Quando i meridionali li chiamarono briganti - Parte 2

Bande armate si andavano costituendo un po' dappertutto

Nell'inverno 1860-61 inizia il grande brigantaggio; bande armate si andavano costituendo un po' dappertutto, vi accorrevano ex soldati borbonici già congedati o “sbandati”, renitenti ai richiami, disertori, evasi dalle carceri, contadini e montanari ansiosi di libertà, di bottino e di vendetta. Qui inizia il racconto dettagliato di Franco Molfese, che ha potuto consultare archivi di Stato, biblioteche. E' un susseguirsi di nomi di comandanti briganti e di località, di continui scontri con gli eserciti regolari provenienti dal Nord e con la Guardia nazionale. L'epicentro degli scontri è stata la Basilicata nei boschi del Volture e di Lagopesole, di Rionero, dove primeggiava Carmine Crocco con la sua nutrita banda ed il suo luogotenente Giuseppe Nicola Summa, detto Ninco-Nanco.

 

Il Molfese, nell’appendice terza del suo libro, pubblica un elenco delle bande brigantesche attive fra il 1861 e il 1870 e ne individua ben 388 (trecentottantaotto), dalle piccole, composte di pochi individui (5-15), fino alle grandi, che raggiunsero e superarono talvolta i 100 uomini, con punte fino a 300-400. Molti sono nomi noti altri meno. In questo elenco di bande cita i nomi di Giovanni Piccioni, Luigi Alonzi (Chiavone), il generale carlista Rafael Tristany nella Terra di Lavoro, e Stato Pontificio; di Cipriano e Giona La Gala, Agostino Sacchitiello nell’Irpinia e Salernitano; di Carmine Donatelli (Crocco), Giuseppe Nicola Summa (Ninco-Nanco), Giuseppe Caruso in Basilicata; Sergente Romano in Terra di Bari e Terra d’Otranto.

 

Crocco al suo comando aveva formato una vera e propria costellazione di bande guidate da risoluti ed astuti capi contadini. Queste bande arrivarono a minacciare anche i grossi centri del Meridione come Caserta, Benevento, Potenza.

Scrive Molfese: «Le forze dell'esercito e le guardie nazionali sostennero il peso della lotta con non poca difficoltà. Il nemico agiva di sorpresa, mobilissimo, si ritirava fulmineamente dopo aver colpito, tendeva agguati continui, si batteva soltanto in condizioni favorevoli di tempo, di luogo e di forze. Le continue perlustrazioni non davano risultati apprezzabili; le piccole bande sfuggivano ad ogni rete: le bande più grosse, non appena strette davvicino, si frazionavano e si disperdevano. Gli scontri […] si riducevano in genere ad uno stillicidio di scaramucce con perdite esigue da ambedue le parti, ma che comportavano un grande logorio di forze fisiche [...]». Meglio di così non si può descrivere la guerriglia ingaggiata dai briganti con i militari regolari.

 

Nel luglio del 1861 al comando dell'esercito piemontese viene nominato il generale Cialdini, elevato a luogotenente del Mezzogiorno. Cialdini nella repressione della reazione borbonica-clericale questa volta si avvalse dei democratici e degli ex garibaldini. Inoltre si avvalse anche di una proficua utilizzazione operativa della guardia nazionale mobile con nuovi arruolamenti. «Per lottare efficacemente contro il brigantaggio, Cialdini comprese che bisognava battere il 'partito' borbonico non meno che combattere le bande. Egli tentò perciò di colpire a fondo la reazione clericale-borbonica mediante misure poliziesche, quali l'arresto e l'espulsione dal regno di personalità del clero, della nobiltà legittimista e dell'esercito borbonico, tra le quali l'arcivescovo di Napoli Riario Sforza, l'arcivescovo di Salerno e il vescovo di Teramo[...]». Queste misure gettano nel panico gli esponenti legittimisti che emigrano e portano a ben 71 sedi vescovili vacanti.

 

«Cialdini impresse alla repressione un carattere spietato – scrive Molfese – la lotta non conobbe più quartiere e particolarmente efferate furono le rappresaglie indiscriminate sulle popolazioni insorte».

