Prima il Virus, poi il Governo Conte hanno dato il colpo di grazia alla scuola italiana - Parte 1

Tutti hanno il diritto di studiare, ma anche il diritto di non studiare, o di studiare in modo diverso

E' noto che la scuola italiana non godesse di ottima salute. Anche nella triste occasione della pandemia è stata declassata e ritenuta non prioritaria. Tutti hanno aperto, tranne la povera scuola italiana. Da troppi anni si discute di riforme, non c'è ministro della Pubblica istruzione che non venga coinvolto in questa ritualità.

«È impressionante come questo eclatante abbandono non abbia generato proteste di alcun genere: unici segnali sono qualche settimana fa la presenza di qualche decina di giovani mamme in alcune piazze italiane e l’annuncio di qualche manifestazione di genitori a Bologna». (Roberto Pellegatta, Ultima a riaprire: ecco perché ci voleva ben poco a fare meglio, 19.6.2020, ilsussidiario.net).

 

Certo non è corretto addossare tutte le colpe storiche della malascuola alla povera ed inesperta minestrina Azzolina, che si è ritrovata ad affrontare il macigno scuola.

Infatti Pellegatti scrive: «Basta dare la colpa solo alla politica. Anche Aldo Cazzullo confermava che “la scuola in Italia non è considerata importante”. Un’intera nazione vi ha collaborato. Siamo quindi di fronte a una sfida culturale: l’Italia deve ritrovare, nella scala delle proprie priorità, il primato dell’istruzione e dell’educazione, in una parola “della cultura”, oggi ben sotto, nella coscienza comune, a ben altre priorità familiari, sociali ed economiche».

 

Tra l'altro, qualcuno giustamente in questi giorni, ha sottolineato che il comparto scuola è così enorme (un grande carrozzone) che non è più pensabile che venga gestito da un ente centrale, cioè dal ministero romano. Stiamo parlando di un milione di insegnanti, 100 mila Ata, e 8,5 milioni di alunni.

Pertanto se l'Italia deve ritrovare la priorità dell'istruzione e della cultura, sicuramente non si potrà fare a meno delle “provocazioni” culturali della professoressa Paola Mastrocola. Faremo un viaggio nel mondo della scuola con i suoi interessanti libri.

 

Non possiamo non Cominciare che con "TOGLIAMO IL DISTURBO. Saggio sulla libertà di NON studiare", pubblicato da Ugo Guanda nel 2011. Già dal titolo, il testo è una vera e propria provocazione. Infatti la Mastrocola, inizia con una preghiera personale ai giovani, li invita a “scegliere loro, in prima persona, la vita che vorranno ignorando ogni pressione, sociale e soprattutto famigliare. In un mondo dove il giovane spesso passa per una vittima. Questi giovani dovrebbero fare un gesto coraggioso e rivoluzionario, riprendersi la libertà di scegliere se studiare o no, sovvertendo tutti gli insopportabili luoghi comuni che da almeno quarant’anni ci governano e ci opprimono”.

 

Certamente i giovani, le loro famiglie, devono essere libere di scegliere: “tutti hanno il diritto di studiare, ma anche il diritto di non studiare, o di studiare in modo diverso”. Incalza la Mastrocola, “Oggi nessuno di noi potrebbe affermare con certezza che studiare in modo astratto sia ancora proficuo, e che fare per esempio il liceo classico sia il massimo. Ma nemmeno che non lo sia. Non è detto(…) Nessuno sa chi sarà vincente, se colui che studierà ancora latino e greco o chi avrà scelto informatica e cinese o chi avrà cominciato, magari nel giardino di casa sua, a coltivare incroci tra le rose e le querce. Magari per esportarle a New York o a Pechino, un giorno, chissà”.
 

"Togliamo il disturbo", si divide in tre parti: una prima parte descrittiva, dei nostri giovani a scuola, per strada, al bar, la notte, i nonstudianti insomma. La 2 parte, una breve ricostruzione storica della scuola a partire dal Sessantotto. Infine la 3 parte: lo studio come scelta, la "modesta proposta", quale scuola mi inventerei . I

n pratica il libro rappresenta, la conclusione organica di quello che la Mastrocola aveva scritto un po' disorganicamente, alcuni anni fa, ne "La scuola raccontata al mio cane"(Guanda)

 

La professoressa nel libro raramente parla di questioni legate alle riforme, ma nelle prime pagine è abbastanza chiara, il problema della scuola di oggi, "non sono le riforme strabilianti, investimenti generosi che ricoprono di denaro le scuole. Il denaro non è il punto, purtroppo. Inutile anche pensare a rivoluzioni copernicane dei saperi e dei metodi d'insegnamento, a miracolosi corsi di formazione per insegnanti, a futuri maestri Superman, eroi di Supermotivazione, novelli Orfei capaci di motivare allo studio anche le pietre e le bestie feroci e le foglie degli alberi che si muovono al vento. Il vero problema è che i nostri giovani, almeno quelli che vanno al liceo, non hanno nessuna voglia di studiare".

