produzione e la qualità dei beni e dei servizi offerti”. Visco ha ricordato gli interventi dello Stato in favore delle imprese, in particolare con trasferimenti a fondo perduto per quelle di minori dimensioni che hanno subito una forte riduzione del fatturato. Incentivi che “non sono affatto irrilevanti”. Ma ha anche sottolineato che “come il “distanziamento sociale” appiattisca la curva dei contagi senza eliminare il virus, così le misure di sostegno contribuiscono a diluire nel tempo e ad attutire le conseguenze della crisi senza eliminarne le cause”.

Gli attuali ministri parlano poco di economia, perché in massima parte non sono in grado, e quindi non hanno mai enfatizzato, in queste ultime settimane, la caduta del PIL. Allo sviluppo dell’economia ed alle infrastrutture, antepongono sussidi e crescita zero.

Ma quanto l’impatto della recessione e delle misure messe in campo per contenerne le conseguenze sia forte sulle finanze pubbliche, lo ha invece ricordato il governatore, affermando che nel quadro macroeconomico del Governo si prevede per il 2020 un disavanzo del 10,4% del Pil e un aumento del peso del debito pubblico sul prodotto di 21 punti percentuali, al 156 per cento. “Nel primo trimestre - ha detto - il Pil ha registrato una flessione dell'ordine del 5%” e gli indicatori disponibili ne segnalano una caduta ancora più marcata nel secondo”.

E ha aggiunto che “nello scenario di base la flessione dell’attività produttiva nel 2020 sarebbe pari al 9%, superiore a quella sofferta tra il 2008 e il 2013”. I tempi e l’intensità della ripresa “che seguirà la fase di emergenza dipendono da fattori difficili da prevedere”, ma, nell’ipotesi che “prosegua il contenimento dei contagi a livello nazionale e globale”, nel 2021 il prodotto “recupererebbe circa metà della caduta. Nei prossimi mesi il recupero della domanda avverrà con lentezza”.

Situazione allarmante in modo particolare se riflettiamo su chi ci sta governando. La sostenibilità del debito pubblico “non è in discussione, ma il suo elevato livello in rapporto al prodotto è alimentato dal basso potenziale di crescita del Paese e al tempo stesso ne frena l'aumento”, ha ancora affermato Visco. “Rispetto alla media del resto dell’area dell’euro, da noi la crescita economica è più bassa e l’onere del debito è più alto”. Amara realtà che stante l’attuale compagine governativa, potrebbe rimanere senza risposta.

In una settimana ove la politica ha toccato il fondo per la poca credibilità ed impotenza degli attori in campo, c’è stato invece un avvenimento positivo. La nomina del nuovo presidente della Confindustria, nella persona di Carlo Bonomi, 54 anni, imprenditore nel settore biomedicale, fautore dell’innovazione per il mondo del lavoro e delle imprese, fortemente impegnato nel sociale, è il nuovo Presidente di Confindustria per il mandato 2020-2024.

Un’elezione, la sua che potrebbe rappresentare una forte cesura rispetto al passato del mondo confindustriale che, almeno negli ultimi tempi, non ha certo brillato per autonomia dal potere politico e spirito di iniziativa. Ora l’elezione, a larghissima maggioranza, di Bonomi può essere la svolta.

Le prime indicazioni programmatiche del neo presidente vanno proprio in questa direzione. Sono, più che un programma per gli imprenditori italiani, un programma per il governo del Paese e il rilancio della sua economia. Con politiche di questo tipo l’Italia, senza colpo ferire e senza trovare nessun tipo di opposizione a livello europeo, ritroverebbe, anche seguendo l’autorevole messaggio della Banca d’Italia, automaticamente il suo posto nelle istituzioni Comunitarie e potrebbe rivendicare un ruolo paritario con la Francia e la Germania.

Sottoponiamo ai lettori la sintesi delle prime indicazioni di Bonomi:

  1. Forte discontinuità con il passato;
  2. No alla politica dei bonus a tempo, a spesa sociale a pioggia, a politiche tipo Alitalia e a interventi marginali sul fisco;
  3. No al ruolo onnicomprensivo dello Stato;
  4. Riconoscimento del principio che reddito e lavoro derivano dalle imprese e dal mercato, dagli investimenti e dall’equilibrio della finanza pubblica;
  5. Privilegiare gli investimenti sulla spesa corrente;
  6. Recupero in tre anni dei punti di PIL persi nel 2020 e dei tre punti persi nel periodo 2008/2019;
  7. Riduzione strutturale del maxi-debito italiano attraverso un piano pluriennale;
  8. Maxi Piano Strategico 2030/2050 basato sul riconoscimento del ruolo centrale delle imprese per lo sviluppo del Paese e su cinque linee d’intervento qualificanti: innovazione e ricerca, capitale umano, sostenibilità ambientale e sociale, nuove forme organizzative e contrattuali e qualificazione e sostegno all’export;
  9. Riforma dello Stato e della P.A., il tutto incentrato sul riequilibrio delle competenze fra centro e periferia, un nuovo fisco per la crescita, un welfare centrato su i veri bisogni e un riequilibrio della spesa sociale oggi fortemente sbilanciata sulla previdenza;

  10. Ripensare scuola e università per stabilire nuovi obiettivi formativi rispetto al mondo attuale e alle necessità del mercato del lavoro.

Pur nella difficile situazione economica ed etica in cui versa l’Italia, abbiamo ricevuto valide indicazioni, pronunciate da autorevoli personalità che ogni giorno, nel loro campo, si confrontano con la realtà.

Chi saprà cogliere il messaggio? Non di certo il governo in carica, formato dai grillini da sempre riluttanti a seguire le indicazioni autorevolmente indicate dalla Banca d’Italia e dalla Confindustria, ed ogni indicazione volta allo sviluppo.

Ci appelliamo invece alle forze politiche, rappresentate in Parlamento e non, che potrebbero, in modo responsabile farsi carico di avviare  grandi e decisive riforme.

 Altrimenti l’alternativa sarà drammatica.

 

Francesco Rossa

Condirettore responsabile e Direttore editoriale.

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Articolo pubblicato il 31/05/2020