Terminiamo l’analisi della vasta discografia händeliana con una serie di proposte in grado di garantire un ascolto molto piacevole.
Concludiamo la nostra disamina della vita e dell’opera di Georg Friedrich Händel con alcuni suggerimenti di opere che meritano di essere ascoltate, dopo i capisaldi essenziali indicati nella scorsa puntata.
In questo modo è possibile approfondire la conoscenza della sterminata produzione del grande compositore sassone, un repertorio che vanta una vasta e qualificata discografia, ma che non è sempre facile da esplorare senza qualche utile punto di riferimento.
Nell’ambito strumentale si segnalano le Suites per clavicembalo pubblicate a Londra nel 1720, che con il loro stile elegante e raffinato costituiscono un validissimo pendant per le analoghe opere scritte più o meno nello stesso periodo da Johann Sebastian Bach.
Tra le interpretazioni filologiche si segnala soprattutto la bellissima versione di Ottavio Dantone, pubblicata una quindicina di anni fa dalla Arts in due dischi separati, mentre chi preferisse una lettura più personale e anticonformista potrà optare per la storica registrazione realizzata da Glenn Gould per la Sony.
Accanto alle Suites, nel campo strumentale meritano di essere segnalate anche le Sonate per strumento solista e basso continuo op. 1, assurte ben presto a vero modello di stile, di cui si consiglia la brillante edizione registrata per la Harmonia Mundi dalla formazione cameristica della Academy of Ancient Music, che utilizza per ogni sonata lo strumento stilisticamente più adatto, dal violino (Pavlo Beznosiuk), al flauto dolce e traversiere (Rachel Brown) e all’oboe (Frank de Bruine), una scelta che garantisce una grande varietà espressiva.
Nel repertorio per ensemble strumentale di grandi dimensioni spiccano le due coppie di raccolte gemelle dei Concerti Grossi op. 3 e op. 6 e dei Concerti per organo, archi e basso continuo op. 4 e op. 7, che contribuirono a garantire a Händel una vasta notorietà tra i contemporanei, arrivando quasi al punto da oscurare la fama di Arcangelo Corelli, le cui opere vennero universalmente riconosciute tra i vertici più inattingibili della letteratura strumentale barocca.
A chi volesse immergersi in questo microcosmo di pura bellezza, consigliamo caldamente il conveniente cofanetto di 11 CD della Archiv Produktion, che riunisce quasi tutte le opere orchestrali di Händel (comprese le tre suites della Water Music e la Music for the Royal Fireworks) nella autorevolissima interpretazione dell’English Concert diretto da Trevor Pinnock, una imprescindibile pietra miliare della discografia händeliana che – a dispetto dell’inesorabile trascorrere del tempo – continua a mantenere una assoluta validità stilistica.
In alternativa, per i Concerti Grossi op. 3 è disponibile una splendida edizione recente dell’ensemble di strumenti originali Concerto Copenhagen guidato da Lars-Ulrik Mortensen (CPO), per l’op. 6 si segnala la bella interpretazione dell’Akademie für alte Musik diretta da Bernhard Forck (Pentatone; 2 CD separati), mentre per le due raccolte di concerti per organo una scelta molto raccomandabile è costituita dall’edizione firmata da Ton Koopman in veste sia di solista sia di direttore della sua Amsterdam Baroque Orchestra (Apex, 2 CD).
Dei Concerti op. 4 si trova in commercio anche la brillante trascrizione per organo solo registrata da Massimo Gabba per la Elegia Classics.
Tra i numerosi capolavori scritti da Händel nel corso del suo breve ma fruttuosissimo soggiorno in Italia non si può dimenticare l’oratorio La Resurrezione, del quale ha realizzato una registrazione di gran pregio l’ensemble Le Concert d’Astrée diretto da Emmanuelle Haïm, che può avvalersi di un cast vocale di alto livello, capitanato da Camilla Tilling e dal contralto Sonia Prina.