Molfese citando i luoghi dove si combatte, ricorda soprattutto Pontelandolfo, dove è stata commessa una strage della popolazione ad opera dei bersaglieri. Intanto i governi di Torino continuano a nascondere o perlomeno di minimizzare i fatti del brigantaggio non solo nel Paese ma anche all'estero. Si pensi che il rapporto Massari, ma anche quello di La Marmora sono stati segretati, almeno il popolo non ne era a conoscenza.

 

Il dibattito diventa acceso su cosa fare con il Mezzogiorno, soprattutto se utilizzare lo stato d'assedio. Di fronte alla 'circolare' dal capo del governo, Massimo D'Azeglio risponde che se i “napoletani” sono contrari all'unità, «non credo che noi abbiamo il diritto di prenderli a fucilate». Mentre Ricasoli ribadisce che c'era stato il plebiscito e che la nazione non poteva concedere a nessuna parte del Paese il diritto di separarsi. Inoltre si nega qualsiasi carattere politico all'azione del brigantaggio, in quanto svolto da “volgari assassini”, che agiscono di propria iniziativa, senza guide legittimiste o di ufficiali borbonici. Del resto per i governanti di Torino, il brigantaggio infestava soltanto cinque delle quindici provincie meridionali.

 

Ricasoli negava al fenomeno brigantaggio qualsiasi carattere politico, ma nello stesso tempo sosteneva che il suo sviluppo nasceva dall'influenza della curia romana e del clero.

Le rappresaglie ordinate da Cialdini sulle popolazioni, costringono le bande a un cambiamento di strategia della guerriglia. Non si puntò più a invadere i paesi, ma a colpire i grandi possidenti, le loro terre e il loro bestiame. Si preferisce  operare con agguati e affrontare piccoli drappelli isolati di soldati e di guardie nazionali.

Nell'estate del 1861 il governo borbonico in esilio, decise di dare una direzione militare e un forte indirizzo legittimista alla spontanea rivolta contadina. Viene incaricato il generale spagnolo Josè Borjes, di coordinare le varie bande per cercare di farle diventare un esercito. C'era quasi riuscito ad imporre le sue idee ai capibande, a Crocco.

 

Con Borjes al comando i briganti avevano ottenuto delle significative vittorie. Borjes non raggiunge il suo scopo: far valere la sua strategia militare a Crocco e compagni, ben presto ha dovuto ritirarsi e ritornare a Roma. Sul confine con il territorio pontificio fu catturato l'8 dicembre 1861 e fucilato a Tagliacozzo.

Il terzo capitolo Molfese approfondisce la questione sociale del Mezzogiorno partendo dalle caratteristiche dei contadini, dei briganti e dei “galantuomini”, dei proprietari terrieri. Rinnovando le sue tesi classiste che hanno fatto esplodere il brigantaggio, riportando il parere dei vari Massari, Saffi, Fortunato. Tesi che convincono Molfese a scrivere che la “guerra popolare” sbandierata dalla propaganda legittimista e clericale, tuttalpiù poggiava su basi superstiziose, mai su quelle religiose. «Le masse contadine si erano poste in movimento per cause economiche e sociali, permanenti e contingenti, che mostrano tutta la vacuità delle parole d'ordine reazionarie e spiegano come queste potessero, al massimo, attizzare furiose ed effimere esplosioni di collera e di malcontento, ma non erano certamente atte ad organizzare nel Mezzogiorno d'Italia qualcosa di simile alla Vandea controrivoluzionaria o alle guerre antinapoleoniche del popolo spagnolo».

 

Molfese ricorda che gli stessi pubblicisti filo borbonici e clericali hanno grosse difficoltà a spiegare la totale assenza di capi legittimisti “napoletani” alla testa delle bande, oppure la riluttanza e l'ostilità dei vari Crocco, Schiavone nell'accettare la guida e i consigli di Borjes o di Tristany, nonostante questi erano stati incaricati dal governo in esilio a Roma di guidare la guerriglia anti-unitaria.

Anche se per la verità i briganti avevano bisogno sempre di una certa parvenza di prospettiva della restaurazione borbonica, i briganti guardavano con attenzione ai proclami del re Francesco II.

