Mentre l’Occidente tramontante s’infiamma d’irrespirabile aria di rivolta anti-razzista, il risorgente Oriente dell’Imperatore Mandarino Xi può dedicarsi indisturbato a soffocare le manifestazioni pro-democratiche di Hong Kong
Mentre qui da noi la bufera pandemica pare affievolirsi sotto il piovoso solicello di giugno e, dopo aver speculato cinicamente (non filosoficamente) su ogni bendidio dell’ipermercato Covid – dai camici regionali lombardi alle arcifamigerate mascherine mandarine farlocche, dal plasma immune neutralizzante sintetizzabile ai tamponi e alle prove sierologiche brevettate, all’app appaltata, dall’introvabile amuchina al raro e prezioso alcol denaturato “snaturato”, dai broccoli o cavoletti-amaretti di Bruxelles alle zucchine svuotate – gli insaziabili pescecani-di-guerra del Belpaesello dello Stivaletto nostro stanno affilando i dentoni e spalancando le fauci per la preannunciata “massima matrona delle mega-maggnàte” (per parafrasare la cattivanima di Saddam Hussein) in arrivo (forse) dal Recovery Fund dell’Ue, ecco che, nelle aree della Terra, specialmente oltreoceano, in cui ancora il coronavirus impera quasi incontrastato, incoraggiato pure dalle strategie “negazioniste” dei governanti locali, si accende un focolaio di protesta socio-razziale che incendia le piazze, rendendo l’aria irrespirabile, in risposta ai videoregistrati soprusi subiti sovente dai neri da parte delle forze-dell’ordine “segregazioniste bianche” (manco la livrea zebrata della Juve li concilierebbe…): le folle inferocite di mez/zo mon/do si sono inginocchiate – in fotocopia – in onore di George Floyd, neo-martire testa-di-moro cui la pallida rotula d’un agente “hothead” dell’“irriformabile” polizia di Minneapolis avrebbe tolto il fiato.
A farne le spese son state addirittura opere stigmatizzate perché ritenute etnicamente “scorrette”, come il filmone confederato par excellence, il pluripremiato Via col vento (Gone with the Wind, 1939, di Victor Fleming) – adattamento cinematografico del romanzo di Margaret Mitchell, con protagonisti la viziata schiavista georgiana Rossella O’Hara (Vivien Leigh) e il mascalzone Rhett Butler (Clark Gable), che nel finale “se ne infischia” (non “se ne frega”, mi raccomando!) –, pellicola repentinamente cancellata da programmi di proiezione o trasmissione tivù; ma un destino assai peggiore è toccato a numerosi quadri e monumenti intitolati nei secoli a gentiluomini (figli-di-buona-donna) dal passato non irreprensibile nelle pratiche sindacal-giuslavoriste (cioè ricchi promotori di bieco traffico di manovalanza coatta e sfruttamento servile, gli avi di Bezos, insomma), i cui ritratti dipinti se la sono cavata con un mesto ritiro negli scantinati dei musei che li custodiscono, laddove le vanagloriose sculture bronzee esibite in tronfio trionfo nelle piazze si sono trovate d’emblée sradicate dai basamenti e gettate in pasto alle trote e ai lucci del fiume lì accanto.
Sulla scorta di tali talebani assiomi integralisti, pochissimi personaggi storici riuscirebbero a sfuggire a quella furia iconoclasta, considerando che i vari avariati conquistadores e generali, duchi e regnanti, papi e papponi, spesso-e-volentieri effigiati ed immortalati da sempiterni Maestri dell’Arte (da Fidia a Michelangelo, da Raffaello a Velázquez) non erano che emocianotici divoratori e sterminatori di carne-da-cannone plebea (senza rilevanti discriminazioni di sfumature di tintarella epidermica, però, in verità)!… Il precursore per antonomasia del dominio eurocentrico sui cinque Continenti, il proto-colonialista Colombo Cristoforo comincia a tremare (con effetto d’ovetto strapazzato, per capirci…) sul piedistallo. E i cuginastri francesi, ad esempio, non dovrebbero dunque radere-al-suolo i reperti latini inerenti al divo Giulio Cesare, che Plinio il Vecchio accusava di genocidio a danno dei Galli?!
Ipotizziamo mica che siano queste le cortesie per la Cultura in futuro, quando gli Afroamericani e gli Islamici saranno preponderanti?…
In conclusione, cogl’innegabili difettucci del sistema – e magari beccandosi bordate di sane randellate fascistoidi –, in certe nazioni almeno si ha facoltà e libertà di esprimere dissenso in pubblico, dalla lotta non-violenta gandiana alle rumorose rivolte (riot) al limite del teppismo vandalico, di qualsivoglia colore, dai black-bloc ai gilets jaunes o arancioni…
Nel frattempo, nel momento stesso in cui nell’Occidente tramontante ci trastulliamo in simili amene dissertazioni teoretiche, dall’altro lato del Globo, nel risorgente Oriente della pluto-proletaria Cina rossa, per rimanere in metafora cromatica, il Celeste Signore del Dragone, Jinping Xi, il cui gigantesco Paese ha donato all’Umanità il simpatico microbo di Wuhan e ne ha probabilmente occultato per mesi l’esistenza, tentando con successo di influenzare (termine azzeccato) l’OMS, già parecchio confusa e incoerente di suo, adesso ha pieno agio di dedicarsi indisturbato a soffocare le sacrosante ribellioni collettive pro-democratiche dei giovani “ombrelli” di Hong Kong, proprio nel trentunesimo anniversario di Tinenanmen.
“Tanto, prima o poi, bisogna defungere tutti, no?”, ha recentemente dichiarato, con infallibile fatalismo shakespeariano-troisiano, Bolsonaro, compiangendo le molte migliaia di vittime brasiliane, non così dispiaciuto – immaginano i malpensanti – per gli indios ro/mpi-co/jo/nes auspicabilmente decimati da polmonite nel Polmone Verde del Pianeta.
Immemorabilmente.
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Articolo pubblicato il 14/06/2020