Il Priorato Cluniacense dei Santi Pietro e Paolo e i suoi rari affreschi, a Castelletto Cervo (Biella)

Di Ezio Marinoni

Castelletto Cervo è in provincia di Biella: un minuscolo paese che si allunga ai lati della strada, in mezzo al verde della campagna, a poca distanza dalle vaste distese irrigue delle risaie.

Da Torino si percorre l’autostrada A4 fino a Balocco, poi si prosegue per statale.

Sono arrivato qui grazie a poche righe lette su internet, con la candidatura a luogo del cuore del FAI.

Dopo un lungo abbandono, culminato con il trasferimento dell’ultimo parroco, campagne di ricerca e scavi hanno messo in luce ritrovamenti di epoca romana, oggi custoditi al Museo del Territorio di Biella e al Museo Leone di Vercelli.

Alcuni pezzi pregiati sono stati trafugati. Una acquasantiera, scomparsa nel 1981, riutilizzo di una fontana di casa patrizia, risalente al IX-X secolo, firmata “Alberto scultore”. Inoltre, ignoti hanno staccato dall’esterno dell’edificio un sole con due delfini, che raffigurava il dio Apollo, proveniente da un tempietto pagano.

Durante gli scavi è tornato alla luce anche il chiostro: una parte era diventata la casa parrocchiale, in angolo era situata la residenza del Priore. Nel suo sottosuolo si è recuperato lo sperone di un cavaliere in una tomba.

Che cos’era un Priorato Cluniacense? Occorre fare un passo indietro di quasi mille anni.

Castelletto viene citata per la prima volta nel 1083, in un atto di donazione stilato dal Conte Guido di Pombia, a favore dell’Abbazia di Cluny.

Nel 1095 appare la prima menzione del Priorato di Castelletto, in una lettera inviata all’Abate di Cluny e sottoscritta da Oberto, Conte del Canavese, e da Ardizzone, Signore di Castelletto.

Da cosa trarrà la sua forza e indipendenza il cosiddetto “sistema di Cluny”?

La prima Abbazia, poi distrutta durante la rivoluzione francese (quale simbolo della religione e del potere ecclesiastico), viene fondata in questo paese della Borgogna nel 909 (o 910) da Guglielmo I il Pio, Duca di Aquitania e Conte di Alvernia, con una donazione all’Abate Bernone. Il Duca rinuncia a qualunque diritto sulla nascente Abbazia e la colloca sotto la diretta autorità del Papa, esautorando il livello locale e la giurisdizione dei Vescovi-Conti. In ossequio al Santo Padre la chiesa è intitolata ai Santi Pietro e Paolo.

I monaci di Cluny seguono la Regola Benedettina, ma introducono alcune varianti: 1) la struttura organizzativa è a diretto contatto con il Papa; 2) la liturgia e lo studio sono le loro attività principali, prima del lavoro; 3) il responsabile è investito del titolo di Priore (l’Abate dell’Ordine Cluniacense risiedeva a Cluny e governava la sua vasta rete di monasteri).

La fortuna del nuovo Ordine monastico inizia nel 1016, con il Decreto di Papa Benedetto VIII che estende i privilegi di Cluny a tutte le sue dipendenze.

In segno di riconoscimento, tutti i complessi cluniacensi devono avere la stessa forma ed architettura. Un’altra loro particolarità è l’uso di due chiese: la seconda è riservata alla liturgia e al culto dei defunti, in essa vengono portati i monaci in punto di morte.

All’apice della sua fortuna Castelletto Cervo arriva ad avere 35 dipendenze (Carpignano Sesia e Ghemme le più importanti). Proprio a Ghemme sono gli stessi monaci a introdurre la coltivazione della vite, proveniente dalla Borgogna.

Si allevano anche animali, che in estate sono portati al pascolo e in alpeggio in Valsesia e in Val d’Otro.

Accanto al Priorato sorgerà un Ospizio per i pellegrini: non siamo sulla Via Francigena, ma sul prolungamento della cosiddetta “Via di Svizzera” (il tratto italiano, codificato durante la seconda guerra di indipendenza, era Arona - Bellinzona - Como).

Appena entrato in chiesa, una grande sorpresa mi attende in un minuscolo ambiente a sinistra del presbiterio (ex foresteria, poi diventato magazzino).

Sulla parete vi è un grande affresco con due scene affiancate: “Il miracolo di Santo Domingo de la Calzada” e una Trinità di Cristo. L’opera è attribuita al frescante Tommasino da Mortara, attivo in Lomellina fra XV e XVI secolo.

Il passaggio dei romei potrebbe spiegare il motivo dell’affresco riferito a Santo Domingo.

Nella località di Santo Domingo della Calzada (in Spagna, sulla Via che conduce a Santiago di Compostela), all’interno della cattedrale si trova un pollaio, con un gallo ed una gallina, in memoria di un miracolo.

La tradizione vuole che sia giunta nella città una coppia di pellegrini tedeschi, con il loro figlio. L’ostessa della locanda dove alloggiano si innamora del giovane, ma lui la rifiuta. Offesa per il diniego, decide di vendicarsi e mette nel bagaglio del ragazzo un calice d’argento, poi lo accusa di furto. Il giovane venne catturato, giudicato e condannato alla forca. Miracolosamente, non muore perché San Giacomo (Santiago) gli salva la vita. I suoi genitori si precipitano dal Governatore della città e gli raccontarono il prodigio, prova della ingiusta condanna del figlio. Incredulo il Governatore risponde che “il figlio era vivo come il gallo e la gallina arrosto che stava per mangiare”; i due volatili saltano fuori dal piatto e si mettono a cantare.

 

Il secondo soggetto (la Trinità) è lo schema iconografico medievale di Cristo, rappresentato nelle tre persone della Trinità incarnata.

La giustificazione di tale iconografia risiede probabilmente nella lettura data da Sant’Agostino al racconto dell’incontro alle Querce di Mamre:

Poi il Signore apparve a lui (Abramo, N.d.A.) alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: “Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passar oltre senza fermarti dal tuo servo” Genesi 18, 1-3.

 

Nel 1745, con la bolla Sollicitudini nostrae di Papa Benedetto XIV, questo tipo di raffigurazione viene definito come non appropriato dalla Chiesa.

Gli affreschi trinitari di Cristo vengono man mano ricoperti e ridipinti, se ne è salvato qualcuno in luoghi appartati o non frequentati (come a Castelletto, già caduta nell’oblio).

Un altro affresco superstite si trova a Benna, sempre nel Biellese, e ancora nella chiesa della Trinità di Firenze.

Ne abbiamo un ulteriore esempio nell’affresco cinquecentesco del Sacro Monte della Santa Trinità a Ghiffa, santuario gestito a lungo dall’Ordine dei Trinitari.

Il 28 giugno, alle ore 15, iniziano le visite guidate a questo capolavoro dimenticato.

Maggiori informazioni si possono trovare sul sito www.monasterodicastelletto.it, al numero 0161 859116 o scrivendo alla mail monastero.castelletto@gmail.com.

Auguro buon lavoro ai volontari e alle guide (“Amici del Monastero di Castelletto Cervo”) e una felice scoperta ai turisti.

Il complesso può essere votato all’interno dei Luoghi del cuore del FAI (Fondo Ambiente Italiano, www.fondoambiente.it, sezione “I luoghi del cuore”).

@Ezio Marinoni

 

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Articolo pubblicato il 19/06/2020