Un’altra scelta raccomandabile è costituita dall’oratorio profano Il trionfo del Tempo e del Disinganno, del quale Händel scrisse quasi mezzo secolo dopo una rivisitazione in inglese; per la versione giovanile in italiano non si può prescindere dall’edizione pubblicata qualche anno fa dall’etichetta inglese Hyperion, che vede protagonista l’Academia Montis Regalis diretta da Alessandro De Marchi, con quattro cantanti di livello assoluto come il soprano Roberta Invernizzi, il mezzosoprano Kate Aldrich, il controtenore Martin Oro e il tenore Jörg Dürmüller.
Per finire, non è possibile esimersi dal citare la fantasiosa (ma appassionante) ricostruzione del “duello” che vide sfidarsi a Roma Händel e Domenico Scarlatti proposta in un disco della milanese Stradivarius da Luca Guglielmi, di volta in volta impegnato al clavicembalo e all’organo.
Per concludere, passiamo ai due generi che hanno garantito a Händel la fama imperitura, vale a dire l’opera italiana e l’oratorio inglese, di cui si è fornito nella scorsa puntata un primo punto di partenza. Va sottolineato il fatto che la lunghezza (a volte superiore alle tre ore) rende consigliabili questi lavori ad ascoltatori motivati, mentre chi preferisce limitarsi a un assaggio delle arie più belle e famose può fare riferimento ai molti recital disponibili in commercio, come quelli del controtenore Franco Fagioli con l’ensemble di strumenti originali Il Pomo d’Oro (Deutsche Grammophon), del mezzosoprano Joyce DiDonato con Les Talens Liriques di Christophe Rousset (Erato), del basso Christopher Purves con Arcangelo diretto da Jonathan Cohen (Hyperion) e la raccolta di duetti e di scene che vede la francese Sandrine Piau e il contrato veneziano Sara Mingardo accompagnate dal Concerto Italiano di Rinaldo Alessandrini (Naïve).
Per le opere, la scelta è caduta su tre lavori appartenenti a tre fasi della carriera teatrale di Händel, la giovanile Agrippina, tenuta a battesimo a Venezia nel 1708, di fronte a un pubblico in delirio, che gridava a squarciagola «Viva il caro Sassone», riconoscendo il ventitreenne compositore tra i massimi esponenti dell’opera, Giulio Cesare, tra i massimi capolavori del periodo d’oro di Händel, e Alcina, opera ispirata all’Orlando furioso di Ludovico Ariosto e tra gli ultimi successi riportati in questo campo dal compositore di Halle.
Accanto alla bella edizione realizzata una ventina di anni fa da John Eliot Gardiner con i suoi English Baroque Soloists per la Philips, dell’Agrippina si segnala soprattutto la splendida (e completissima: quasi quattro ore di durata) registrazione del già citato Pomo d’Oro diretta da Maxim Emelyanychev (Erato; tre CD), che può avvalersi di un cast stellare comprendente tra gli altri Joyce DiDonato, Franco Fagioli e Carlo Vistoli.
Per quanto riguarda il Giulio Cesare, il mio punto di riferimento continua a essere l’edizione (anche in questo caso integralissima, con una durata di poco più di quattro ore, tanto per dire la “taglia” che avevano le opere serie settecentesche) firmata dallo specialista René Jacobs alla testa del Concerto Köln e di un gruppo di cantanti di alto livello, tra i quali spicca la splendida Jennifer Larmore, alla quale fanno corona Barbara Schlick, Bernarda Fink e il controtenore Derek Lee Ragin, che riescono sempre a tenermi incollato alla poltrona ogni volta che li ascolto (Harmonia Mundi, quattro CD).
Chi volesse non solo ascoltare ma anche vedere questo straordinario capolavoro, potrà optare per l’allestimento andato in scena a Glyndebourne nel 2005 (Opus Arte, due Blu-ray), con la regia di David McVicar e la direzione dell’americano William Christie, sul podio della Orchestra of the Age of the Enlightenment, e cantanti del calibro di Sarah Connolly (Cesare), Danielle de Niese (Cleopatra), Angelika Kirchschlager (Sesto), Christophe Dumaux (Tolomeo), Patricia Bardon (Cornelia) e Christopher Maltman (Achilla).