 

Piuttosto i nostri ragazzi sono concentrati sulle loro occupazioni, i giochi, le amicizie, gli svaghi. Guardiamoli come si comportano al sabato pomeriggio o alla sera, sembrano dei gechi incollati al muro, scrive la professoressa.
Circa il 60% dei ragazzi non sa perché studia. “Forse – scrive la Mastrocola – non studiano perché non sanno di dover studiare. Mi viene il dubbio che non lo sappiano perché noi non gliel’abbiamo detto”. Ci siamo dimenticati, non gli abbiamo detto che, “andando a scuola, dovevano anche studiare, e che era abbastanza necessario che lo facessero”.
La professoressa di Torino, non si illude, prevede valanghe di critiche al suo ragionamento: “i giovani non sono tutti così”. E' l'insegnante che deve essere bravo a trasmettere la bellezza di quello che insegna, “e se non ci riesce è solo colpa sua, quindi che cambi mestiere. E poi se la scuola propina ancora Tasso, è chiaro che i ragazzi di oggi non hanno voglia di farlo(…)”. Il solito ritornello di quelli che pensano che è sempre colpa dell'insegnante che non sa motivare.

 

C'è un masochistico senso di colpa, legato alla parola, "motivazione", una paroletta magica che ha fornito un meraviglioso alibi e ai ragazzi più svogliati e ai genitori più indulgenti: sì mio figlio non studia un accidenti, ma sai, ha un insegnante che non sa proprio motivarlo, non è capace, non lo appassiona... "

Il libro della Mastrocola volutamente provocatorio arriva ad essere anche irriverente della nostra società borghese. Togliamo il disturbo, giunge a polemizzare con il nostro benessere, con le nostre società opulente delle seconde case, dell'auto, la moto, la barca, due cellulari, due tv, le vacanze esotiche.

 

Tutto questo, paradossalmente secondo la Mastrocola, forse distoglie dallo studio, dalla scuola, che è fatta per gente, che non ha niente, che imparando potrà migliorare la propria vita, la propria condizione sociale ed economica, e persino esistenziale.
Inoltre il libro contesta certe stupide ambizioni familiari, che non riguardano per niente il ragazzo. Infatti non si pensa a riconoscere quale sia l'ambizione giusta e naturale del ragazzo, ma quello che la famiglia desidera per se stessa.

 

Il testo della Mastrocola denuncia una sorta di ipocrisia sociale: i genitori, constatano che il proprio figlio non ce la fa, che prende ogni giorno un'insufficienza, non capisce quel che sta scritto sui libri, non è in grado di studiare o semplicemente non ne ha la minima voglia. Cosa fanno? Invece di staccare la spina cambiando scuola o trovargli altro da fare, si incaponiscono fino all'estremo e a suon di euro, e lo mandano a lezione privata, a quella sorta di “Scuola Sommersa Pomeridiana”, per tutta la durata del liceo.

 

Così, tra una lezione privata e l'altra, si arriva all'università, dove da qualche anno sono nati i corsi di azzeramento per insegnare la lingua italiana (le solite ortografia e grammatica...) a ragazzi che non sanno parlare, leggere e scrivere.

Ritornando alla disaffezione dalla scuola, secondo la Mastrocola, oggi si giustifica collettivamente il diritto di non studiare. Questo non era mai successo. "Nessuno di noi comuni mortali avrebbe giudicato suo diritto andare a scuola non studiando, o anche non studiare pur andando a scuola. Avevamo l'idea di un dovere -continua la Mastrocola - l'idea che non si dovessero fare esclusivamente le cose che procurano piacere, ma che qualche cosuccia di un po' sgradevole o faticoso o di non completamente appagante facesse normalmente parte della vita(...)”
 

La professoressa, fotografa con grande precisione, l'odierna situazione della scuola: questi ragazzi, "vanno a scuola e non studiano. E' una specie di avversativa-concessiva: vanno a scuola ma, ciò nonostante non studiano. Una paradossale aberrazione. Sarebbe come sedersi al ristorante e non ordinare niente, dicendo al cameriere: No grazie, guardi, stasera non mi va proprio di mangiare. Cosa pensate che direbbe il cameriere?"
Pertanto oggi i nostri ragazzi hanno collezionato una povertà lessicale sconcertante, afferma Mastrocola. Possiedono poche parole, quando leggono, ne 'saltano' moltissime perché non conoscono il significato. La povertà lessicale è esattamente causata dalla dismissione della lettura: Non si possiedono parole, se non si legge".

 

L'analisi della professoressa mi ricorda un articolo provocatorio che ho letto del critico letterario, Ferdinando Camon,”se non leggi non vivi”. Ma se siamo a questo punto per la Mastrocola molte colpe sono degli adulti, forse non leggono perché noi a scuola non gli abbiamo più fatto Torquato Tasso (...) se noi ai giovani non abbiamo, in otto anni di scuola, strutturato la mente, i giovani adesso non leggono libri e non sanno scrivere (…) 'strutturare' vuol dire fare un progetto, gettare le fondamenta, erigere i pilastri portanti, i muri, il tetto.
 

Tuttavia però perché il ragazzo abbia voglia di leggere “deve trovare anche un mondo che attorno a sé ami leggere, o che perlomeno mandi il messaggio che è bene farlo. Se no, spiegatemi per quale ragione mai dovrebbe essere l'unico che lo fa”. La colpa è nostra, la generazione degli anni Cinquanta, noi generazione del Sessantotto e dintorni. Risultato finale: quasi nessuna sa più scrivere, il 70%, 2/3 dei ragazzi che escono dalle superiori, non sanno scrivere quello che eventualmente, pensano.

 

Domanda finale: se questi sono i risultati di quindici anni di scuola, non era meglio andare tutti sull'ottovolante?

 

 

 

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Articolo pubblicato il 23/06/2020