 

Nella seconda parte Molfese descrive la repressione dell'esercito sardo-piemontese che si avvale della Legge Pica. L'esercito è il protagonista assoluto, il libro descrive il carattere e l'arbitrarietà della repressione dello stato d'assedio dei vari generali nei confronti dei “cafoni” meridionali. E poi naturalmente le lunghe lotte in Parlamento a Torino, le inchieste, contro il silenzio sulla repressione dei territori meridionali. Intanto cambiano i governi, ma la linea è sempre la stessa, Destra e Sinistra, tutti d'accordo nel distruggere radicalmente il brigantaggio e mettere a ferro e fuoco il Sud. Appare impressionante il numero di quasi 120.000 soldati impegnati dal governo liberale sardo- piemontese nell’opera di repressione, ma questo testimonia come il brigantaggio in quegli anni sia stato un fenomeno di massa, che andava ben al di là dei briganti alla macchia.

 

Il costo umano di questa lunga guerra civile, combattuta al Sud, è troppo alto con la Legge Pica, tutto è permesso all'esercito regio-unitario, a pagina 288 Molfese pubblica delle tabelle sui denunciati, sui condannati, sui deceduti in carcere, sugli assolti. Riguardanti il periodo 1863-1865. Un quadro impressionante dove si rileva che i colpiti sono soprattutto i contadini ma anche tutte le altre classi sociali. Si intendeva spargere un “salutare terrore” tra i briganti ed i loro sostenitori. Quanti furono gli arrestati? E' praticamente impossibile stabilirlo. Le fonti governative forniscono dati ridicolmente esigui. Certamente il loro numero era più alto. In un anno nella sola Sicilia ci furono quattromila arresti.

 

Quanti furono i cosiddetti briganti fucilati o uccisi? Il numero preciso non lo si saprà mai, ma furono tantissimi. Molfese, dal secondo bimestre del 1861 e tutto il 1865, ne documenta 5.212. Ma vi è chi ha scritto che i guerriglieri caduti in combattimento in quel decennio furono 155.620 e i fucilati o morti in carcere 120.327. Un massacro. L’olocausto del Sud.
La Storia del Brigantaggio del Molfese è un libro che richiede grande fatica nella lettura; ma chi vuol capire cosa veramente è accaduto in Italia nel decennio 1860-1870, non può fare a meno di leggerlo.

In conclusione Molfese si chiede se era possibile evitare l’immane sperpero di vite umane e di ricchezze, provocati dal brigantaggio contadino e dalla repressione statale. Se esisteva nel Sud la possibilità di una diversa soluzione dei rapporti tra classe borghese-liberale e masse contadine. Consapevole comunque che una risposta a tali domande appare sul terreno storiografico sempre azzardata, perché la storia non si scrive con i “se” del senno di poi.

 

La risposta del Molfese è che il grande dramma del brigantaggio avrebbe potuto essere, se non evitato, certamente di molto ridotto nel tempo e nell’intensità da una differente politica dei governi unitari succedutesi nel decennio 1860-1870, guidati da Cavour, Ricasoli, Rattazzi, Farini, Minghetti, La Marmora, Menabrea, Lanza.

Evitare completamente il brigantaggio era impossibile, dal momento che esso era stato partorito spontaneamente dalla generale crisi meridionale ad opera di fattori economico-sociali, strutturali e contingenti.

Concludo il mio studio con una interessante riflessione di Francesco Pappalardo, esponente di Alleanza Cattolica, nonché studioso del brigantaggio.
 

«Permane tra gli storici un filone «unitario» che considera ancora i briganti alla stregua di delinquenti. E un filone marxista duro a morire che ripresenta il brigante come il cafone che prende le armi perché oppresso socialmente. Eppure anche uno storico come Giuseppe Galasso, che non è certamente filo-borbonico, insiste molto sulla componente dinastica: se nel 1799 ci fu una controrivoluzione per difendere la religione, dal 1860 ce ne fu una per difendere il regno.

 

Certo libri come Terroni di Pino Aprile non aiutano svolgere a un ragionamento articolato: si semplifica e si banalizza troppo etichettando il Nord come predone del Sud. Non è che i piemontesi fossero cattivi. C’è stato un ceto dirigente che ha imposto uno Stato unitario anti-cattolico, non rispettoso delle altre entità statali della penisola, diverse per storia, costumi e cultura. La questione meridionale nacque allora, così pure quella cattolica e quella federale. È un processo storico che merita di essere riconsiderato. Ci sono anche lodevoli iniziative culturali, per esempio a Gaeta e in Basilicata. Ma attenzione a fare del folklore».

 

 

 



 

 

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 03/07/2020