Per quanto riguarda Alcina, non si può fare a meno di citare la bellissima interpretazione disponibile sia su CD sia su DVD Video della Alpha, con Christophe Rousset i suoi Talens Lyriques che danno vita a una versione dalla impeccabile proprietà stilistica e con nel ruolo eponimo una cantante di grande talento come Sandrine Piau, ma – credetemi – non potrei mai fare a meno dell’edizione tradizionale registrata nel 1962 dalla Decca con un cast inarrivabile, che conta tra le sue fila cantanti del calibro di Joan Sutherland, Teresa Berganza, Mirella Freni e Graziella Sciutti agli ordini di Richard Bonynge, sul podio della London Symphony Orchestra.
Una versione lontana dagli standard stilistici che abbiamo imparato ad apprezzare nel corso degli ultimi anni, ma in grado di reggere meravigliosamente i quasi sessant’anni che sono trascorsi dalla sua registrazione.
Per quanto riguarda gli oratori, non si può assolutamente prescindere dal nome del direttore inglese Robert King, passato gli ultimi due anni al MiTo di Torino per dirigere l’Accademia del Santo Spirito prima in Esther e poi nell’Alexander’s Feast.
Una quindicina di anni fa mi capitò di incontrare il compianto Ted Perry, fondatore e allora proprietario dell’etichetta Hyperion, che mi raccontò l’inizio della sua collaborazione con King.
Ebbene, verso la metà degli anni Ottanta nel suo ufficio si presentò King, allora musicista poco più che ventenne, per proporgli una serie di progetti discografici. «Se lei fosse d’accordo – gli disse – vorrei registrare per la sua casa discografica tutte le opere sacre di Vivaldi e Monteverdi, l’integrale della produzione vocale sia sacra sia profana di Henry Purcell e i quattro oratori della vittoria di Händel».
Nell’insieme una bazzecola di una cinquantina di dischi. Dopo averlo guardato negli occhi, Ted – che aveva già ascoltato King in concerto alcune volte – gli disse che insieme avrebbero realizzato tutti quei progetti, cosa che puntualmente avvenne. Per la verità, in questo caso King non registrò con il suo The King’s Consort solo i quattro “oratori della vittoria” (Judas Maccabaeus, Joshua, The Occasional Oratorio e Alexander Balus), ma anche parecchi altri, tra cui Acis and Galatea, i biblici Joseph and His Brethren e Deborah, L’Allegro, il Penseroso e il Moderato, il mitologico The Choice of Hercules, oltre all’Ode for St Cecilia’s Day, all’opera Ottone e a Israel in Egypt nella versione riveduta da Felix Mendelssohn (quest’ultima pubblicata da Vivat, l’etichetta di proprietà dello stesso King), che contribuirono a farlo diventare uno degli specialisti händeliani più acclamati del mondo.
In questo profluvio di titoli non è facile scegliere (anche perché chi scrive li possiede tutti e non sarebbe disposto a rinunciare a nessuno), visto l’altissimo magistero di King, la straordinaria espressività delle sue interpretazioni (un fatto che non si riscontra sempre tra i direttori inglesi, molti dei quali sono noti per la loro scarsità di temperamento) e lo spiccato istinto teatrale dimostrato sia da King sia dai suoi bravissimi cantanti.
A questo punto mi fermo, perché altrimenti non finiremmo più, vista la mole della discografia di Händel. Sono però sicuro che la progressiva scoperta di questo autore, sempre interessante e ricco di sorprese, potrà spingere qualcuno a proseguire l’esplorazione fino alla opere più dimenticate come Siroe e Deidamia, tutte in grado di assicurare un ascolto di straordinaria piacevolezza.
Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini
Articolo pubblicato il 08/06/2020